Kafka scriveva “tutta questa letteratura è assalto ai limiti”. Si riferiva alla sua generazione, che assaltava i padri e ripartiva da un sentire profondo, fortemente individuale e fortemente collettivo.
In dieci giorni di programma si susseguono “opere e creature che si incarnano nell’ipertensione fisica e intellettuale, che guardano ai padri e li tradiscono” si legge nella presentazione al festival. Una rassegna che si fa progetto e promotore di pensiero, “progettare, ora più che mai, è un assalto ai limiti, ai propri innanzitutto” afferma la Nicolai.
Negli spazi dell’Angelo Mai di Roma i padri vengono non solo osservati, ma analizzati e tradotti in un linguaggio pienamente attuale da “Sola” di Bluemotion, una formazione nata nel 2008 proprio all’interno di questo stesso luogo, che ne è anche il produttore.
Una storia antica come il tempo. Eros e Thanatos si alternano danzanti e sbeffeggianti nella vita di due donne, due sorelle, a ritmo di musica rock.
Fin dai primi istanti lo spettatore percepisce la tragedia in atto. Cosa desidera una donna? Perché le nazioni si fanno guerra? Perché vengono sterminate intere razze? Perché le persone scompaiono?
Le domande in “The Love of the Nightingale” di Timberlake Wertenbaker rimangono insolute di fronte all’inevitabile. Lo spettatore viene letteralmente bombardato da parole, suoni, musica e immagini.
Le tematiche si intrecciano in maniera un pò confusa, ma ben rendono la varietà del contesto umano. C’è la giovinezza e la sua ingenuità, il desiderio di amare, la solitudine in terra straniera, il viaggio, l’attesa, il sospetto, la violenza.
La solitudine di una donna è il filo conduttore fragile di una rievocazione mitologica, quella del Tereo di Sofocle. Una storia mitologica che richiama dolorosamente l’attualità: la violenza sessuale subita da Filomena, sorella di Procne, moglie silenziosa di Tereo. Per impedirle di riferire le violenze, Tereo le tagliò la lingua, ma Filomela riuscì ad informare la sorella ricamando un messaggio per lei su una tela che le fece pervenire. Non appena saputo il fatto, Procne uccise il figlio Iti, avuto con Tereo, e glielo diede in pasto di nascosto. Questo è il mito da cui parte lo spettacolo.
Il tema della violenza e del silenzioso dolore è la metafora che innalza lo spettatore verso la potenza delle parole. La parola acquista sempre più valore ed è impersonata da un terzo personaggio femminile, una donna narrante, extradiegetica, che impersona la riflessione, il pensiero, le emozioni dette.
“Le parole brancoleranno senza probabilmente scoprire nulla/ Ma se mettete a tacere la domanda/ Se imprigionate il pensiero che chiede/ Se gli tagliate via la lingua/ Otterrete questo” scrive Timberlake Wertenbaker. Il tagliare la lingua non è altro che la metafora del silenzio. Un silenzio che urla l’orrore creato dall’Uomo e sofferto da egli stesso. L’animalità, l’irrazionalità dei sentimenti, l’odio, la violenza e la menzogna non sono altro che le varie sfaccettature della realtà che ci circonda, che non appartengono più al mito, ma che viviamo quotidianamente in ogni parte del pianeta.
Un monito, quello lanciato dallo spettacolo, a porsi sempre delle domande, all’analisi, allo studio della realtà per impedire all’istinto umano di sopraffare se stesso, inibire gli atti di violenza ed educare al dialogo.
La centralità è data quindi alla parola. Anche la musica si fa parola, quella dell’emozione, della paura, dell’amore e dell’odio. Grazie alla bravura del musicista e attore Francesco Forni ogni nota suonata e campionata dal vivo parla allo spettatore, narra al di là di ogni detto e non detto. La parola è messa in pieno risalto dall’utilizzo di microfoni e anche dalla scelta delle riprese e delle video proiezioni in tempo reale, che catturano i primi piani dei volti degli attori. Ogni sillaba viene scritta, urlata, sussurrata e cantata in scena. Ogni parola si fa carne vivente non solo di fronte allo spettatore, ma accanto ad esso, dietro di lui; le domande che gli vengono poste non ottengono risposta, ma suscitano il desiderio di averne una.
Il ritmo è un crescendo continuo tra spensieratezza e desolazione, tra allegria festosa e violenza. Un colore particolare e profondo è dato dalla bravura delle due attrici Sylvia De Fanti e Roberta Lena. La prima dona corpo e voce, ma soprattutto un volto tanto espressivo a Procne. La seconda emerge per l’uso sapiente del corpo, anche nelle apparentemente semplici camminate tra un punto e l’altro dello spazio, l’utilizzo della voce e la capacità di generare profonde vibrazioni emotive attraverso un personaggio non semplice come quello del narratore in scena e della morale, del pensiero e dell’osservatore silente.
Gli attori vengono accompagnati da un musicista dal vivo, che si fa personaggio e narratore allo stesso momento. Le videoriprese catturano cinematograficamente gli istanti, le sfumature di emozioni sui volti degli attori. Anche la recitazione risulta così molto cinematografica; seppure gli attori siano guidati da una forte consapevolezza dell’uso del corpo scenico e delle azioni, queste vengono messe in secondo piano da una scelta registica che punta sulla naturalezza dell’interpretazione. Questa non sempre viene ottenuta, non da tutti, lasciando una leggera sensazione di finzione. Stanislavskij avrebbe detto “non ci credo”. Ma probabilmente importa poco, dal momento che gli attori si mettono a nudo, nel momento in cui la finzione viene rivelata e si spogliano dei loro personaggi mitologici, con una leggera ironia che spezza in maniera netta l’atmosfera creata in quarantacinque minuti di spettacolo.
Le ultime parole dello spettacolo, non più sostenute dal mito, dalla potenza della metafora e dalla poesia perdono la loro potenza comunicativa. Lo spettatore si sente un pò troppo “imboccato” e perde d’improvviso le coordinate narrative. Anche gli attori sembrano percepire il rischio di essere troppo didascalici. Questa scelta di uscire fuori dai personaggi e rivelarsi, ponendo direttamente delle domande al pubblico fa parte del gioco di uno spettacolo che mostra così il proprio lato sperimentale e di ricerca. Un rischio per la regista Giorgina Pilozzi, dal quale esce comunque vincente grazie a uno spettacolo variegato, ricco di suggestioni e originale.
SOLA
ideazione e regia Giorgina Pilozzi
con: Sylvia De Fanti, Francesco Forni, Davood Kheradmand, Roberta Lena, Laura Pizzirani
musiche: Francesco Forni
assistente alla regia: Elettra Mallaby
suoni: Paolo Panella
assistenza tecnica Simone Bucri
comunicazione e organizzazione: Valentina Fanelli, Lauretta Pilozzi, Gian Marco Di Lecce
una produzione Angelo Mai + Bluemotion
con il sostegno di: Motus, Lacasadargilla, Fattore K
durata: 55′
applausi del pubblico: 3′
Visto a Roma, Angelo Mai, il 18 maggio 2012