Quell’odore di vita che si respira entrando in una classe liceale, appena finite le lezioni. Non è un odore qualsiasi. Si sente. E’ respiro, vita, cambiamento, rivolta, sudore, ormoni, adolescenza.
Il lungo titolo del lavoro di Ontroerend Goed, “Once and for all we’re gonna tell you who we are so shut up and listen”, spettacolo vincitore del Total Theatre Awards al Festival di Edinburgo 2008 e andato in scena al Teatro i di Milano a febbraio, è un testo che parte da un procedimento simile a quello compiuto da autori del teatro di base: un po’ come Mimmo Sorrentino, per fare un esempio.
Lo spettacolo, di Joeri Smet, Alexander Devriendt & De Spelers, con la drammaturgia di Mieke Versyp, può considerarsi uno dei lavori più energici e potenti della stagione milanese. E’ anche la prima opera realizzata dal gruppo belga esclusivamente con attori teenager.
Una quindicina di adolescenti fra i 14 e i 18 anni, talentuosi e sfacciati, ha gridato ad una platea totalmente trascinata non una banale voglia di vivere, ma il senso stesso dell’adolescenza, una pluralità di modi di vedere e sentire la stessa cosa, tipica di quegli anni.
La produzione è diventata in pochissimo una delle punte di diamante del giovane teatro del Belgio, arrivata in Italia grazie all’occhio lungo non solo di Teatro i ma anche dell’associazione Olinda, che ogni anno a Milano organizza una rassegna sui temi del diverso sentire e del giovane teatro nella struttura dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini.
I temi della ricerca del collettivo belga si indirizzano qui verso la rappresentazione del paradosso del tempo della libertà, quando tutto è ancora possibile, ma si forma già l’autocoscienza: tutti guardano all’adolescente, che vorrebbe liberarsi dal quel sistema che sta cercando di determinarlo. In “Once and for all” questa energia non diventa una forza distruttiva, esplorando invece i confini di quell’universo con regole tutte sue.
Alexander Devriendt e Joeri Smet hanno preparato la drammaturgia con un lungo lavoro sul campo insieme ad alunni delle scuole secondarie impegnati nelle rispettive recite scolastiche: hanno rifiutato di lavorare su un testo esistente, preferendo innescare un processo creativo in cui le esperienze dei giovani protagonisti e la loro concezione artistica potessero arrivare a fondersi.
Che succede nello spettacolo? Apparentemente poco, una scenetta semplice in cui i giovani danno vita alla tipica entropia adolescenziale, che parte fra le sedie in classe per poi essere ripetuta in un loop, declinata in ogni modo possibile, come se i ragazzi cambiassero continuamente maschera e fossero di volta in volta il bravo figlio, il compagno di banco, l’adolescente nel turbine ormonale, gli abbandonati a se stessi, i padroni del mondo e così via. Alla fine, quando anche il pubblico è chiamato ad urlare “lasciatemi in paceeeee!!”, si leva un boato che sa di rimpianto, nostalgia e di quel passaggio al mondo delle responsabilità da cui volentieri si vorrebbe sfuggire. Da sottolineare la grandissima dedizione del gruppo, che ha anche tradotto e interpretato, pur fra ovvie difficoltà, l’intero testo in italiano. Cosa impensabile per gli spettacoli di casa nostra all’estero!
Dopo lo spettacolo, appena finiti gli applausi, abbiamo intervistato Joeri Smet, mentre i ragazzi, con una professionalità inimmaginabile, risistemano subito il palco a scena ancora aperta. Ci ha parlato di questo progetto e dei suoi impegni nella ricerca teatrale.