Alessandra De Santis illustra la XXV edizione del festival milanese di danza, teatro, suono e performance, al via sabato con Paola Bianchi e Rita Frongia
Un vulcano livido e incandescente di materia magmatica. Un cielo violaceo torbido, accompagnato da presagi impenetrabili.
L’immagine che Marco Smacchia ha creato per la XXV edizione di Danae, festival di danza, teatro, performance e suono che s’inaugura sabato 21 ottobre a Milano, rimanda alla Madre Terra ed è densa di significati. Allude alla vita, ma anche al ritorno alla materia inerte. È simbolo della creatività femminile, metafora di una natura grandiosa e terribile.
Il corpo, con la sua sacralità, è tempio di tutti i dualismi. E’ materiale scenico che, con la sua nudità, esprime più della parola il graffio drammaturgico.
18 spettacoli, 22 repliche, due laboratori, un progetto partecipativo, sei incontri con il pubblico e un podcast online caratterizzeranno il cartellone di Danae fino a domenica 5 novembre. Un appuntamento che disarciona il XX secolo, e va avanti dal 1999 sotto la direzione artistica di Alessandra De Santis e Attilio Nicoli Cristiani.
Alessandra, state diventando uno dei festival italiani più longevi. Come si resiste così a lungo in un settore come le arti dal vivo, con risorse sempre troppo limitate?
Il festival non solo resiste, ma lo fa in un certo modo, perché la nostra forza è avere sempre realizzato programmazioni di grande qualità con la massima cura. C’è inoltre una capacità di costruire relazioni e di intercettare bandi che vadano a sostenere non solo il festival, ma tutte le altre progettualità del Teatro delle Moire, che poi si intersecano con Danae (ad esempio le residenze), creando un circolo virtuoso.
Attilio e io siamo due artisti. Questo fa la differenza nel nostro modo di stare accanto agli artisti e alle artiste, perché ne comprendiamo i bisogni. Da parte loro viene riconosciuta questa capacità di ascolto e cura. Inoltre lo staff, da quando ha cominciato ad affiancarci, non è mai cambiato. Questo ha creato continuità e adesione a tutti i progetti.
Per questi 25 anni c’è una canzone, un film, un simbolo che vi rappresenta?
Riguardo a quest’anno voglio parlarti di un progetto audio ideato e scritto da Ivan Carozzi per Danae InOnda, al quale abbiamo collaborato sia io che Attilio, che si è ritagliato il ruolo di montatore e curatore del suono. Si tratta di un podcast dal titolo “Fetus-quando si nasce”, che è una disamina del primo disco del cantautore Franco Battiato, il cui titolo, appunto, è “Fetus”, opera interamente dedicata al racconto della nascita. Il podcast è quindi la meravigliosa proposta di Carozzi per rendere omaggio alla nascita di Danae Festival 25 anni fa, e all’artista catanese ahimè scomparso. In apertura del disco, i versi: «Non ero ancora nato \ Che già sentivo il cuore».
Danae si caratterizza da sempre per la molteplicità di linguaggi, generi e stili. Per quest’ultima edizione avete un cartellone ricchissimo di nomi italiani e internazionali.
Come sempre Danae propone progetti non incasellabili in nessuna categoria. Per semplificare, posso dire che ci sono molti lavori che possiamo ascrivere all’ambito della danza: il progetto “Fabrica” di Paola Bianchi, due soli sui corpi del lavoro; “Stuporosa” di Francesco Marilungo sul pianto rituale; “Danse Macabre” di Jacopo Jenna, che persegue il suo lavoro sulla scena in dialogo con un lavoro filmico; Chiara Bersani per la sezione “Laterale”, con una condivisione di materiali inerenti al processo del suo ultimo lavoro; e poi naturalmente tutto il focus svizzero “Radical Dance” (Yasmine Hugonnet, Clara Delorme, Alexandra Bachzetsis e Teresa Vittucci). Per il teatro la regista e drammaturga Rita Frongia, che però in questo caso ha lavorato coreograficamente per i due soli che vedono in scena rispettivamente Stefano Vercelli e Teri Weikel; Elisabetta Consonni, che pure si muove tra teatro e danza, integrando il lavoro con contributi video.
C’è poi lo spazio del pensiero con “Laterale”, che accoglie, oltre a Chiara Bersani, anche il critico e studioso Enrico Pastore con una riflessione sulla concezione maschile e femminile rispetto al ruolo della donna nella società.
Per la musica, Camilla Barbarito con il raffinato contrabbassista Paolino Dalla Porta, con un lavoro che vede il coinvolgimento del pubblico e l’eclettico performer, attore e cantante Ernesto Tomasini dall’estensione vocale di quattro ottave, che ci regala un fantastico omaggio al cabaret dei primi del ‘900 e agli artisti che, sfidando la censura, davano vita a quella che i nazisti definirono “musica degenerata”.
C’è un progetto speciale per i festeggiamenti dei 25 anni con l’artista tessile Federica Terracina, con la quale realizzeremo, con stoffe e colori, un’installazione temporanea con tutti e tutte coloro che vorranno festeggiare con noi.
Last but not least, per Danae InOnda il già citato podcast “Fetus-quando si nasce”.
Ciò che risalta è anche una sezione dedicata appositamente alle donne.
È la sezione internazionale, il focus svizzero dal titolo “Radical Dance”, che accoglie quattro artiste che hanno in comune una certa radicalità. Danae accoglie un nutrito numero di artiste italiane e straniere nel solco di tematiche che ci stanno a cuore.
