“Elena” da Ghiannis Ritsos a Elena Arvigo: la bellezza del mito sulla guerra

Elena (ph: Alessandro Villa)
Elena (ph: Alessandro Villa)

Nuovo capitolo del progetto “Le imperdonabili”, dedicato a donne controcorrente

«Ah, sì, quante battaglie, eroismi, ambizioni, superbie senza senso, sacrifici e sconfitte e sconfitte, e altre battaglie, per cose che erano state già decise da altri in nostra assenza. Eppure – chissà – là dove qualcuno resiste senza speranza, è forse là che inizia la storia umana, come la chiamiamo, e la bellezza dell’uomo».

Fino a quando può resistere la bellezza? Sfiorisce mai del tutto quella del corpo? Rimane connessa con quella dell’anima? Quanto ci cambia il tempo? In che rapporto siamo col dolore? E con l’oblio?
Omonimie e affinità elettive. Elena Arvigo, premio Le Maschere del Teatro Italiano 2023 come miglior attrice, debutta al Teatro Out Off di Milano con “Elena” di Ghiannis Ritsos. “Elena” è un monologo contenuto nel libro “Quarta dimensione”, ispirato a personaggi importanti e minori della mitologia greca. Attraverso la metafora, Ritsos denunciò il regime dei colonnelli in Grecia tra il 1967 e il 1974, e riuscì a eludere la censura.
“Quarta dimensione” è un testo sulla guerra e sulla solitudine. È un anfratto contiguo alla morte, scritto dall’autore durante la detenzione nel campo di concentramento di Karlovasi, sull’isola di Samo.
Dal poemetto, ispirato alla mitica regina di Sparta, Elena Arvigo trae un coagulo di versi centellinati e sofferti.

“Elena” è un inno alla bellezza del fare arte, a dispetto della brutalità e della stupidità degli uomini. È un poemetto intriso di atmosfere mediterranee millenarie. È un testo contemporaneo, proprio mentre antiche civiltà mediterranee si lacerano a colpi di missili e bombe.
Fa parte del progetto “Le imperdonabili”, inaugurato da Arvigo nel 2013 su personaggi femminili scomodi, esempi di lotta e di resistenza disposti alla morte per integrità e coerenza: figure come Etty Hillesum, Anna Politkovskaja, Marguerite Duras e Lina Merlin. E ci sono anche “I monologhi dell’Atomica”, tratti da Svetlana Aleksievich e Kyoko Hayashi.

Elena Arvigo, artista indipendente e radicale della scena italiana, realizza uno spettacolo di teatro combattente e sofferto.
Una scenografia di veli, realizzata in collaborazione con Maria Alessandra Giuri: in primo piano, tracce di sabbia disseminata sul palco, e simboli di decadimento e rovina. La luce apre un pertugio sulla distruzione. Anfore antiche. Lampade di varia foggia. Poco dietro, una poltrona su un tappeto persiano. Un vaso per i servizi igienici. L’occorrente per la toeletta. Bicchieri e ampolle, vuote o semivuote. Sulla poltrona, uno scialle avviluppa una donna in cenci, esangue.

Una nuvola di fumo avvolge la scena. Un luogo non luogo. Un tempo senza tempo. L’ossimoro di uno spazio esterno che dissolve in un interno domestico indefinito. Una scenografia senza coordinate. I brandelli di una civiltà. Parole di fango e sangue. L’ombra. Pochi raggi, da cui traspare l’antica epopea ellenica.
Ad avviare la pièce, “Casta diva” di Maria Callas, altro esempio femminile di bellezza e lacerazione legate all’arte greca.
La performance è un mix di delirio e solitudine. Elena è una donna stanca di guerra, consumata dagli anni e dal dolore. Arranca sul proprio passato, aggrappata a un bastone di ramo secco. Rievoca come un mantra l’antica mitologia perduta. È una vestale desnuda che cerca spiragli oltre la nebbia e il caos.
La gracilità di questa figura trova un controcanto in una presenza evanescente: quella di Monica Santoro, attrice, cantante e musicista che la accompagna sul palco. Santoro inframmezza la drammaturgia con tocchi di misteriosa e malinconica leggerezza. Crea variazioni attraversando la scena, cantando a cappella, oppure suonando il flauto traverso dietro le tende. Il suo gioco d’ombre pare disegnare un’effigie sopra un’anfora antica. Questa figura eterea dialoga a sua volta con i morti. Ne evoca gli spiriti. È essa stessa un fantasma. È pertanto un alter ego della protagonista.

Le tenebre. Dentro il viso scavato di Elena Arvigo la memoria dei defunti. Il riflesso della loro presenza nelle lacrime. Un senso di nausea, la paura di perdersi, e di perdere l’umanità che il dolore definisce.
In questo dramma, la morte è una compagna silenziosa e discreta. Elena è una creatura inebetita, tra illusioni e inganni. È nostalgia di una bellezza perduta che non osa guardarsi allo specchio.

Dissociata e disincantata tra bagliori effimeri, Elena è una grande madre che scopre la propria sensualità dirompente e pudica, che svela i propri tormenti, e si fa carico dello strazio di un’epoca. È una madonna laica che convive con le proprie ambiguità.
Ma il dialogo con i morti è anche contatto con la vita. La ferita è pharmakon. E restituisce, nel profondo deliquio, il sogno infranto di un paradiso perduto.

ELENA
di Ghiannis Ritsos
Traduzione di Nicola Crocetti
Regia Elena Arvigo
Con Elena Arvigo
e con la partecipazione di Monica Santoro (flauto traverso e canto)
Assistente alla regia: Monica Santoro
Scene e costumi: Elena Arvigo
Consulenza musicale Ariel Bertoldo
Collaborazione scene: Maria Alessandra Giuri
Consulenza al testo: Francesco Biagetti
Una produzione Teatro OUT OFF con Compagnia Elena Arvigo (Associazione Santa Rita & Jack Teatro)

durata: 1h 5’
applausi del pubblico: 2’ 50”

Visto a Milano, Teatro Out Off, il 1° febbraio 2024
Prima nazionale

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