In scena ci sono Ada (Maria Sole Mansutti) e Savino (Michele Riondino): all’inizio ne sentiamo solo le voci; a poco a poco intravediamo la sagoma di Ada nel riverbero delle luci di un albero di Natale.
Sarà un segno molto insistito, questo delle luci che emergono dal buio, che filtrano anche attraverso gli elementi della scenografia, e si alternano al chiarore assoluto dei quadri principali.
La storia raccontata ci ricorda altre storie, ed è quella di una lotta epica tra due cavalieri, rivissuta più avanti in prima persona da Savino, che racconta come ha finalmente ucciso l’Altro, suo riflesso e suo limite, sentendo che “la lama mi affonda sul corpo anche quando sono io a colpire”.
Ada e Savino sono compressi in una gigantesca e colorata cucina anni Cinquanta, lei bambola dagli occhi bistrati e lui bimbo col fiocco azzurro e i calzettoni fino al ginocchio. Si arrampicano sui mobili, si sfidano in incessanti giochi-duelli, pranzano in un tavolo troppo grande, organizzano una festa con torta colossale per il compleanno di Savino, cercano un nome da dare al pesce rosso regalato da Ada. Il pesce si chiamerà “Siamosolonoi”, e alla festa non verrà nessuno. Troppo pericoloso uscire di casa: “fuori c’è la guerra” dice Ada, che cerca di convincere Savino, più propenso ad avventurarsi nel mondo, che a rinchiudersi per sempre in questo nido artificiale.
La coppia Ada-Savino, sospesa tra infanzia ed età adulta, riproduce così la parabola di un amore che è claustrofobia allo stato puro, una realtà costrittiva e alienante che mantiene ben pochi elementi vitali al suo interno: “Siamosolonoi”, l’enorme pesce rosso al centro della scena, a sua volta intrappolato in una boccia di vetro trasparente, ne è la chiara rappresentazione. Questa cucina tuttavia, roccaforte di una sposa-madre che ambisce esclusivamente a un rapporto simbiotico con l’altro, non basterà più a contenere le incursioni del mondo esterno, che irromperà attraverso le ante, i cassetti, persino lo sportello del frigorifero.
Alla fine Savino romperà la sua promessa – “mi murerò vivo, ma lo farò col sorriso” – uscendo dal nido, abbandonando Ada per scoprire, finalmente libero, cosa c’è “fuori”.
“Siamosolonoi”, spettacolo numero dodici del collettivo Circo Bordeaux, è per Marco Andreoli, autore della drammaturgia, “una metafora quotidiana e universale del percorso umano”. La dinamica tra maschile e femminile è tuttavia bloccata in uno schema rigido, tra desideri di fuga da una parte e sogni di matrimonio – con tanto di velo – dall’altra.
Nella dimensione onirico-infantile in cui è situato il testo non c’è complessità: tutto è chiaro, netto, privo di sfumature, e il conflitto amoroso, continuamente evocato, non trova lo spazio per essere agito.
Non c’è rischio, le uccisioni sono immaginarie e il sangue è solo una traccia di “acqua e ruggine”.
Spetta alle musiche di Theo Teardo e alle luci di Luigi Biondi raccontare gli abissi di inquietudine che si aprono al di sotto di questa superficie stilizzata, mentre i due attori sono stretti dentro personaggi affascinanti ma troppo stereotipati. Michele Riondino e Maria Sole Mansutti sono comunque bravi e affiatati, pronti a rispondersi e a giocare con presenza e ironia i ruoli di Ada e Savino.
In questi giorni e fino al 20 gennaio in scena a Roma, al Piccolo Eliseo Patroni Griffi.
SIAMOSOLONOI
produzione: Artisti Riuniti e Palomar
in collaborazione con: PAV e Teatro della Tosse
drammaturgia: Marco Andreoli
regia: Circo Bordeaux
scene: Fabrizio Darpino
trucco e costumi: Eva Nestori
disegno luci: Luigi Biondi
musiche: Teho Teardo
attrezzista: Francesco Traverso
con: Michele Riondino e Maria Sole Mansutti
durata: 1h 22‘
applausi del pubblico: 2’ 45’’
Visto a Montepulciano, Teatro Poliziano, il 5 gennaio 2013
ho visto lo spettacolo, e, a parte le pretese scenografiche (c’è di tutto e… di troppo), il testo è il NULLA diluito in quasi due ore. Quanta fatica (degli attori e degli spettatori) sprecata!