
Lo spettacolo si compone di quattordici scene che tratteggiano visioni diverse, a tratti poetiche, a tratti animalesche, mistiche, bibliche. Quattordici momenti in cui gli artisti svizzeri e africani coinvolti in questo progetto regalano al pubblico la loro animalità, le emozioni intorno alla bestia che c’è in loro, soprattutto attraverso le esperienze culturali acquisite ciascuno dall’ambiente di provenienza. Già, l’ambiente.
Lo spettacolo nasce infatti dopo un lungo lavoro teorico condotto da Marielle Pinsard, prima in Svizzera, con il coinvolgimento di vari esperti (un filosofo, un genetista, un cacciatore, uno storico, un antropologo…), a partire dal tema della capacità dell’essere umano di trasformarsi. Poi l’artista ha proseguito il lavoro in Sud Africa, in Mozambico e in Burkina Faso, alla ricerca di ritmi, di conti e forse, come ironicamente viene detto nello spettacolo, del “negro selvaggio”.
Un processo di conoscenza che è fatto di carnalità, di danze e di culture necessariamente diverse, come quella africana e quella occidentale. Un binomio che resterà scisso per tutto lo spettacolo; l’obiettivo infatti non è armonizzare le culture, processo forse impossibile, ma mischiarle.
Così, in scena, è inevitabile che gli artisti d’Occidente appaiano talvolta fragili figure di turisti confusi, pallidi e rigidi, e gli artisti africani a tratti solo comparse e spettatori di un racconto che ignorano. Il pregio dello spettacolo è regalare visioni culturali così diverse in un unico momento teatrale, con l’audacia di volersi spingere più in là, alla ricerca di qualcosa di ancora sconosciuto da raccontare.
Se il lavoro di improvvisazione intorno all’animalità dell’essere umano, la ricerca di quella parte istintuale, atavica, che dorme dentro di noi, non è certo un’idea originale, quello che piace di questa performance, che miscela danza, recitazione, musica e riti voodoo, sono proprio le energie che si creano in scena, la complessità e la diversità raccontata, le scenografie e i costumi.
A riprova di ciò, la bellezza dell’inizio: Julie Cloux, bravissima, racconta la storia della Bella e del bestiame, singolare adattamento de “La Bella e la Bestia”, e dà così inizio alla storia.
Qualche fragilità affiora laddove alcune scene restano un po’ macchiette – ma con quanta ironia? -, e dove l’assenza di testo disorienta di più lo spettatore, lasciandolo, per alcuni momenti, nel limbo dell’incomprensione. Tuttavia lo spettacolo è nel suo complesso ricco, ironico, ben costruito e a tratti imprevedibile.
En quoi faisons-nous compagnie avec le menhir dans les landes?
testo e regia: Marielle Pinsard
con: Albert Hounga, Anne-Laure Brasey, Edoxi Gnoula, Fiamma-Maria Camesi, Guy E. Kponhento, Julie Cloux, Sally Sly, Valerio Scamuffa, Wabinlé Nabié
scenografia e creazione luci: Sallahdyn Khatir
realizzazione accessori e costruzione decori: Denis Faure
creazione suono: Ivan Verda
maschere: Isabelle Fournier, Yocouba Kone
costumi: Irène Schlatter, Severine Besson
produzione: Cie Marielle Pinsard
durata: 1h 40′
applausi del pubblico: 2′
Visto a Ginevra, Théâtre St Gervais, l’8 settembre 2012
Festival La Bâtie