
Ed eccoci qui, noi di Krapp, a coordinare la tavola rotonda con cui si conclude la simbolica passeggiata performativa nei boschi di Brianza organizzata da Scarlattine Teatro e Scottish Dance Theatre.
400 metri di dislivello, un’ora di percorso nella natura con torrenti da attraversare, pozze d’acqua in cui specchiarsi, piccoli totem di pietre in equilibrio l’una sull’altra, e così pure alcuni danzatori, a cercare un baricentro con sé e con il mondo che ci circonda.
Arrivati in cima sediamo su questa splendida terrazza sulla valle, a parlare delle ragioni del teatro e della contemporaneità, in una conferenza aperitivo con Mario Bianchi, nostro collaboratore oltre che direttore artistico del Teatro Città Murata, Alessandra Belledi, alla direzione artistica del Teatro delle Briciole di Parma, Gigi Gherzi, attore, drammaturgo e scrittore, attivo presso Olinda a Milano, Gerardo Guccini, docente di Discipline dello Spettacolo all’Università di Bologna, e Janet Smith, direttrice artistica dello Scottish Dance Theatre.
Oltre a chi scrive e a decine di spettatori e curiosi, anche Michele Losi, di ScarlattineTeatro, padroni di casa qui a Campsirago.
La discussione, che parte dal silenzio, di cui molti spettatori ringraziano, grazie alle interessanti e appuntite provocazioni di Gigi Gherzi, allo struggente filmato preparato da Mario Bianchi con alcuni spezzoni di celebri film (sua passione), su un percorso logico che va dal tema della bellezza a quello della conoscenza per arrivare infine al teatro, si sviluppa lungo un’asse di discussione che finisce per parlare di impegno, società, coinvolgimento della scelta personale in quella collettiva.
E’ questo il senso, ad esempio, del decalogo preparato dal Teatro delle Briciole e di cui la Belledi ci dà lettura, o della riflessione che tutto chiude, lanciata da Gherzi e formalizzata con la solita icastica precisione dal prof. Guccini: non esiste vera libertà creativa senza regole, senza riconoscimento dell’altro. Una riflessione che abbiamo raccolto come indicazione anche da Andrea Nanni alla chiusura dell’edizione 2011 di Inequilibrio (la vedremo in un video prossimamente), o che si alza forte dal Teatro Valle occupato.
Una chiusa che si incastra perfettamente con le ultime sequenze filmate preparate per noi da Mario Bianchi.
Come nell’eremo al centro di un lago in una foresta incontaminata, il monaco buddista insegna al piccolo allievo a portare su di sé il peso e la leggerezza, e comunque la responsabile consapevolezza delle sue azioni, nello splendido “Primavera, estate, autunno, inverno… e ancora primavera”, film del 2003 diretto da Kim Ki-duk.
Così, dopo la faticosa passeggiata e la fruizione libera ma anche vincolata dal rispetto degli altri e dell’ambiente circostante, impariamo che questo rispetto finisce per essere politicamente e creativamente necessario, specchio dell’altro, fluire ininterrotto e quanto mai teatrale di voce e pausa.
Chiudiamo questa sessione di lavoro con un’intervista ai padroni di casa, Scarlattine Teatro, e rimandando, in calce, ai ricchi reportage redatti dall’interno dai collaboratori di Scarlattine, un diario affamato e saporito di un’esperienza forte, che vi invitiamo a leggere come traccia di memoria ma anche come testimonianza di un vissuto d’impegno e risposta a una chiamata, quella dell’arte, che come vocazione deve essere sempre intesa.
Michele, Palazzo Gambassi è un luogo che sa essere al contempo fuori dal mondo e cosmopolita. A cosa si deve secondo te questa alchimia?
Palazzo Gambassi è un luogo aperto sul mondo, per come è configurato architettonicamente e per come è esposto geograficamente. E la sua corte è una potentissima piazza naturale. Chi ci passa non può non subirne il fascino e la forza. L’alchimia di cui parli è legata alla capacità dei suoi custodi, in questa era geologica dei teatranti, di prendersi cura di questa sua caratteristica e di lasciarlo un luogo aperto al mondo.
La posizione naturale è certo uno degli elementi dominanti, con la natura lussureggiante e una vista incredibile che diventano palcoscenico naturale. Cosa ha aggiunto a questo la residenza di Scarlattine in questi anni?
La residenza ha aggiunto l’apertura e l’attenzione alle nuove generazioni del teatro, della danza e della arti figurative, e una forte propensione allo sguardo internazionale. Questo ha permesso al festival e a Campsirago di uscire da uno schema classico di festival estivo, legato prevalentemente al teatro di narrazione o ad una ricerca di genere od estetica settoriale, per prestare una grande attenzione alla politica dell’azione nel paesaggio, senza cadere nel new age o nel terzoteatrismo trent’anni dopo.
Pur fra molte difficoltà, Il Giardino delle Esperidi è riuscito a rilanciare una scommessa con il territorio, stimolando le altre residenze di Etre sulla modalità “rassegna” nel periodo estivo. In che modo funzionano i sistemi di reciproca contaminazione fra le residenze di Etre? Quali sono i vantaggi della rete?
All’interno delle residenze Etre esistono dei virtuosi processi osmotici, volontari e involontari. Alcune progettualità sono condivise, come anche alcune strategie, altre semplicemente si svolgono nell’attenzione per l’altro.
Quest’anno, ad esempio, noi e Dionisi avevamo due festival che in parte si sovrapponevano. Una produzione di Dionisi doveva essere programmata da noi, e viceversa. Alla fine abbiamo deciso di non farlo per questioni di gestione del tempo, dei tecnici, degli attori. Ma tutto è avvenuto nella più grande naturalezza e fiducia reciproca. Senza alcuna divisione di sorta. E con una comunicazione in parte condivisa. Questa è la forza della rete.
Abbiamo assistito, durante la rassegna, ad alcune vostre produzioni. La circuitazione degli spettacoli sta diventando un po’ un cruccio per molti. Lavori spesso di ottima fattura non riescono più ad uscire dal confine territoriale in cui vengono partoriti. Come si può ovviare a questo problema?
Producendo dei lavori di qualità, puntando sull’innovazione, guardando fortemente all’estero per la circuitazione, costruendo circuiti alternativi e reali, al di fuori dalle logiche di scambio che hanno caratterizzato e caratterizzano da decenni il teatro italiano.
Quali sono le parole chiave di questa edizione del festival che portate con voi, come eredità degli incontri di questa sessione d’arte?
Siamo diventati grandi (nel senso di adulti), abbiamo consolidato una relazione artistica molto forte con artisti che stimiamo molto (come lo Scottish Dance Theatre), grande interesse per il circo, per la danza, per le performing arts, attenzione speciale alla relazione con il pubblico, con gli artisti, con la critica, ma soprattutto la creazione di continue situazioni di reale e informale incontro tra questi tre attori fondamentali del teatro.