La sede organizzativa e il punto d’incontro è stato il Pan di Napoli, luogo di esposizioni temporanee d’arte che, per l’edizione 09 del Napoli Teatro Festival Italia, ha accolto sia l’ufficio che le conferenze stampa. La sera, sulle belle terrazze a due passi da via Chiaia, piccole feste musicali, in cui ospiti, critici, artisti potevano incontrarsi e confrontarsi su spettacoli, programmazione e idee.
Caos creatore, certo da affinare, ma occorre dire che l’organizzazione sta mettendo a regime una macchina che, dopo le recenti rassicurazioni governative circa la permanenza del festival a Napoli oltre i tre anni previsti dal bando, dovrebbe rimanere stabile e definita.
Molto resta ancora da fare, soprattutto sul tema delle produzioni, per le quali serve uno sforzo vero affinché non siano episodi legati al contingente. Un’economia in difficoltà richiede uno sforzo perché si generino beni artistici a fecondità ripetuta; la qual cosa non significa far perdere agli stessi l’aura benjaminiana, ma fare in modo che si producano spettacoli che poi, dopo le prime festivaliere, si tuffino nei cartelloni degli stabili. Un occhio alle sirene di fuori, ma anche uno importante alle voci di dentro, del sistema Italia, in cui questo festival deve trovare una dimensione di circuitabilità e riconoscibilità del marchio.
La città c’era, era presente. Il teatro innegabilmente. Il festival pure. Bisogna costruire l’Italia. Strano doverlo dire ancora a quasi cento cinquant’anni. Ma d’altronde è il nostro punto debole di sempre.