Lo spettacolo “REDREADING#PIATTI FORTI” ha concluso il festival Play with food, che ormai da dieci anni sulla scena torinese allieta e alletta il pubblico con teatro e arti performative dedicati interamente al cibo, con un carosello di eventi e occasioni in cui convivialità e condivisione si attivano intorno alle creazioni artistiche e in cui è possibile, spesso e volentieri, anche stimolare il palato con degustazioni e prelibatezze. Il cibo è insomma protagonista non solo del ben conosciuto piacere della tavola ma anche strumento creativo.
L’evento finale del festival è «un incontro tra teatro, libri, musica, cibo, che si sviluppa tra una portata e l’altra durante una cena». Si tratta della performance del duo romano Bartolini/Baronio, con il loro format RedReading, che di volta in volta si struttura intorno a una tematica diversa, a una narrazione drammaturgica scritta ad hoc. La cena, a cura dei Cuochivolanti, è stata ospitata negli spazi modulari, moderni e accoglienti dell’associazione culturale Qubì, che si occupa di coniugare cultura cibo e aggregazione sociale.
La performance è una lunga chiacchierata in cui Tamara Bartolini ci svela i retroscena, le voci, le immagini e le storie dei partner gastronomici del festival, impastati con brani di grandi autori che hanno scritto testi in cui veniva menzionato, celebrato o raccontato il cibo e con ricette di piatti speciali. Non è una performance in ruolo, l’autrice che ha cucito insieme il testo ce lo racconta seguendo una traccia scritta e rievocando incontri vissuti in prima persona. Michele Baronio la sostiene e la affianca con l’accompagnamento acustico dal vivo e le parole della scena sono inframezzate da spezzoni della cinematografia italiana, da immagini delle aziende e dalle voci registrate dei Maestri del Gusto coinvolti. Gli artisti sul palco hanno un loro un tavolino apparecchiato come il pubblico, e anche loro gustano la cena nello stesso momento. È un po’ come dire: siamo tutti alla stessa tavola.
Il duo ci racconta dell’incontro con le persone che hanno preparato i cibi che vengono serviti a cena, ce ne raccontano vizi, segreti, passioni e dettagli. Un flusso continuo in cui, per semplici associazioni di parole o metafore, si passa in ondate da una storia all’altra, da un tempo a un altro, senza soluzione di continuità e senza nessi necessariamente consequenziali. Un intrattenimento allegro e piacevole, che stuzzica e solletica; un enorme calderone in cui si mischiano esperienze diverse come piatti di uno stesso menù, sapori che stanno bene insieme. Sono ricordi personali, familiari, risposte alla domanda: “Qual è il piatto della vostra infanzia che vi ha emozionato di più?”. Una domanda scelta sapientemente, perché in grado di aprire scenari commoventi, divertenti, intimi e soprattutto veri, in cui conoscersi e riconoscersi. Chiunque ha una risposta, creativa e privata. L’Italia è una repubblica fondata anche sul cibo; la cultura e i costumi italiani vi sono profondamente, perché «a noi italiani, soprattutto, ci piace mangiare», come scriveva Mattia Torre.
Il palato è solleticato dai gusti mentre si attivano i ricordi di bambino, delle nonne, dei pranzi della domenica, di quelle idiosincrasie che si tramandano attraverso le generazioni di una famiglia e che cambiano le ricette come un lessico specificamente famigliare, che fa ripensare al testo della Ginzburg; tradizioni caserecce, il ragù che profuma l’infanzia alle 6 di mattina, piatti associati a gusti ed episodi che si sedimentano nella vita fino a diventare simbolo di protezione e di tranquillità o di odio e pianto infantile giammai risolto.
La voce di Tamara Bartolini resta per quasi tutto il tempo sui toni che ricordano quelli della favola, come se volesse renderci queste realtà, pur profondamente vere e sentite, una storia quasi leggendaria, sfocata nella atemporalità e bellezza. E in questa direzione ride, ride tanto, per tutto il suo racconto, come continuamente sorpresa da quello che racconta.
Dalle storie emerge anche il profondo rispetto dei produttori locali per le materie prime, per i tempi naturali da seguire come regola, nella preparazione del cibo così come nella ricerca del piacere. Ma emerge anche la forte preoccupazione per i tempi e le modalità che la grande distribuzione impone alla produzione e al consumo, generando spreco e ritmi forzati.
In questo racconto basato sul cibo e sulle storie personali legate al cibo si fa sempre più evidente all’ascolto un aspetto che cattura l’attenzione. Oltre alla rievocazione di un passato condivisibile e coinvolgente, fatto delle memorie dell’infanzia collettiva, oltre alla celebrazione del cibo in tutte le sue forme, emergono evidenti la forza, la verità, la dignità di questi produttori italiani, che si prendono cura delle persone, delle materie prime, e che cercano di portare avanti con serietà e intelligenza la grande tradizione, nonostante le difficoltà, la fatica, le avversità. Sono storie importanti da raccontare, da sapere, da diffondere.
«La cucina è affine al teatro – racconta Roberta dei Cuochivolanti quando viene interpellata direttamente dal palco – E’ frutto di amore, di prove, lavoro, ragionamento, e poi si consuma tutto in un attimo. E la soddisfazione delle persone è quello che ci fa andare avanti».
Man mano che si gusta il cibo e si ascoltano le storie, sembra di conoscere sempre più personalmente le mani di chi ha preparato per noi le portate, e la sensazione è di ritrovarsi coinvolti in una specie di tavolata di amici di vecchia data, dove si raccontano storielle, ricordi, difficoltà, battute e si annaffia tutto con un gioviale e cordiale bicchiere di buon vino, per brindare ai tempi d’oro, ai tempi perduti, ai tempi difficili e, soprattutto, ai tempi che verranno.
Per chi si è perso questa edizione di Play with food, tornerà con un’altra occasione ad aprile 2022.