“Bobby Fischer. Il re indifeso” è l’anteprima nazionale con cui la compagnia Laminarie apre la rassegna bolognese Monopolio-Quattro vite di un’altra fibra. Un percorso di tre settimane in cui, tra incontri e proposte teatrali, verranno raccontate quattro figure – Bobby Fischer appunto, Simone Weil, Jackson Pollock e Varlam Šalamov – le cui vite diventano racconto di chi, attraverso le proprie scelte, ha messo in discussione il rapporto del singolo con il potere.
Una scelta precisa, quella di Laminarie, una volontà di guardare altrove rispetto al limite della propria esistenza individuale, attitudine propria di quello che la compagnia definisce un momento, quello attuale, di crisi.
Significativo è anche lo spazio in cui la rassegna ha luogo: ottenuto in gestione dalla compagnia, con il contributo della Regione Emilia-Romagna e del quartiere San Donato di Bologna, la cupola Dom del Pilastro nasce anche grazie all’adesione di 450 cittadini che, attraverso una donazione simbolica, hanno contribuito a difendere e sostenere uno spazio voluto col preciso intento di dialogare, attraverso varie proposte, col tessuto sociale circostante. Non sempre una necessità di questi tempi.
Uno spettacolo su Bobby Fischer, dunque. Ossessionato dagli scacchi fin dall’infanzia, tanto che la prima scacchiera gli fu regalata a sei anni, ed estremo nella vita personale adulta (molto discusse alcune sue dichiarazioni pubbliche antisemite e misogine), Fischer divenne l’eroe americano per eccellenza quando, in piena Guerra Fredda, vinse il titolo mondiale nel 1972 contro il russo Boris Spassky a Reykjavík, in uno scontro durato circa due mesi.
Eppure quel titolo di eroe della Guerra Fredda non lo volle per sé, e si sottrasse alla strumentalizzazione politica da parte di un Paese che, in seguito, combatté con dichiarazioni e aperti gesti di sfida, fino all’allontanamento definitivo dagli Stati Uniti, dove non tornò mai più.
Ma Fischer non fu un contestatore politico; era uno scacchista, geniale. E quella fu l’ossessione che dominò la sua esistenza e che lo portò a scelte radicali: una coerenza estrema con se stesso, in quanto individuo.
Ed è proprio dell’individuo che il regista Febo Del Zozzo vuole raccontare.
Lo spettacolo si apre con tre figure: un adulto, un bambino, un anziano, che corrono intorno a una scena fatta di cavi elettrici che cadono dall’alto, vecchie radio a valvole, grovigli di corde. I tre, passandosi un testimone rosso, raccontano con gesti, partite a scacchi vinte o rifiutate e poche parole la vita di Fischer, attraverso un percorso emozionale più che lineare dal punto di vista narrativo, ma usando un linguaggio fortemente simbolico.
Conoscere la storia di Bobby Fischer diventa però fondamentale per poter seguire lo spettacolo, e questo rappresenta un limite, perché alla mancata comprensione non si accompagna un’adesione emotiva forte.
I corpi degli attori, scelti con cura, sono significativi, soprattutto quello del Fischer adulto; ma le immagini cui danno vita, il rapporto con gli oggetti in scena, i repentini cambi di direzione e tensione a cui sono sottoposti non sempre risultano leggibili. Non si tratta di desiderio di assoluta chiarezza. La sensazione è che non si sia percorsa a fondo una scelta: il linguaggio prevalentemente visivo dello spettacolo non riesce a creare un contesto tale da sostituire la narrazione, ma neppure a raccontare efficacemente la vicenda in altro modo.
BOBBY FISCHER. UN RE INDIFESO
con: Lorenzo Bernini, Alessandro Cafiso, Emilio Vittorio Gioacchini
regia, scene e suoni: Febo Del Zozzo
produzione: Laminarie
con il contributo di Regione Emilia Romagna – Assessorato alla Cultura/ Provincia di Bologna – Assessorato alla Cultura
durata: 48′
applausi del pubblico: 2′ 15”
Visto a Bologna, Dom del Pilastro, il 24 ottobre 2010