A Parigi, in una notte che sarà calma, Jacques Gamblin è Romain Gary

Jacques Gamblin
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Jacques Gamblin è Romain Gary. O Romain Gary è François Bondy. O, ancora, Gamblin è Bondy.
Uno e trino, come lo scrittore che incarna sul palcoscenico del 104, contenitore culturale parigino ai margini della città, Jacques Gamblin, autore e attore teatrale, conosciutissimo volto della scena francese. E’ seduto dietro una scrivania, faccia a faccia con un registratore; un quaderno e un bicchiere di vetro completano la scenografia minimale.

Lo spettacolo, che ha completamente riempito la brulicante e spaziosa Salle 400, si intitola “La nuit sera calme”. Creato nel 2007 dallo stesso Gamblin per il Festival des Correspondances des Manosque, è tornato al 104 grazie al successo dello scorso anno.
La lettura è tratta dal libro omonimo pubblicato nel 1974 da Romain Gary, scrittore lituano naturalizzato francese: una sedicente raccolta di confessioni che l’autore ha rilasciato al suo amico d’infanzia, François Bondy per l’appunto, conosciuto nei primi anni a Nizza. O, almeno così abbiamo sempre creduto. Finché anche Bondy, come Emile Ajar (il ‘nom de plume’ con cui ha firmato il libro “La vie devant soi”) non si è rivelato solo uno dei tanti pseudonimi dell’autore.

Gamblin non ha neanche un pizzico dell’accento russo che conferiva a Gary quell’allure esotica e quasi irresistibile, il tocco sfuggente da apolide dell’esistenza qual è sempre stato. Seduto, impassibile, tutto d’un pezzo, difende a spada tratta le sue contraddizioni. Talvolta alzandosi, ostentando una sagoma asciutta, quasi scarna, camicia nera su sfondo nero, capelli brizzolati e mani ossute. Talvolta sfilando gli occhiali e guardando verso il buio confuso del pubblico. Rivendicando l’obbedienza a quel “Gary”, “Brucia!”, pseudonimo prediletto, forse tra i tanti, “un ordine al quale non mi sono mai sottratto, né nella mia opera né nella vita”.

Durante lo spettacolo sfilano sulla scena le vite di colui che, secondo il filosofo Bernard Henri-Levy, è stato “eternamente se stesso, eternamente altro”. Immerso nel sogno della “République” ben prima di metterci piede, grazie alle fantasticherie della madre, diplomatico, insignito dalla legione d’onore da Charles De Gaulle, aviatore e poi scrittore, regista, giornalista, ardente di vita, ricercava nella letteratura e nello sguardo delle tante donne che ha amato (“ma non abbastanza, perché non si può amarle troppo”) la scintilla per obbedire a quel comando che si era autoimposto, scrivendolo dopo il suo nome, Romain. Gary. “Collezionista di anime”, un’etichetta affibbiatagli dalla stampa, per l’innato talento a sfuggire alle catene dell’identità e all’ossessione delle definizioni.

Gary-Gamblin si interroga, si ripiega su stesso, si innamora e torna a disilludersi. Nelle parole scivolate via con un po’ di amarezza si intravede il profilo longilineo di Jean Seberg, l’attrice che Godard scelse per il suo film “Fino all’ultimo respiro”, sposa di Gary e morta suicida, un anno prima di lui.
Non risparmia commenti al vetriolo sulle piccole starlette della politica francese e sembra ancora turbato al ricordo della madre, dall’abbraccio invasivo e opprimente. Fronte altera e occhi bassi, al pensiero della vecchiaia, dell’indebolimento fisico, della morte, lui, che era stato “troppo occupato a vivere”, adesso sembra non avere più “stomaco per così tanto appetito”.

Il bicchiere sul tavolo, Gamblin sfoglia l’ultima pagina. E, fissando il pubblico, legge le ultime frasi. Restare nel letto, ascoltare il rumore di una serratura, poi i passi, le buste che si posano sul tavolo e una voce che chiama il proprio nome, facendo finta di dormire. “Questa era la felicità, per me”.

Lascio la sala mentre ancora riecheggia l’eco di due applausi. All’uomo che ha letto e a colui che ha scritto. Poi la folla si disperde.
La notte, fuori, sembra calma.

La nuit sera calme
con: Jacques Gamblin
testo tratto dal romanzo omonimo di Romain Gary
durata: 60′
applausi: 3’

Visto a Parigi, 104, il 14 novembre 2012


 

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