Una passione tiepida per il confronto di Malosti con Testori

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Laura Marinoni è Felicita
Non può che piovere davvero entrando nella piccola chiesa sconsacrata dei Battù. Che ti accoglie come un rifugio asciutto in cui sostare temporaneamente, tra candele accese, bare di legno chiaro e crocifissi più o meno imponenti. Così la pioggia esterna si confonde con i lampi e i tuoni voluti dalla scena. E tutto torna, o meglio si amplifica.

Luogo più affascinante che lugubre, antro di cui varcare la soglia per rincorrere la narrazione di Felicita: è lei, con il suo parlare che mischia dialetto, neologismi e recuperi arcaici, ad avvicinarci agli episodi salienti di una vita dalla religiosità tragica, fatta di dubbi, bestemmie, tensioni e pentimenti, proprio come fu quella di Giovanni Testori, autore del romanzo da cui Valter Malosti ha tratto questo studio.

Suor Felicita ha conosciuto il sesso, anche consanguineo, l’amore e la morte. E trova nuovo appagamento in quell’orfana quasi bambina (Silvia Altrui) che con lei decide di condividere le gioie della carne e del sentimento. Senza morale e senza peccato.

Da Laura Marinoni, attrice di indiscussa bravura, ci aspettiamo allora un’emozione che sgorghi viva, lanciata con lo sguardo e con la pelle. Che sappia scuotere e riverberare al nostro interno.
Ma, nonostante le ottime premesse, forse il tutto non riesce abbastanza, pur nella scenografica bellezza del luogo scelto per l’allestimento, e nonostante la bravura di due attrici diverse ma “forti”, supportate da alcune scene dall’estetica particolarmente lirica.

Eppure c’è qualcosa che non riesce ad andare oltre, a superare quella cortina che attende un impeto del cuore. Nonostante una storia forte che ben avrebbe potuto.
Forse, a volte, l’arte – proprio in quanto tale – potrebbe rischiare di più.

Nel finale tutto si dissolve: la redenzione dalle sfumature tenui e dai palloncini colorati arriva a rinfrancare ogni immagine d’immorale dubbio. A lavare le anime e a garantirne il lieto fine.

PASSIO LAETITIAE ET FELICITATIS
dal romanzo omonimo di Giovanni Testori
adattamento teatrale e regia: Valter Malosti
con: Laura Marinoni e Silvia Altrui
direzione tecnica e luci: Francesco Dell’Elba
suono: GUP Alcaro
spazio scenico: Carmelo Giammello
costumi: Federica Genovesi
musiche: Antonio Ambrosino, Don Backy, Leo Ferrè, Philip Glass,
New Composers, John Tavaner, Luigi Tenco, Giuseppe Verdi
durata: 60′
applausi del pubblico: 3′ 30”

Visto a Pecetto (TO), Chiesa dei Battù, il 16 giugno 2008
Festival delle Colline Torinesi

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  1. says: Daniela Arcudi

    Ricordo molto bene lo spettacolo, e devo dire che – visto l’argomento trattato – mantengo lo stesso giudizio. Un bello spettacolo (3 stelle noi le giudichiamo un buon voto) ma che senz’altro, emotivamente, non mi ha “travolta”…
    Del resto le emozioni colpiscono in maniera differente. Proprio a questo proposito, ho letto in questi giorni due versioni totalmente discordanti sul debutto di “Madeleine” dei Muta Imago: chi se ne è innamorato ed è stato pienamente coinvolto nello spettacolo (vedi la nostra recensione di oggi), e chi (su un’altra testata), pur rendendo merito al lavoro della compagnia e alla indiscussa bravura, non ne è stato affatto coinvolto emotivamente, trovando lo spettacolo “distante”. Ovviamente un giudizio globale non si basa solo su sensazioni ed emozioni personali, e deve cercare di tener conto anche di tutti gli altri elementi. O almeno è quello che cerchiamo di fare noi… Ciao!

  2. says: Paola

    Ho visto finalmente Passio, Laetitiae et Felicitatis nella sua riproposizione nella nuova stagione del TST. Avevo in mente proprio questa recensione, letta tanto tempo fa, e mi aspettavo appunto di provare una “emozione tiepida” di fronte a un allestimento che non riuscisse a “rischiare” e ad “andare oltre”. Invece, alla Cavallerizza Reale l'”impeto del cuore” è arrivato eccome, fortissimo, insieme a quello, altrettanto forte, del godimento estetico, e posso davvero dire di essermi raramente trovata meno d’accordo con una recensione come lo sono in questo caso. Meno male.