Accade che grandi personalità vengano riconosciute quando ormai è troppo tardi, cioè una volta scomparse. Si dice “passate a miglior vita”, evidentemente proprio perché durante quella terrena non hanno accolto quel favore che invece, puntualmente, arriva postumo. Un’elezione tempestiva e unanime che rende tali nomi intoccabili. “Riposino in pace”.
Il prossimo 2 novembre saranno passati 35 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini: evidentemente troppo poco tempo per trovare una misura ammessa e condivisa della sua grandezza, visto che, nonostante l’affermazione internazionale come scrittore, poeta, regista e autore, cinematografico e teatrale, la vita dell’intellettuale di origine emiliana, terminata a Roma nel 1975, è ancora oggi fatto d’attualità. E, in quanto tale, apre dibattiti e schiera le coscienze, unendo però competenze politiche e culturali. Meccanismo coerente con la figura di Pasolini, intellettuale, attento osservatore delle trasformazioni sociali, dal dopoguerra a oggi, quando ancora stupisce la radicalità dei suoi giudizi. Quando ancora si indaga sulla sua morte, un assassinio feroce che negli anni è stato sempre più ragionevolmente definito complotto: “Pasolini dava fastidio a molti con il coraggio delle sue analisi e delle sue denunce, ed è probabile che qualcuno alla fine abbia voluto fargliela pagare”, afferma Roberto Carnero, docente di Letteratura italiana all’Università degli Studi di Milano, autore di “Morire per le idee. Vita letteraria di Pier Paolo Pasolini”, recentemente edito da Bompiani. “Il mio libro non vuole sposare una tesi definita, ma mettere in luce il nesso tra l’impegno pasoliniano, la sua vita e, purtroppo, anche la sua fine”.
Al contrario, la tesi di complotto è per Marco Belpoliti “dietrologia, sintomo in senso psicoanalitico della propensione alla paranoia che attanaglia la sinistra italiana, o almeno alcuni intellettuali, scrittori, o persino giudici”. Ecco il succo di “Pasolini in salsa piccante”, edito da Guanda, altro volume in uscita in questi giorni.
Ad accendere i toni, nel caso fosse necessario, ci ha pensato Garzanti Editore che ristampa “La religione del mio tempo”, il poemetto che nel 1961 scandalizzò per il soggetto, così presentato al tempo dall’autore: “La crisi degli anni Sessanta… la sirena neo-capitalista da una parte, la desistenza rivoluzionaria dall’altra: e il vuoto, il terribile vuoto esistenziale che ne consegue”. E se allora suonò come denuncia, fu anche inconsapevolmente previsione dell’oggi, come scrive Franco Marcoaldi nella prefazione attuale: “Quanta verità in questa poesia dello sdegno per la volgarità della ricchezza, in questa rabbia impotente contro l’ottusità degli uomini che dovrebbero guidare gli altri verso la meta”.
L’essere-critico-Pasolini è forse ciò che non ha ancora esaurito il parlare di lui, provocare attraverso di lui, o dimostrare di averne riconosciuto, se non i meriti di autore, almeno il coraggio di uomo. È notizia fresca che il sindaco di Roma Gianni Alemanno non solo ha proposto l’apertura di un museo dedicato allo scrittore friulano all’Idroscalo di Ostia, ma ha già stanziato un milione di euro. Una cifra non indifferente di questi tempi, ma necessaria: “Non è pensabile che in questa città non ci sia un museo dedicato a un grandissimo cantore delle periferie romane e un grandissimo poeta che appartiene alla cultura nazionale”. A dire il vero, alla Torre San Michele, luogo destinato al prossimo museo, a pochi metri dalla scena del crimine che si svolse nella notte tra l’1 e il 2 novembre 1975, esiste già un tempietto della memoria intitolato allo scrittore, in cui si svolgono incontri e appuntamenti letterari. Ex sito per discariche abusive, è stato bonificato dai volontari della vicina Oasi Lipu e da qualche anno è uno dei “Parchi letterari Pier Paolo Pasolini”. Nella capitale, in effetti, gli onori allo scrittore non mancano, e raramente, quando sfiorano la politica, rischiano di macchiarsi di polemica. Hanno piuttosto il sapore della festa: “Ciao Pierpà” è il festival di musica, teatro, arte, letteratura e cinema, accompagnato da prime visioni, incontri e dibattiti, durato un mese, dal 2 ottobre al 2 novembre, nelle zone romane più frequentate e amate dallo scrittore. Oltre a questi quartieri, la Provincia di Roma e la Regione Emilia Romagna hanno patrocinato la manifestazione, visto che Bologna è la città natale di Pasolini.
Ma sarà Casarsa, in provincia di Pordenone, ieri e oggi “casa Pasolini” (fu casa della famiglia materna ed è Centro Studi Pasoliniani), a ospitare il prossimo 5 e 6 novembre un convegno nazionale: alla presenza di Luca Ronconi, Massimo Castri, Italo Moscati e molti altri registi si affronterà “Pasolini e il teatro”, per scoprire in che modo l’autore ha ispirato e continua a dettare i temi alla scena italiana. Il convegno si trasferirà poi il weekend successivo a Bologna, con meeting internazionale di studi sul teatro nel Dipartimento di Musica e Spettacolo dell’università. L’attenzione dei registi sarà puntata in particolare alla drammaturgia impegnata, pesantemente concettuale, di Pasolini, e quindi alla limitata praticabilità scenica dei suoi drammi. Un dato di fatto condiviso dai registi italiani, un dettaglio tecnico che ha forse svantaggiato la diffusione dell’opera teatrale pasoliniana, a tutto vantaggio di chi non ha sostenuto la poetica dello scrittore, negli anni del suo “Manifesto per un nuovo teatro” e oggi.
Fu a metà degli anni Sessanta che si concentrò la stesura delle tragedie borghesi, ma ancora oggi la loro rappresentazione è problematica. Nel luglio scorso, il direttore del Teatro Out Off fu invitato dall’assessorato alla Cultura della Provincia di Milano a sostituire in cartellone “Orgia” con un altro titolo. Motivo? “Non toccare temi scabrosi come l’omosessualità”. Fortunatamente invece, lo spettacolo andrà in scena il prossimo marzo. Tuttavia, il capoluogo lombardo non brilla per le iniziative preparate in occasione del prossimo 2 novembre.
Dopo “Immagini corsare”, mostra inaugurata il marzo scorso con fotografie originali di Pasolini e una selezione delle sue opere, arrivata dopo anni di silenzio (l’ultima mostra su Pasolini a Milano fu nel 1993), la città sembrava aver dimenticato l’imminente anniversario. E invece ci ha pensato il Teatro Franco Parenti a rendere omaggio all’autore, attraverso tre artisti, diversi ma ugualmente rappresentativi della scena italiana, che interpreteranno altrettante letture di Pasolini: Antonello Fassari racconta “La Ricotta”, Filippo Timi leggerà “Lettere a Silvana”, dalla corrispondenza tra Pasolini e Silvana Mauri, e infine i Motus presenteranno “Come un cane senza padrone”. Accompagnerà le repliche teatrali, la rassegna cinematografica Sguardi, fatta di proiezioni di celebri film o brevi inediti, ma anche documentari e interviste. Infine, tre itinerari fotografici provenienti dal Centro Studi Pasoliniani di Casarasa: tra questi, “Pasolini e il calcio”, a testimoniare la passione dello scrittore per questo sport. Tant’è che la morte dell’autore verrà ricordata nella notte tra l’1 e il 2 novembre, con una partita di pallone nel foyer del Teatro Franco Parenti, perché “il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo” (Pier Paolo Pasolini).