Del buon e del mal-teatro secondo Alessandro Gassman. L’intervista

Alessandro Gassmann in Riccardo III (Foto di Federico Riva)|Alessandro Gassmann|Alessandro Gassmann e Sabrina Knaflitz (Foto di Federico Riva)
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Alessandro Gassmann
Alessandro Gassmann (photo: teatrostabileveneto.it)
E’ un fumetto, un b-movie, un gotico splatter sospeso tra poesia e commedia.
Alessandro Gassman decide di mettere in scena Riccardo III, il deforme re d’Inghilterra raccontato da William Shakespeare come uno dei più sadici e ingiusti monarchi che mai abbiano calpestato il suolo britannico, «nato con i denti per mordere il mondo».

Lo fa senza sentire sulle spalle il peso di questo enorme drammaturgo, e nemmeno il peso di quella celeberrima messa in scena di Luca Ronconi con cui il padre Vittorio conquistò gli animi degli spettatori nel ’69.
Lo fa insomma a cuor leggero, l’unico modo in cui può nascere uno spettacolo vivo, lavorando con una compagnia che non è fatta di scritturati ma da compagni di scena.
Lo abbiamo incontrato per parlare con lui di questo spettacolo e, più in generale, del teatro italiano.

Come mai fra tanti testi shakespeariani ha scelto proprio Riccardo III per la sua prima regia di questo autore?
Credo che il momento politico caotico e instabile che Shakespeare viveva quando lo ha scritto e che ha messo nel suo testo sia perfetto per il periodo che stiamo vivendo. Ci sono personaggi ambigui e politicamente controversi, noi abbiamo solo reso la struttura più semplice. Inoltre è il secondo testo che scrisse, quindi mi sembrava un buon punto da cui iniziare.

Alessandro Gassmann e Sabrina Knaflitz (Foto di Federico Riva)
Alessandro Gassmann e Sabrina Knaflitz nel Riccardo III (photo: Federico Riva)
L’usurpatore Riccardo è uno dei personaggi più malvagi e subdoli del teatro elisabettiano, descritto da Shakespeare come «grumo indigesto lievitato nello stomaco della Duchessa di York». Come ha reso, in scena, questo personaggio e la sua deformità?
La deformità di Riccardo è fisica e psichica. È stato fondamentale il lavoro sul testo del drammaturgo Vitaliano Trevisan [già collaboratore di Matteo Garrone e Toni Servillo, ndr]. Avevo visto un suo adattamento de “La bancarotta” di Goldoni e mi è piaciuto moltissimo il suo uso moderno e diretto della lingua. Così l’ho voluto chiamare per il nostro Shakespeare, che ha adattato rendendolo asciutto e alleviandolo delle incrostazioni dovute all’epoca. Ho anche tolto tutti gli ammicchi della recitazione che avrebbero appesantito lo spettacolo. Sono molto soddisfatto del lavoro, perché mi sono accorto che arriva al pubblico in modo ancora di più forte dei testi contemporanei che abbiamo messo in scena.

“The Life and Death of King Richard III” è uno dei testi più lunghi di Shakespeare; come avete scelto di metterci mano per il vostro “R III – Riccardo Terzo”? Quali sono i timori di intervenire su un testo shakespeariano?

Nessun timore perché lo spettacolo è quello di Shakespeare, la trama, lo svolgimento, non è cambiato nulla. Lo abbiamo solo reso più compatto e fluido. Lo spettacolo dura due ore e i personaggi sono stati ristretti a sedici, accorpandone alcuni. Shakespeare scriveva per un pubblico composto spesso da analfabeti e per questo alcuni passaggi risultavano ridondanti; per essere più comprensibili, noi li abbiamo accorpati. Inoltre non ci sono cambi di scenografia, che allungano i tempi, ma tutti i passaggi sono sequenziali.

Per questo spettacolo si è ispirato a Tim Burton, il regista di film come “Beetlejuce”, “Edward mani di forbice” e “La fabbrica di cioccolato”: in cosa l’ha influenzata?

