Se le Colline Torinesi si trasferiscono in città. E guardano al futuro

PPP di Ricci / Forte|Daria Deflorian e Antonio Tagliarini (photo: Silvia Gelli)
PPP di Ricci / Forte|Daria Deflorian e Antonio Tagliarini (photo: Silvia Gelli)

Torniamo oggi, per un ultimo sguardo estivo, al Festival delle Colline Torinesi, che ha omaggiato la sua XXI edizione con 21 spettacoli: un ventennio di storia che ha anche significato il mutare delle location scelte per gli spettacoli, con un progressivo abbandono, purtroppo, degli splendidi spazi collinari che negli anni avevano dato non solo il nome ma anche una precisa identità al festival, in qualche modo poi ‘costretto’ (per motivi economici oltre che per la ben più complicata organizzazione logistica) a diventare sempre più “cittadino”, intercettando al contempo un pubblico più ampio.

Da quando poi, ulteriore cambiamento, le Colline non abitano più nemmeno gli spazi della Cavallerizza Reale, il ruolo iniziale di quelle ville fuori città, delle chiesette sconsacrate e dei luoghi isolati sconosciuti ai più, che avevano caratterizzato almeno il primo decennio di eventi, è stato sostituito da altre sorprese: il festival, infatti, soprattutto in questi ultimi anni ha dato la possibilità al suo pubblico di rendersi itinerante per Torino, dalla lettura dei tarocchi in un caffè alle performance nei musei alla riconversione degli spazi ex industriali, scoprendo insolite location cittadine (ricordiamo, ad esempio, nell’edizione 2015, il suggestivo spazio de Le Roi Dancing per lo spettacolo su Fred Buscaglione di Fanny & Alexander), luoghi che sono già spettacoli di per sé.

In questa edizione la perla da scoprire è stata la Fabbrica delle E del Gruppo Abele, ex fabbrica CIMAT che ha rigenerato i suoi enormi spazi con le tante attività sociali e culturali fondate da Don Ciotti.
Oltre alla sala teatrale, in cui abbiamo visto “La donna che cammina sulle ferite dei suoi sogni” della Compagnia Viartisti, omaggio alla fotografa Letizia Battaglia e alla sua testimonianza nelle terre di sangue della mafia, abbiamo scoperto un mondo incredibile grazie ai lunghi corridoi che portano alla sala: librerie, ristoranti sociali, aule dedicate al supporto psicosociale, dalle dipendenze alla cooperazione internazionale.
Con il suo nome, la Fabbrica delle E, comprendiamo davvero quell’inclusione che non esclude l’incontro con il diverso da sé; una location che ingloba alla perfezione la vocazione e il senso della vita di Letizia Battaglia.

Accanto alle location insolite i teatri più collaudati: dalle Fonderie Limone al Gobetti e all’Astra. Proprio qui è andato in scena l’interessante spettacolo iraniano “Hearing” del Mehr Theatre, una ricerca artistica legata alle tematiche della guerra, della giovinezza e del mondo femminile.
Qui il disagio e la sopravvivenza sono raccontati attraverso l’esistenza di quattro donne asserragliate nel recinto di un dormitorio, garante della loro libertà d’espressione.
Le quattro attrici in scena sono strepitose, la drammaturgia ha un ritmo e una comprensione immediati nonostante la lingua, e il lavoro tra video e scena è minuzioso e puntuale, senza cedere mai a uno stile “modaiolo”. Senz’altro tra i migliori spettacoli stranieri ospitati in quest’edizione.

Per descrivere alcune delle novità italiane di cui non avevamo ancora parlato partiamo invece da Monica Bacio, alias Lorenzo Fontana, che firma anche la regia di questo debutto.
La storia è quella di un ragazzo che prende coscienza della sua identità sessuale. La vicenda è narrata in versi d’italiano volgare, attraverso un triangolo fra il protagonista, che ha raggiunto consapevolezza (lo stesso Fontana), un sé stesso in boccio (Olivia Manescalchi) e il pubblico – a cui si aggiungerà Giancarlo Judica Cordiglia nei panni d’un vecchio pederasta.

