Acqua di Colonia. Timpano e Frosini su un colonialismo a/r

Photo: Ilaria Scarpa
Photo: Ilaria Scarpa

‘-    Ma è vero che anche noi, dico noi italiani, noi italiani brava gente, siamo stati colonialisti?
–    Non ci posso credere!
–    E invece sì che lo siamo stati! Non ti ricordi? Lo siamo stati per tanti anni, attraverso una storia di vittorie e sconfitte, di morti e gasati (nel senso di uccisi con il gas, gli altri ben inteso, non noi!). Era una storia iniziata ben prima del Fascismo.
–    Non può essere vero, dai, mi stai imbrogliando!

Dopo “Dux in scatola”, “Aldo Morto” e “Risorgimento Pop”, Elvira Frosini e Daniele Timpano, con l’aiuto della scrittrice italo-somala Igiaba Scego, che queste cose le ha studiate e le conosce bene, tornano ancora indietro nel tempo per ridarci nuove certezze, per rimettere le cose al loro posto, affrontando attraverso il loro teatro caustico ed impertinente, pieno di paradossi, il tema del colonialismo italiano, ma con un occhio al presente, come dovrebbe fare il buon teatro che parla agli spettatori seduti in sala.

In “Acqua di Colonia” ecco allora i nostri due eroi, vestiti di tutto punto, calzoncini corti e camicia bianca, a riportare alla memoria una serie di eventi di cui avevamo solo pochi indizi, composti da “sentito dire”, rimozioni, luoghi comuni, saggi, e pur anco fumetti e cartoni animati. E perfino da canzoni, sì da canzoni! Chi non ricorda, infatti, “Tripoli bel suol d’amore”, “Faccetta nera”, “Sanzionami questo”, ascoltate molte volte in un vecchio LP di Paolo Poli?! Beh’, sì, in effetti forse i più giovani non sapranno neppure di che stiamo parlando…

E di quei luoghi di cui non conosciamo bene la geografia, luoghi indistinti che chiamiamo genericamente Africa, sappiamo esattamente cosa sono, dove sono, Somalia, Libia, Eritrea, Cirenaica ed Etiopia? E Tripoli, Dire Daua, Cirenaica, Libia, Gimma, Gondar, Makallé, Asmara… perché li ricordiamo? Cosa hanno rappresentato?

Nella prima parte dello spettacolo Frosini e Timpano, pian piano, attraverso il loro modo di far teatro ironico e iconoclastico, corroborato dai “facciamo che”, “immaginiamo che”, mettono sapientemente uno dopo l’altro dati e date, di fronte ad un pubblico curioso e spesso amaramente divertito, che forse non si rende neanche conto di essere allo stesso tempo colpevolizzato, mentre Evelyne Afaawua assiste in scena, muta, seduta in disparte, alla recita, simbolo di quei popoli sempre muti, mai interpellati e lasciati a lato nelle decisioni importanti.

Nella seconda parte dello spettacolo il gioco si fa più duro, e tutto quello che sembravamo aver rimosso, torna ad essere presente per riverberarsi sui nuovi “africani”, che non stanno più là dove si confrontavano con i nostri padri e nonni, ma ce li troviamo intorno, “a casa nostra”, perché, in definitiva, quella storia di sopraffazione di non tanti anni fa è rimasta in qualche modo intatta nella considerazione che abbiamo di questi africani che oggi sembrano invadere la nostra tranquillità.

Per ribadire il messaggio lo spettacolo si immerge verso altri lidi, quelli della nostra pretesa e manifesta superiorità intellettuale sulla razza negroide, che viene ribadita sia dall’ascolto dell’Aida verdiana, schiava etiope che soccombe agli egiziani, sepolta viva, sia dagli echi narrativi di Karen Blixen, autrice de “La mia Africa”. E poi con beffarda invenzione c’è anche Pasolini che, dall’alto e nel medesimo modo, si rivolge al sottoproletario Ninetto Davoli con la sua poesia pur imbevuta di profezie tristemente attuali.

Ecco dunque che, a fine spettacolo, ci accorgiamo improvvisamente di non esser stati propriamente brava gente, e di non esserlo forse neanche oggi. A ricordarcelo c’è uno scimpanzé di pelouche, simbolo tenero e accattivante di un bambino Unicef, ossia di chi è stato sempre calpestato, a cui viene finalmente data la parola attraverso la voce di Sandro Lombardi.

Quell’odore di acqua di colonia, che una buona doccia sembrava aver scacciato, ci è insomma rimasta ancora addosso e non vuole più andarsene.

Daniele Timpano ed Elvira Frosini imbastiscono un amaro contributo per ricordare non solo un pezzo di storia che ci riguarda molto da vicino, ma anche per riflettere sulle nostre contraddizioni. Al lavoro gioverebbe forse una sfoltitura di riferimenti e di passaggi che a volte fanno perdere il filo del vero discorso, ma si tratta comunque di un discorso importante, che meriterebbe di essere proposto in tutte le scuole del regno, ooops… della Repubblica!

Lunedì 6 febbraio alle 17 al Teatro Argentina di Roma si terrà la presentazione del libro edito da CuePress, con letture di Lucia Mascino e Valerio Aprea (ingresso libero); mentre lo spettacolo sarà poi in scena nella capitale dal 28 febbraio al 2 marzo.

ACQUA DI COLONIA
testo, regia, interpretazione: Elvira Frosini e Daniele Timpano
consulenza: Igiaba Scego
voce del bambino Unicef: Sandro Lombardi
aiuto regia e drammaturgia: Francesca Blancato
scene e costumi: Alessandra Muschella e Daniela De Blasio
disegno luci: Omar Scala
progetto grafico: Valentina Pastorino

Visto a Milano, PimOff, il 31 gennaio 2017

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