Sono molto affascinato da quell’immaginario gotico ma leggero, e ho dato indicazione a tutti di ispirarsi a Burton, dallo scenografo Gianluca Amodio, al costumista Mariano Tufano, dai musicisti Pivio e Aldo De Scalzi a Marco Schiavoni, che realizza i video che ampliano la scenografia. Ma i riferimenti sono anche altri. Per la deformità fisica di Riccardo mi sono rifatto a Boris Karloff [il primo storico interprete di Frankenstein nel 1931, ndr], infatti il mio Riccardo non è gobbo, ma enorme. Gigante a tal punto da non passare dalle porte, goffo e con un braccio meccanico.

Alessandro Gassmann in Riccardo III (Foto di Federico Riva)
Alessandro Gassmann in Riccardo III (photo: Federico Riva)
Oltre a essere attore e regista è anche direttore del Teatro Stabile del Veneto (Teatro Goldoni a Venezia e Teatro Verdi di Padova). Com’è dirigere una importante realtà come quella nel panorama italiano odierno?
Quello che cerchiamo di fare con questi due teatri è trasformarli in “portatori sani di emozione”. Bisogna aver coraggio per fare una direzione artistica sensata. Dare spazio a giovani talenti. Il coraggio è stato premiato dalla presenza di un numerosissimo pubblico di ragazzi, aiutato da una politica di sconti agli universitari. Purtroppo i teatri stabili vengono utilizzati come mercati di vacche. Compagnie che producono produzioni di scarso valore, per usare un eufemismo, li propongono in teatri simili che, in cambio, chiamano i loro spettacoli. Certo, sottrarsi a queste logiche rende più difficile proporre in giro i propri spettacoli, ma la qualità del lavoro permette comunque di essere chiamati per le tournée.

Come mai questo malcostume fatto con soldi pubblici continua?
Ci sono direttori di Stabili che li gestiscono dagli anni Settanta… Ogni tanto lo dichiaro pubblicamente, ma non si smuove mai nulla. Credo però che adesso la gente sia stanca di tutto questo. Il successo elettorale di Grillo parla anche di questo malcostume. È una rabbia che cresce e una voglia di resettare certe realtà. Il modo in cui vengono usati per fini personali i teatri a Roma e in molte realtà, del Sud Italia in particolare, è vergognoso.

Concludiamo tornando a due anni fa, quando ha messo in scena “Roman e il suo cucciolo” (adattamento di “Cuba and His Teddy Bear” del drammaturgo americano Reinald Povod), da cui ora ha tratto il film “Razza bastarda”. Cosa è cambiato dal teatro al cinema?
Le parti che a teatro erano per forza di cose raccontate, al cinema vengono vissute. Il tono cupo dello spettacolo, il grigio, è diventato al cinema il bianco e nero. Con le riprese sono riuscito a spingere il pedale dall’acceleratore più a fondo, mostrando le periferie. Il razzismo è alla base del film, che ha ricevuto il riconoscimento di Amnesty International. L’integrazione non è solo utile, è necessaria.
 

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  1. says: Matteo Cavezzali

    Sapevo che le affermazioni di Gassmann avrebbero sollevato un po’ di critiche. Comunque sì, Alessandro spiega nell’intervista (e lo ha ribadito anche nell’incontro col pubblico svoltosi al teatro Alighieri di Ravenna con Marco Martinelli) che secondo lui il testo di Shakespeare ha una scrittura connotata per la propria epoca e che il Bardo utilizza un linguaggio pensato per il pubblico dell’epoca e quindi non deve essere considerato un oltraggio modificarlo per far parlare l’autore al pubblico contemporaneo. Per quanto riguarda la recitazione “ammiccante”, ovviamente quella non è intrinseca nel testo, ma è un costume diffuso in Italia dall’800, che ancora, in alcuni teatri, sopravvive.

  2. says: Beatrice

    “Così l’ho voluto chiamare per il nostro Shakespeare, che ha adattato rendendolo asciutto e alleviandolo delle incrostazioni dovute all’epoca. Ho anche tolto tutti gli ammicchi della recitazione che avrebbero appesantito lo spettacolo… “Ma Gassman parla della traduzione o dell’originale? Cioè sta veramente dicendo che il Riccardo III di Shakespeare ha “incrostazioni dovute all’epoca” e “ammicchi della recitazione”? Sono confusa! Persa…non capisco….

  3. says: riccardo carbutti

    Con deferenza, ma dove alloggiava fino a ieri Gassmann? Scommetto che i “padroni” del teatro pubblico e del sistema teatrale nazionale proveranno a trasformarsi in tanti grillini.