C’è sempre stata l’urgenza di porre all’attenzione la creatività femminile, incarnata dalla figura mitologica di Danae, che dà nome al festival. Che infatti nasceva con il sottotitolo: “segnali, tracce dalla nuova scena al femminile”, che poi ha perso quasi subito. Ci interessa promuovere un’estetica della differenza. Proprio volendo omaggiare la nascita e l’origine del progetto, abbiamo dedicato quest’edizione al concetto di Terra Madre.
Ci sono novità rispetto alle passate edizioni?
Ci sono artiste mai viste a Danae, come Federica Terracina e Rita Frongia, così come tra le artiste straniere due performer emergenti: Clara Delorme e Teresa Vittucci.
Segnalo poi sia l’intervento di Enrico Pastore, che è stato creato appositamente per Danae, sia l’esito performativo del laboratorio tenuto presso la Civica Scuola Paolo Grassi da un’importante e radicale artista come Yasmine Hugonnet con i giovanissimi danzatori dell’ultimo anno del corso di danza contemporanea, coordinato da Marinella Guatterini, e che avrà esito performativo. Per quanto riguarda i luoghi, la sezione musicale sarà realizzata presso Mosso, in zona Nolo.
Superata la pandemia, che tipo di risposta vi aspettate dal pubblico?
Non sappiamo mai la risposta del pubblico e non la diamo mai per scontata. L’esperienza pandemica degli ultimi anni ha cambiato molte cose. Inoltre, la gestione politica ed economica ha sempre più indotto le persone a rinchiudersi in casa, a fare meno esperienze dirette della vita, usufruendo sempre più del lavoro a distanza e dei servizi online. Ma la vita non sta lì. La vita sta nella “danza della realtà”, nel mettersi in movimento e mettere in moto il nostro corpo, assieme a quello degli altri e delle altre. Però tutto quanto è accaduto ha creato anche l’opportunità di ripensare al proprio fare.
Sicuramente il patto tra gli spettatori e la scena, così come la conoscevamo qualche anno fa, a noi non pare più valido, non può più rispondere alla richiesta di socialità e bellezza che comunque c’è, e che sono bisogni primari di ogni essere umano. Vanno indagate altre vie. Non abbiamo la pretesa di risolvere questioni tanto complesse, ma possiamo tracciare un percorso, lavorare come sempre facciamo: nel piccolo, dal basso, per gettare semi per un processo di trasformazione che inizia dal corpo personale e circola nel corpo sociale, rimette al centro i sentimenti e l’immaginario individuali e collettivi, riattiva le relazioni intime e di comunità.
La pandemia delle risorse è invece un male irrisolto in Italia. Per quanto vi riguarda, come si è evoluta la situazione?
In generale nel tempo c’è stata una flessione nelle risorse, tranne per quanto riguarda il Ministero, che ci ha sempre sostenuti con costanti anche se piccoli aumenti del contributo. La recente attenzione da parte delle istituzioni nei confronti delle periferie, avendo noi uno spazio attivo già dal 2008 in un luogo periferico della città, ha fatto sì che potessimo applicarci a dei bandi che mirano a proposte culturali. Nel nostro spazio LachesiLAB, in zona Loreto, si svolgono tantissime attività. Non ultimo il progetto di formazione Scholé. Insomma LachesiLAB è una sorta di fucina che in parte si riversa anche in Danae.
La complessità del lavoro burocratico grava sul personale, che è sempre sottodimensionato. Noi da 25 anni programmiamo, lavorando tutto l’anno, senza avere mai la misura e la certezza delle risorse che avremo a disposizione. Condizione impensabile in Paesi europei come Francia, Germania, Belgio, Svizzera e molti altri.
Torniamo a Danae. Quali lavori ritieni imperdibili in quest’edizione?
Difficile rispondere. Per me i lavori valgono tutti la pena di essere visti. Li abbiamo scelti. Ti dico intanto che la sezione internazionale “Radical Dance” è concentrata su quattro artiste di base in Svizzera, e raramente c’è la possibilità di vederle in Italia. Quindi direi di approfittarne. Ma anche tutti i progetti del territorio nazionale sono validissimi. Ci sono i corpi politici di Paola Bianchi; c’è Marilungo con il suo bellissimo “Stuporosa” e il sempre raffinato e approfondito lavoro di Jenna con “Danse Macabre”. E poi il lavoro poetico di Rita Frongia, gli insoliti concerti che faremo a Mosso, la sezione “Laterale” che è sempre un’emozione. Degli altri ho già parlato. Insomma, tutti!
Ci sono occasioni per un coinvolgimento attivo del pubblico?
C’è l’intervento di Federica Terracina, “Abito Sonoro_Play the space”, per il quale chiamiamo il pubblico che vorrà partecipare a realizzare, in un atto simbolico, un tappeto/mappa assieme a noi; e il lavoro di Camilla Barbarito, “Le tue parole all’improvviso”; e sicuramente anche la sezione Laterale, che è un momento informale che consente una maggiore vicinanza, se non uno scambio, con lo spettatore, oltre agli incontri con gli/le artist* mediati da studiosi e studiose.
Qualcosa che vorresti aggiungere?
A partire da quest’anno abbiamo voluto valorizzare molto il Teatro delle Moire come realtà, perché ci siamo resi conto che lo stesso Danae Festival, che assorbe molta attenzione è, allo stato attuale, uno dei tanti progetti di cui ci occupiamo. Abbiamo quindi voluto rimettere al centro il Teatro delle Moire anche dal punto di vista comunicativo, come sorgente e origine di tutta questa progettualità. Dice la Treccani al termine origine: “Un fatto da cui qualcosa deriva”.