Inteatro 2012: un festival tra due sguardi

Valentina Rosati in Villa Noir|La Passeggiata del progetto Camminare l'arte a Inteatro 2012
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La Passeggiata del progetto Camminare l'arte a Inteatro 2012
La Passeggiata del progetto Camminare l’arte a Inteatro 2012 (photo: camminarelarte.wordpress.com)
Vi proponiamo oggi un racconto a due voci su due delle tre giornate di Inteatro 2012.
Stefania Zepponi e Alessia Raccichini, redattrici marchigiane di Klp con età, gusti, personalità e backgroud diversi, sono state mandate in avanscoperta in giro per i luoghi del festival a guardare, annusare, percepire.
Ecco cosa ne è venuto fuori.

Capitolo 1. Arrivo a Polverigi… ma dove sono? 

A.R.: Impossibile non capire subito che sarebbe stato un festival diverso: dove sono le macchine ammucchiate nel parcheggio? Dov’è la fila davanti alla biglietteria? E il corri-corri da uno spettacolo all’altro per vedere quanto più possibile? Pubblico, artisti, popolo dei teatranti: dove siete?
Dopo la battuta d’arresto dello scorso anno pensavo che ci saremmo ritrovati tutti, per celebrare Inteatro che resiste, anche se con un nome nuovo: Villa Nappi Festival 2012. Ma… c’è nessuno qui?

S.Z.: Volo, sono in ritardo, anche se la parola “ritardo” per Inteatro non ha più valore da molti anni; ma tant’è, una pratica, una consuetudine alla precisione mi spingono comunque a essere in orario. Sono in vicinanza di Villa Nappi, cartelli e transenne limitano un traffico inesistente, trovo anche parcheggio, subito. Sul lungo viale di accesso pochi personaggi, volti un po’ spenti, sembrano capitati lì per caso. Biglietteria, davanti a me solo una coppia, quasi dieci minuti per poter ritirare i miei accrediti. Non un programma in vista, e la suddivisione in percorsi, novità di quest’anno, non è supportata da un materiale cartaceo che indirizzi la comprensione e l’orientamento, il tutto non aiuta a trovare la strada per una tranquilla e serena fruizione del festival.
Forse avremmo dovuto stampare il programma a casa, siamo un pubblico viziato dalle consuetudini. Il senso di spaesamento aumenta, mi sento sola e abbandonata nella bellissima zona antistante la villa che apre sul parco. Nessun fervore creativo, aria stagnante di chi sembra essere venuto solo a prendere un po’ di fresco sotto gli alberi. Mi assalgono le memorie degli anni passati, di quando si sgomitava per potersi aggiudicare un posto, di come ovunque ti girassi potevi vedere persone interessanti, colorate, curiose e di come le cose accadevano sotto gli occhi stupendoti, aprendoti mondi sconosciuti, nutrendo la tua voglia di sapere e di conoscere.
Ora invece questo vuoto, opprimente, demotivante. Crisi economica? Crisi del teatro? Cattiva gestione di un patrimonio che si era consolidato negli anni e che negli anni piano piano si è eroso? Tante le domande.

Valentina Rosati in Villa Noir
Valentina Rosati in Villa Noir
Capitolo 2. Venerdì: tra Villa Nappi e la Luna, luoghi di antichi ricordi

A.R.: Dodici anni fa la mia prima volta a Polverigi. Da allora per me è luogo di scoperta, confronto, incanto. Eppure quest’anno, dopo le prime due visioni – la performance “Fuck the crisis – Let’s dance” della greca Maria Theodosiu, e “3×0 project: Villa Noir” della regista marchigiana Valentina Rosati – ho la sensazione di imbattermi in un paradosso.
Il primo è un esempio di “ricerca” in perfetto stile Inteatro, tanto più che la Theodosiu è una delle partecipanti all’Ifa, il programma di perfezionamento e ricerca che funge da residenza artistica internazionale. Purtroppo però nella ricerca non sono riuscita a cogliere né la freschezza, né lo stupore celato dietro l’ordinario che un artista dovrebbe poter svelare.
Il secondo invece, un ‘divertissement’ sulle corde del cinema noir anni ’40, così vintage, pareva c’entrare davvero poco con Polverigi, eppure traboccava di gioia, ‘allure’ e delicata poesia.
M’illumina la riflessione di un’amica teatrante: non è il teatro a essere in crisi. Forse la crisi è solo nel contemporaneo. O forse la crisi è solo quella della produzione, perché l’incanto e la magia richiedono mezzi e tempo. E mentre la Theodosiu avrà avuto pochi giorni per mettere su una performance, arrabattando gli oggetti di scena in giro per il paese, la Rosati è stata convocata per il festival quest’inverno.

