49° Santarcangelo Festival. Saluti (e baci) da Neklyaeva & Gilardino

Baci da Santarcangelo 2019|Cartoline da Santarcangelo 2019
Baci da Santarcangelo 2019|Cartoline da Santarcangelo 2019

Come ogni anno, il piccolo paesino di Santarcangelo di Romagna ha ospitato il suo storico festival, giunto alla 49^ edizione: quasi cinquant’anni di esistenza per uno dei centri nevralgici della ricerca della scena contemporanea.
Undici giorni di programmazione, 251 appuntamenti in 33 spazi della città per 196 performer coinvolti: innumerevoli dunque le attività, alcune in concomitanza, che pongono lo spettatore di fronte alla difficoltà della scelta, ma ricordano anche, oggi più che mai, l’importanza di un posizionamento culturale, sociale, politico.
Il tema del posizionamento è molto urgente per le direttrici artistiche uscenti Eva Neklyaeva e Lisa Gilardino, che non a caso inaugurano il festival con “The Crime of Rescue”, incontro pubblico per parlare delle ultime, gravissime vicende di migranti e naufraghi.
Se da un lato la valanga di spettacoli può essere disorientante, dall’altro collabora alla creazione di un clima febbricitante: si corre da una parte all’altra, distanze brevi macinate con l’euforia della novità che ti aspetta alla meta.

L’offerta del Santarcangelo Festival presenta lavori di notevole interesse. Il primo, per sovvertimento delle regole, intensità performativa e intelligentissimo lavoro di pulizia e sottigliezza è “Kiss”, nato da un desiderio di Silvia Calderoni e Ilenia Caleo durante la scorsa edizione della Biennale College a Venezia.
Dopo una fase di studio, la palestra abitata da 25 performer (tra cui le stesse Calderoni e Caleo, equamente unite ai giovani in scena) apre le porte al pubblico e mostra un lavoro acuto e spiazzante. Rivendicando la meravigliosa possibilità del fallimento – decisamente stornata, tuttavia – il “Kiss” di Warhol viene rilavorato e riverberato per durate lunghissime (due e tre ore), durante le quali i ragazzi e le ragazze mostrano senza reticenze di alcuna sorta l’azione del baciare.
Un bacio che si svuota di quella portata biecamente sessuale e diventa azione, gesto e incanto splendidamente umano, che si offre al pubblico.

Quando mai possiamo veramente osservare qualcuno baciarsi davanti a noi, senza subire lo stigma sociale che ci vieta il voyeurismo o ci porta a criticare la sfacciataggine della coppia?
Legittimo pensare che tre ore di baci siano un tempo estenuante per reggere l’assenza di una vera e propria drammaturgia. Ma consiglio vivamente di assistere a questa performance: lo studio proposto da Calderoni e Caleo ha una profondità tale e un lavoro di sottrazione così raffinato che il tempo si sfuma in una magia magnetica: impossibile andarsene – benché onestamente previsto.

L’intensità di gesti semplici che rifuggono da ogni possibile virtuosismo per arrivare ad una vibrazione e ad una qualità di movimento rara si ritrova in “Trigger”, che avevamo visto a Danae 2018 e riproposto da Annamaria Ajmone anche a Santarcangelo.
La danza è presente pure con MK, che dopo “Bermudas”, replicano con “Bermudas Forever”, dove il pubblico può divenire vero agente dello spettacolo: un piccolo palchetto di studio, infatti, ospita dei danzatori che insegnano i movimenti ai liberi partecipanti, prima di lasciare loro spazio sul palco, sbaragliando ogni confine scena/platea, danzatore/pubblico.

Non mancano lavori dal taglio più giornalistico e documentario. A partire da “Domìnio Pùblico” (di cui Klp ha già parlato nella prima puntata di Santarcangelo 2019), passando per “Public Movement”, una chiacchiera sulle ricerche di dipinti perduti dell’arte palestinese, fino a Kristina Norman con “Lighter than Woman”.
La Norman, su richiesta del festival, conduce una ricerca site-specific in quel di Santarcangelo su un tema molto attuale, quello delle badanti, fenomeno imperante nel “Bel Paese”. Il taglio documentaristico inevitabilmente pone lo spettare in una condizione di riflessione. Nell’insieme, però, lo sguardo dell’artista risulta un po’ troppo nazionalistico e politicamente corretto, analizzando solo aspetti del fenomeno di facile coinvolgimento empatico, senza entrare nel profondo di questi nuovi legami internazionali.

Fare teatro oggi non significa solo creare, ma soprattutto conoscere chi siamo attraverso il passato che ci ha preceduti, troppo spesso dimenticato o estromesso dalla storiografia dominante. È così che Santarcangelo ospita non solo performance ma anche momenti di riflessione di apertura collettiva allo studio, come il momento di condivisione dei membri del progetto “InCommon”, curato da Annalisa Sacchi dell’Università IUAV di Venezia.
Il team di ricercatori ha raccontato al pubblico il percorso condotto fino ad ora ed ha voluto raccogliere impressioni e input in vista del prossimo seminario di novembre.

L’aria a Santarcangelo, durante il festival, è fatta di scintille, che brillano fino a notte fonda, quando tutta questa nuova comunità, composta da spettatori, professionisti del settore, curiosi, autoctoni e artisti si addensa ad Imbosco, una radura non troppo lontana dal centro, animata fino all’alba da dj set e performance. Dj set di collettivi come Tropicantesimo, con le sue ammalianti atmosfere vegetali, o condotti dagli stessi artisti in scena, come l’epica serata conclusiva con la musica caleidoscopica di Silvia Calderoni.
Così, tra uno spettacolo e l’altro, finisci su un tetto ad ascoltare Cosmesi improvvisare – si fa per dire – un concerto, poco dopo ceni alla mensa nella piazza principale e a dividere il tavolo con te ci sono i Motus – direttori artistici della prossima edizione del festival – e quando vai a ballare ti ritrovi vicino di pista Alessandro Sciarroni. Il suo lavoro al festival è curioso e affascinante: ha condotto un workshop aperto al pubblico per recuperare la tradizione della Polca Chinata, restituendo il lavoro con una esibizione dal titolo “Save the last dance for me”.

Cartoline da Santarcangelo 2019
Cartoline da Santarcangelo 2019

E’ un ecosistema, quello di Santarcangelo, abitato da una fauna variopinta, che meravigliosamente lascia cadere ruoli e gerarchie, per coabitare nomadicamente spazi che diventano il luogo dell’incontro e del confronto, della ricerca oltre la scena e oltre quella che si pensa essere l’élite artistica. Un’isola felice destinata ad essere ricoperta dal mare della quotidianità, ma in cui, per una decina di giorni, sembra che il presente sia solo un fuoco d’artificio pronto ad un futuro esplosivo e rivoluzionario.

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