Dall’audience development di “Spettatori danzanti” alle esperienze formative intergenerazionali dei protagonisti del festival
E’ un sabato di maggio, fuori il sole invita a godersi la città di Vicenza all’ora dell’apericena, mentre i riflettori sul festival Danza in Rete si accendono per una delle ultime date. La sala di Spazio Bixio è gremita. Il pubblico è trasversale per età e stile, eppure unanime è la reazione al primo spettacolo: partecipe, appassionata, entusiasta.
Per quello successivo, ci si sposta al Teatro Comunale, dove, complice il bar, gli spettatori si accomodano con largo anticipo. Ed è un continuo scambio di saluti e chiacchiere a trasformare il foyer in una piazza.
E’ qui che incontro i conduttori e alcuni partecipanti ai percorsi di audience development intitolati “Spettatori Danzanti”. Sono loro a confermarmi che il festival, giunto alla settima edizione, manifesta una sensibile crescita in termini sia di offerta che di pubblico, e che ciò è il risultato non solo di una sensibilità storica per la città nei confronti della danza, ma anche di un radicamento autentico nel territorio, grazie ad una programmazione disseminata e all’autentica connessione tra organizzazioni, associazioni, scuole.
Senza considerare l’altro polo del palinsesto, Schio, soltanto a Vicenza sono coinvolti tre teatri pubblici, due spazi indipendenti, altri luoghi urbani e gli interni di alcuni palazzi monumentali: difficile non essere, prima o poi, catturati nelle maglie del denso cartellone.
Si può inoltre rilevare l’impatto della promozione sinergica delle tante realtà culturali implicate in una rete ramificata, inclusiva, sodale: La Piccionaia, partner del progetto, che ha ospitato alcuni tra le esibizioni più performative, in linea con l’impronta della propria stagione di teatro contemporaneo Terrestri, e che ha condiviso le scelte riservate all’infanzia, a cui dedica una sezione cospicua della propria programmazione; OperaEstate Festival Veneto del limitrofo Bassano del Grappa, interlocutore grazie al quale il monitoraggio di nuovi astri nascenti nel territorio può essere più preciso; la compagnia Theama Teatro e il collettivo di ricerca coreografica Jennifer Rosa, entrambi vicentini, che compaiono nel cartellone.
Con il format “Spettatori Danzanti”, la direzione artistica si è proposta di avvicinare un più ampio pubblico ai vari linguaggi della danza con un’alternativa rispetto ad iniziative affini, che prevedono, ad esempio, confronti con professionisti del settore per acquisire specifici strumenti critici. Chiariamo subito un equivoco che il titolo potrebbe sollevare: la pratica della danza c’entra, ma non è il fine, semmai lo strumento con cui comprendere meglio ciò che va in scena; in altre parole, il percorso non si prefigge di formare dei danzatori, quanto di fornire nuove chiavi di interpretazione attraverso modalità laboratoriali che prevedono varie pratiche esperienziali, tra cui anche quelle coreografiche.
Si distinguono due gruppi: i 20 Spettatori Danzanti Young (under 20) e i ben 30 Spettatori Danzanti Senior, provenienti persino dalle province limitrofe. Numeri strabilianti per un linguaggio ancora di nicchia.
Chiara Bortoli, danzatrice, performer, autrice di Jennifer Rosa, da cinque anni accompagna gli adulti con formule ogni anno diverse, pur mantenendo alcune costanti: l’attenzione incentrata sulla sezione Off (vetrina degli emergenti) e un approccio più emozionale che didascalico. I risultati dei cinque incontri sono visibili sul blog spettatoridanzanti.com.
Dopo un piccolo rituale iniziale di pratica corporea, il tempo spartisce tra la rielaborazione dello spettacolo precedente e la preparazione al successivo. Si tocca soltanto per accenni la poetica dell’artista, il quale avrà modo di illustrarla in dialogo col pubblico dopo la propria esibizione.
Chiara Bortoli, anche grazie al contributo degli altri membri di Jennifer Rosa (Francesca Raineri, Francesca Contrino e Vasco Manea), promuove un tipo di avvicinamento più esperienziale, stimolando la produzione creativa di qualcosa di personale: un haiku, un collage, una cartolina con un’immagine e un messaggio da mandare ad un artista, sono alcuni esempi delle consegne mai scontate.
Cosa ne pensano i partecipanti? «Si tratta di un lavoro che riecheggia nei mesi e negli anni successivi, apre tanti mondi e consente di imparare sempre cose nuove».
Specifica un’altra spettatrice danzante: «L’arricchimento deriva dal confronto con visioni, esperienze, aspettative diverse rispetto alle proprie e a quelle canoniche del mondo della danza. Si amplia così l’estensione di un ventaglio di visioni che non ci si sarebbe mai aspettati».