S.Z.: Scelgo il percorso blu, mi porta alla Luna, la tensostruttura che ospita lo spazio teatrale al chiuso del festival. Due performance in programma, accidenti a me che non ho stampato niente e non sono pronta. Vago cercando del materiale e pensando che forse è meglio così, non farsi influenzare prima da parole che raccontino ciò che gli occhi vedranno.
Rintraccio un po’ di cartoline (per altro molto belle) e scopro che la prima performance è di Beatrice Baruffini, “Frame – Montaggio fissato a un corpo”, suo primo lavoro nato grazie alla collaborazione con Claudia Dias nell’ambito del programma di perfezionamento e ricerca di Inteatro Ifa – Inteatro Festival Academy 2011.
Dell’altra performance rintraccio solo una locandina attaccata al muro: Lara Russo, una delle partecipanti a Ifa 2012 presenta “Anthia”.
Bene, sono pronta posso entrare.
Ma quando esco mi accompagna una sensazione di incompletezza, anche di rammarico: idee interessanti, luci di intuizioni oscurate da una povertà di mezzi che non le aiuta ad emergere e a trovare un compimento reale, a sostenerle nella visione. Scopro poi, nelle chiacchiere post festival, seduti ai tavolini del bar, nella sottile aria di rilassamento e indagine sul fatto e sul visto, tutte le difficoltà e le manchevolezze di un sistema produttivo che non c’è, che non sostiene la creazione; un “usa e getta” di idee e fatiche fatto sulla pelle di una passione che tenta di diventare un lavoro ma che, in questa situazione, non trova un respiro.

Capitolo 3. Sabato: sul campo di erba medica a guardare il nulla

A.R.: Il ‘nulla’ in questione è lo spettacolo “De plaga cordis” della compagnia marchigiano-romagnola Un’ottima lettera, che si avvale per l’occasione della prestigiosa collaborazione dei fratelli Quay, maestri del cinema di animazione e scenografi di fama internazionale.
La performance si svolge in un campo, all’imbrunire. Intorno colline e cielo stellato. Dentro, il nulla (o quasi). Il vero spettacolo si costruisce ‘dentro’ lo spettatore. Il poco che avviene tra l’erba medica, tra identità che appaiono e (soprattutto) scompaiono, è quanto basta a nutrire l’immaginazione. Una noia ipnotica domina la visione. Qualcuno si arrende e se ne va. Chi resta intuisce che non si tratta di uno spettacolo ma di un’esperienza.
Mi chiedo se, a qualche livello, non si tratti di un’occasione mancata: come accontentarsi di un disegno a carboncino quando poteva essere un affresco. Mi ci vogliono tre giorni per capire che il progetto ha c’entrato l’obiettivo: l’affresco si sarebbe creato poi, dentro di me, una volta ripresa dal tedio.

S.Z.: Abbandonati in un campo di erba medica che apre lo sguardo sulle colline circostanti, ritrovo gli umori e le belle sensazioni degli anni passati, quando Polverigi era sinonimo di sperimentazione, del senso dell’osare e del rischio. Nella calma e nella profondità della campagna, che placa l’affanno della nostra vita di corsa, ci viene richiesto un tempo dell’ascolto, della percezione di ciò che ci circonda nelle dosatissime, piccole pennellate che l’uomo può tracciare in tanta vastità.
Con grande senso della misura, con grande maestria nell’interpretazione della visione, la compagnia Un’ottima lettera ci coinvolge in una esperienza che trova proprio nel lungo tempo della visione la sua ragione di essere.
Volto le spalle a Polverigi, me ne vado tenendomi dentro questo piccolo regalo; da qualche parte, in un altrove, forse si può ancora avere il tempo del pensiero che permette a una produzione di chiamarsi tale.
 

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