C’è molta carta nello spettacolo, sia nel senso di libresco (innanzitutto nella scelta d’una lingua in maschera, poi nella divisione in capitoli e negli oggetti di scena) che in quello legato alla cartapesta presente.
Effetti sorpresa con cojoni-lampadario, cazzi-floreali, coni di mammelle, per esplorare con brio le ombre del desiderio. L’ambiente carnascialesco è confacente alla lingua libertina, in versi rimati, che a tratti solleva – ma più spesso appesantisce – una vicenda che ripercorre i luoghi del mito omosessuale: il travestimento, il cespuglio, la sauna.
Un bel momento è il monologo del vecchio pederasta con la metafora della vita come imbuto, lui delabré, disincantato davanti alla fauna umana che s’accoppia, con Martini in mano.
Sulla stessa materia, va detto, basterebbe qualche pagina del grande Aldo Busi a darci forse altro spessore.
La chiosa è da teatro settecentesco, con il messaggio-morale di commiato specificato come viatico, un papesco saluto ai pargoli, un consiglio per il loro destino, già di per sé irto di pericoli senza metterci sopra il carico di altre frustrazioni, di altri comandamenti. Siate quanto sentite di essere, prendete il mio bacio, dice Monica Bacio, oramai fatta forte delle sue esperienze e involata sul suo cocchio solare, a trazione fallica.

Se tematiche come sesso, omosessualità e frustrazioni siamo abituati ad abbinarle anche a Ricci/Forte, quest’anno il loro ritorno alle Colline Torinesi, che li coproduce, è stato sotto il segno di un omaggio a Pasolini.
Con “PPP” e un cast al femminile di performer europee, guidate dalle presenze assodate di Anna Gualdo e Giuseppe Sartori, Ricci/Forte puntano il dito ancora una volta contro l’omologazione della vita contemporanea, richiamando il valore etico dei messaggi di Pasolini. Meno nudi e più parole. In un pout-pourri non sempre facile da decifrare, in cui incalzano e si affastellano rimandi scanditi dai colori fluo del fondale.
Dalla dimora parigina – abbandonata un’Italia che non dava loro più stimoli – Ricci/Forte innestano in questo lavoro una maggiore sobrietà, meno urla (seppur si partorisca con dolore qualcosa), elementi che giovano anche all’estetica complessiva.

Altre interessanti novità sono stati sia il debutto di Anagoor con “Socrate il sopravvissuto“, che l’anteprima di “Killing Desdemona” di Balletto Civile, di cui già vi abbiamo raccontato, mentre tra gli spettacoli rodati che hanno avuto maggior successo tra il pubblico non possiamo dimenticare “Scende giù per Toledo” di Patroni Griffi che vede sia in scena che alla regia Arturo Cirillo.

Ci spostiamo nettamente da queste tematiche per il racconto presentato a Torino da Daria Deflorian e Antonio Tagliarini della vicenda di Janina Turek, stupefacente nel suo essere inquietante.
Alla morte di questa signora polacca la figlia ritrovò infatti 748 quaderni in cui la madre aveva annotato, negli anni, tutti gli “eventi” della sua vita. Puri fatti quotidiani: cosa aveva mangiato (colazione, pranzo e cena), chi aveva incontrato, dove era andata e così via. Eventi suddivisi per categorie, con numeri progressivi.
Nessuna emozione, nessun commento. Una realtà raccontata minuziosamente e solo attraverso fatti. Le uniche emozioni emergono dalle cartoline che lei stessa si scriveva.

Daria Deflorian e Antonio Tagliarini (photo: Silvia Gelli)
Daria Deflorian e Antonio Tagliarini (photo: Silvia Gelli)

Inutile dire che tutti questi scritti hanno impedito a Janina Turek di vivere realmente la propria esistenza: la costruzione di un mondo autistico che ben si inserisce nel disagio del nostro tempo per una patologia che si avvicina alla psicosi.
Deflorian e Tagliarini sono partiti da questo immenso materiale testuale per avviare una serie di corto circuiti teatrali focalizzati sulla percezione e sulla rappresentazione della realtà attraverso una persona che praticamente non l’ha vissuta.
Ecco allora che, anche nella trasposizione in scena, non si riesce a “spostarsi” dall’indubbia fascinazione della storia di Janina. Si sorride certo, perché per un attimo riconosciamo le nostre manie, le nostre piccolezze. Ma per poco. Poi il rischio di “spiare” di nascosto una malattia del nostro tempo quasi ci pervade, e arriva l’amaro in bocca nel pensare che in fondo siamo solo numeri ed elenchi: cosa ho mangiato, chi ho visto, quanti passi ho fatto, quanti ‘Like’ ha raccolto la mia foto…
E’ davvero questa “Reality“?

Salutiamo la XXI edizione delle Colline con questa breve chiacchierata finale con Isabella Lagattolla, che insieme a Sergio Ariotti firma, dal 1996, queste “prove d’attore in estate” che, per il 2017, potrebbero guardare alla Spagna.

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