Indiscusso re del palco il monologo in tutte le sue forme, dalle letture alle interpretazioni, con i debutti dello spettacolo “Potevo Essere io” con Arianna Scommenga e dello studio “Fuck (Me)n” con Alex Cendron.
E proprio di “Fuck (Me)n. Studi sull’evoluzione della specie di genere maschile” vi vogliamo parlare oggi.
Il lavoro appare sulla scena come un trittico: tre spazi per tre storie di fragilità raccontate da Massimo Sgorbani, Giampaolo Spinato e Roberto Traverso.
Un solo attore, Alex Cendron, si destreggia tra luci e ombre, animando lo spazio scenico con abilità nell’interpretare i diversi monologhi.
Tre uomini, tre storie di violenza e di impotenza. Una singola lampadina si accende di volta in volta, in differenti angoli del palco, sopra la testa del reo confesso, come in un interrogatorio poliziesco.
Il primo a parlare è l’uomo fragile di Spinato, seduto a sinistra del palco, presumibilmente in poltrona nel suo salotto. E’ il professore universitario che esige favori sessuali dalle studentesse in cambio di un aiuto accademico, finché una ragazza anoressica non si sentirà male ad una sua festa hard.
Da lì la paura, il senso di colpa, la rabbia e il riversamento della colpa verso le famiglie che non sanno educare e verso la società vittima dei media, che altro non fanno che invitare al sesso. Turpiloquio e termini viscerali sono sua illusione di forza. Una critica verso la distorsione educativa propria del media televisivo sempre aspra.
Cambiano le luci. L’uomo di Sgorbani, al centro del palco, padre e marito incapace di entrambi i ruoli, spinge alla violenza il figlio con racconti ‘da duro’ sui campioni di boxe, incitandone le risse a scuola perché “così si fa per difendersi”. E pure dalle liti continue con la moglie (lei sì, molto più forte di lui) ne esce con l’aggressione fisica, unico mezzo per dimostrare una superiorità: le botte.
Qui la narrazione si fa più complessa, intrecciando i dialoghi con moglie e figlio al proprio flusso di pensieri.
A rendere queste diverse situazioni, una mobilità e una forte mimica alternata ad un immobilismo illuminato solo dalla fioca lampadina.
E’ invece seduto su un letto sfatto il terzo uomo di Cendron. Da lì si rivolge alla moglie, interlocutrice silenziosa che alla fine sembrerà perfino comprendere la debolezza del compagno con materna rassegnazione.
Il personaggio di Traverso è un padre affranto per aver scordato il figlioletto in auto sotto il sole; un’altra tragedia dei nostri giorni emotivamente nemmeno immaginabile.
Stavolta la lampadina illumina un uomo che ammette le proprie debolezze, tanto da ammettere una gelosia innata nei confronti delle attenzioni che il figlio riusciva a prendere solo per sé da parte della compagna.
Tre storie, tre lai, un unico sfondo in tre declinazioni: la fragilità dell’uomo che spesso non sa far fronte alle proprie relazioni affettive; tre lamenti e urla di rabbia resi da un gioco di luci interessante, che li fa apparire come fantasmi in un interrogatorio sulla scena del crimine della propria umanità.
Il rifugio per tutti è nella violenza, nel sesso o nella rabbia verso il mondo e verso se stessi. Intitolo non poteva essere più chiaro. Storie acide, senza tempo e più che mai vicine. La debolezza del lavoro è forse aver cercato paradigmi della fragilità maschile in cliché molto ordinari nelle prime due storie: il malato di sesso e il violento. La storia di Traverso resta addosso di più; e si torna a casa con qualche amara riflessione.
Fuck (me)n. Studi sull’evoluzione della specie di genere maschile
testi: Massimo Sgorbani, Giampaolo Spinato e Roberto Traverso
con Alex Cendron
regia e light design: Carlo Compare
scelta musicale: Elvio Longato
produzione: Festival Mixité, Dionisi Compagnia Teatrale
Premio GReaT 2013 / miglior monologo