Michela Negro, danzatrice, coreografa, insegnante, conduce il gruppo Young all’espressione verbale, emotiva, corporea, rispetto ai temi degli spettacoli visti insieme ma anche ai desideri e ai bisogni dei partecipanti. Questi «sono ragazzi che solo in parte frequentano già scuole di danza; qualcuno arriva dal teatro, oppure anche senza precedenti esperienze nel mondo dell’arte. Sono ragazzi curiosi, disponibili, aperti nel mettersi in gioco e di farlo col corpo».
Il percorso Young è quindi più fisico: si parte dal corpo per produrre un linguaggio proprio, per percepire visioni, sensazioni, domande, e acquisire così gli strumenti per gustare le proposte in cartellone.
Attraverso giochi e sperimentazioni, per mezzo del corpo ma non solo, si può ad esempio restituire un quadro associato alla visione di una scena, oppure raccontare ciò che si è visto a qualcuno che era assente. L’accompagnamento, quindi, punta a forgiare delle chiavi personalizzate di accesso agli spettacoli, che siano esse stesse grimaldello di domande, più che di risposte univoche. Uno degli obiettivi è infatti che queste domande risultino «nutrienti» anche per gli artisti, offrendo una restituzione utile al chiarimento o allo sviluppo della propria poetica.
Al gruppo Young partecipa anche Tobia Dal Cengio, quattordicenne scelto da Siro Guglielmi per lo sviluppo di “Hyperlove”, il primo spettacolo della serata, progetto già finalista al Premio Prospettiva Danza Teatro 2023.
Entrambi vicentini, Siro incontra Tobia già nel 2022, in una delle masterclass da lui tenute nella scuola di danza della sopracitata Michela Negro, fondatrice dell’associazione e20Danza (codiretta con Simone Baldo); lì il ragazzo studia classico, moderno e contemporaneo, e si fa notare per l’impegno e per un senso critico già indipendente. Tant’è che discorrere con lui degli spettacoli in cartellone restituisce a Guglielmi la sensazione di essere tra colleghi.
La composizione nasce dal bisogno di uscire dalla propria autoreferenzialità e di offrire un passaggio di testimone: «Se dovessi smettere di danzare – dichiara il coreografo – ci potrebbe essere qualcun altro al mio posto a cui ho trasmesso ciò che sono e che so».
Ma al tempo stesso l’incontro con qualcuno che ricorda chi si è stati e di cui «il corpo e il suo movimento rivelano ciò che finora ha imparato», commuove e approfondisce la riflessione sul tempo.
Da due angolazioni temporali diverse, con bagagli diseguali di esperienze – uno alle prese con la tesi di laurea in Filosofia, l’altro con gli esami di terza media – i due si confrontano sul tema dell’amore nelle sue più ampie connotazioni, dall’affetto più immediato a «ciò di cui ci innamoriamo e ci rende ciò che siamo».
L’esibizione costruita insieme, e che li vede entrambi in scena, incanta, diverte ed entusiasma la fitta platea. L’intesa tra i due, la flessibilità e la plasticità scultorea di Guglielmi, la presenza puntuale di Tobia: occorre esserci per cogliere la straordinarietà della coreografia e dell’interpretazione.
E’ inevitabile domandarsi cosa questa opportunità, germinata sul terreno fertile del festival, possa produrre in un ragazzino di quell’età: quanto possa incidere sulla scelta di far maturare i propri interessi in una professione, oppure relegarli ad una passione; quante domande di senso sorgano, quanta maggior conoscenza di sé, delle proprie relazioni, della vita maturi; quanto più velocemente Tobia diventi adulto.
Ma lo scambio intergenerazionale è biunivoco. Siro Guglielmi, infatti, riconosce di aver «incontrato Tobia in un momento in cui l’arte contemporanea mi stava parecchio stancando, provando fatica ad entrare in sala; il lavoro con lui invece mi ricaricava e mi ha fatto riscoprire il puro piacere di danzare».
L’incontro tra Siro e Tobia non è un caso isolato all’interno del festival. Anche Chiara Frigo in “Ballroom” ha coinvolto i partecipanti delle classi di Dance Well, che costituiscono una comunità fedele e folta. E’ quindi proprio il caso di dire che ‘danza in rete’ è un territorio molto articolato, disponibile a lasciarsi attivare.
«Nonostante un calendario molto fitto, la partecipazione è stata davvero notevole – commenta Alessandro Bevilacqua, direttore artistico della sezione Off -. Si sentono una vicinanza e aspettative forti da parte della comunità di spettatori, che si è rafforzata davvero molto e manifesta fiducia totale nella direzione artistica». Per il prossimo triennio di programmazione Bevilacqua non può quindi che augurarsi di implementare ancor di più le collaborazioni.