Hate Radio di Milo Rau: il genocidio del Ruanda minuto per minuto

Hate Radio (photo: Daniel Seiffert)
Hate Radio (photo: Daniel Seiffert)

Dicono che la radio sia un accompagnamento, che con la radio «non si smette di pensare» (Eugenio Finardi). Ma che cosa succede se una radio accompagna la perfidia umana, se fa pensare a un genocidio, se incita alla strage?

Il 6 aprile 1994 l’aereo di Juvénal Habyarimana, presidente del Ruanda, fu abbattuto da due missili. Fu il primo atto di una guerra civile tra le due principali etnie del minuscolo stato centrafricano: gli Hutu, quasi il 90 percento della popolazione, e la minoranza Tutsi. In tre mesi furono quasi un milione i morti tra i Tutsi.
L’eccidio avvenne nell’indifferenza dei Paesi ex colonizzatori, Francia, Belgio, Inghilterra. Il presidente americano Clinton pronunciò tardivamente la parola “genocidio”. Le Nazioni Unite non intervennero.
Già dal 1993 Radio Télévision Les Milles Collines (RTLM) aveva iniziato a diffondere l’odio interetnico. Gli Hutu massacrarono i nemici Tutsi a migliaia ogni giorno. La radio invitava a uccidere. Istigava incessantemente i suoi ascoltatori, sostenendo che “le tombe erano in attesa di essere riempite”. Ogni giorno forniva istruzioni per eliminare “gli scarafaggi” (così li chiamava) della parte avversa.

Lo svizzero Milo Rau, premiatissimo protagonista della drammaturgia e della regia internazionale, porta lo studio radiofonico di RTLM al Teatro La Cucina di Milano, nell’ambito dell’iniziativa Focus Media, organizzata da Zona K.
Assistiamo, davanti a pareti di vetro, a una puntata qualunque della trasmissione radiofonica “Hate Radio”. A fare da prologo, un video proiettato su un’enorme veneziana: quattro sopravvissuti Tutsi raccontano i dettagli delle atrocità subite.

Buio. Si apre il sipario sulla sala di registrazione. Quattro uomini e una donna sembrano manichini immobili, inanimati. D’improvviso si smuovono. Ci travolgono con un profluvio verbale, in francese o in kinyarwanda. Le loro parole incalzano, si sovrappongono, s’innestano.

La cifra del lavoro di Milo Rau è la crudezza. Muniti di cuffie, cogliamo i dettagli della narrazione. Eccidi, stupri e sevizie caratterizzano ogni guerra. Ma qui c’è un surplus d’orrore: è la naturalezza con cui uno studio radiofonico diffonde l’odio. Lo fa in maniera plateale, impudica.
È l’ennesima versione di quella che Hannah Arendt definì «la banalità del male». La musica pop e i motti arguti di “Hate Radio”, lo stile brillante, ritmato, assillante di presentatori imperturbabili, suonano assai disturbanti. Ascoltiamo, inebetiti, la colonna sonora del genocidio.

«Lo strumento fondamentale per la manipolazione della realtà è la manipolazione delle parole» ha affermato lo scrittore postmoderno Philip Kindred Dick.
Enrico Carofiglio ha dedicato un saggio alla “manomissione delle parole”. “Hate Radio” è un corso di diseducazione civica. È indottrinamento omicida. Assimila l’orgoglio dei Tutsi alla Germania del Terzo Reich, proprio mentre usa lo stesso linguaggio razzista, crudo, immorale, di Hitler e Goebbels.
Lo stile di “Hate Radio” è quello informale, brioso, sfrontato, dei broadcast di tutto il mondo. Sotto il divertimento e il ritmo groove, la manipolazione è ancora più pericolosa.
I quattro speaker radiofonici, tre estremisti Hutu e l’italo-belga Georges Ruggiu, fomentarono il genocidio per tre mesi, tra un’ultimissima di sport e un comunicato politico.
Milo Rau documenta il tutto con un’operazione di rara acribia filologica, anche con gli interventi in diretta dei radioascoltatori.
Arriviamo a questo lavoro preparati. Ma dentro di noi ristagnano alcune domande. Un programma del genere sarebbe possibile nell’Italia del 2018? Qual è l’impatto dei messaggi xenofobi di politici e opinion maker?

Il razzismo mascherato con l’arguzia, il cinismo travestito d’umorismo, sembrano annacquare la carica eversiva dei messaggi. L’attenzione divaga. I frizzi, come bollicine di gazzosa, assopiscono le papille gustative. Possiamo ingoiare qualunque cosa.
Il suono di “Hate radio”, proposto da Milo Rau e dai suoi brillantissimi interpreti (Afazali Dewaele, Sébastien Foucault, Diogène Ntarindwa, Bwanga Pilipili, Estelle Marion, Nancy Nkusi), ci è sinistramente familiare. Ci catapulta dentro eventi che in realtà sono lontani solo per modo di dire. In Occidente siamo davvero “vaccinati” contro queste sottili aberrazioni?

HATE RADIO
Una produzione THE INTERNATIONAL INSTITUTE OF POLITICAL MURDER – IIPM
Testo e regia: Milo Rau
Drammaturgia e ideazione: Jens Dietrich
Scene e costumi: Anton Lukas
Video: Marcel Bächtigersuono: Jens Baudisch
Con: (live) Afazali Dewaele, Sébastien Foucault, Diogène Ntarindwa, Bwanga Pilipili; (video) Estelle Marion, Nancy Nkusi
Assistente alla regia: Mascha Euchner-Martinez
Assistente alla produzione esecutiva e drammaturgia: Milena Kipfmüller
Public-relation: YvenAugustin
Collaborazione alla documentazione: Eva-Maria Bertschy
Corporate Design: Nina Wolters
Web Design: Jonas Weissbrodt
Academic Counselling: Marie-Soleil Frère, Assumpta Mugiraneza & Simone Schlindwein Casting Bruxells/Ginevra: Sebastiâo Tadzio Casting Kigali: Didacienne Nibagwire
HATE RADIO is a production by IIPM Berlin/Zürich with Migros-Kulturprozent Schweiz, Kunsthaus Bregenz, Hebbelam Ufer (HAU) Berlin, Schlachthaus Theater Bern, Beursschouwburg Brüssel, migrosmuseum fürgegenwartskunst Zürich, Kaserne Basel, Südpol Luzern, Verbrecher Verlag Berlin, Kigali Genocide Memorial Centre and Ishyo Arts Centre Kigali. Supported by von Hauptstadtkulturfonds (HKF), Migros-Kulturprozent Schweiz, Pro Helvetia – Schweizer Kultur-stiftung, Kulturelles.bl (Basel), Bildungs- und Kulturdepartementdes Kantons Luzern, Amtfür Kultur St. Gallen, Ernst Göhne rStiftung, Stanley Thomas Johnson Stiftung, Alfred Toepfer Stiftung F. V. S., GGG Basel, Goethe- Institut Brüssel, Goethe-Institut Johannesburg, Brussels Airlines, Spacial Solutions, Commission Nationale de Luttecontre le Génocide (CNLG), Deutscher Entwicklungsdienst (DED), Contact FM Kigali, IBUKA Rwanda (Dachorganisationder Opferverbändedes Genozids in Ruanda) and the Hochschuleder Künste Bern (HKB), Friede Springer Stiftung.

durata: 1h 50’
applausi del pubblico: 1’ 15”

Visto a Milano, Teatro La Cucina (Focus Media – Zona K), il 1° dicembre 2018

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