Forever Young 18. Il ricambio generazionale passa da Rubiera

Le Forever Young 2018 Dellavalle e Petris
Le Forever Young 2018 Dellavalle e Petris

E’ arrivato alla seconda edizione Forever Young, il progetto residenziale che La Corte Ospitale di Rubiera ha rivolto a compagnie teatrali under 35 e/o emergenti. Un’ulteriore occasione per monitorare, seppur parzialmente, come e dove si muove la scena delle nuove generazioni teatrali.
Al contrario del teatro dedicato all’infanzia, negli ultimi anni abbiamo assistito, nel nuovo teatro di ricerca italiano, a un fervido ricambio generazionale che ci fa ben sperare nel futuro di quest’arte. Mitmacher, Eco di Fondo, I Gordi, Il Mulino d’Amleto, Factory, Generazione Disagio, Kepler-452, Carolina Reaper, Frigo Produzioni, The Baby Walk, gli artisti del progetto “Santa Estasi”… sono, per fare alcuni nomi, riferimenti incoraggianti di compagnie che tentano faticosamente di uscire allo scoperto, percorrendo in modo fecondo una drammaturgia che parla del presente.

Tra Reggio Emilia e Modena, nella sede de La Corte Ospitale, abbiamo così potuto assistere all’esito del bando Forever Young “a sostegno delle giovani istanze creative e a favore del ricambio generazionale”. In scena i finalisti Evoè Teatro, Oyes, DAF – Teatro dell’Esatta Fantasia, Dellavalle/Petris, Pierfrancesco Pisani, Giuliano Scarpinato – Wanderlust Teatro, per sei spettacoli scelti tra un centinaio di proposte.

Al termine delle due giornate di spettacolo, la commissione (composta da Claudia Cannella, Paolo Cantù, Giulia Guerra, Carlo Mangolini, Fabio Masi e Pietro Valenti) ha decretato il progetto vincitore, a cui è stato riconosciuto un contributo economico e l’accompagnamento in distribuzione per l’anno successivo, oltre che la presenza, a giugno 2019, al Teatro Elfo Puccini di Milano, in occasione della consegna dei Premi Hystrio.

Dei sei spettacoli finalisti, quattro hanno scelto di rappresentare, ciascuno a suo modo, il testo di un autore straniero, uno prendendo ispirazione da un film, e solo uno ha optato per una drammaturgia originale.
Finalmente – e non è poco, visti i magri tempi che corrono – i lavori proposti sono corali, con più interpreti, e con una qualità generale della recitazione soddisfacente. Gli argomenti trattati non sono per fortuna univoci, ma su tutti aleggia lo spettro di una condizione umana sempre più disillusa verso il futuro.
Le sei creazioni, ancora perfettibili, rappresentano il segno della vitalità presente nella emergente scena italiana.

Partiamo allora da “Il drago d’oro” di Evoè Teatro, tratto da un testo del drammaturgo tedesco vivente più rappresentato in Germania, Roland Schimmelpfennig, di cui avevamo visto, con la regia di Carmelo Rifici, l’interessante “Visita al padre”.
Al centro della scena un ristorante thai-cino-vietnamita, “Il drago d’oro” del titolo, situato in un condominio, teatro di scene e situazioni assai diverse fra loro, e di intonazione spesso surreale.
Nel mescolarsi delle storie raccontate, il progetto per ora ci pare ancora poco definito, con una recitazione troppo “arruffata”. La resa teatrale a nostro avviso non riesce ancora a scavare abbastanza nelle inquietudini dei personaggi proposti.

L’unico testo originale finalista è stato “Schianto”, su ideazione e regia di Stefano Cordella, della compagnia Oyes.
La compagnia, dopo l’incursione contemporanea nei meandri di due testi cechoviani, si addentra nelle pieghe amare della condizione in cui vivono le nuove generazioni, votate allo… schianto. Non per niente i quattro personaggi protagonisti del progetto, ancora in via di definizione, sembrano essere su una macchina, tra speranze e disillusioni. Solo Robin, il supereroe, crede (deve credere nonostante tutto) nel suo futuro.
Lo spettacolo, intriso di amara ironia, è già ben costruito nella sua precisa delimitazione, tanto da meritarsi una menzione speciale della giuria.

Abbiamo invece trovato sfiancante la visione di “X” della compagnia DAF – Teatro dell’Esatta Fantasia, incursione teatrale nella fantascienza che rimanda, pur senza nessun appiglio scenografico gratificante, alla cinematografia del genere sci-fi, da “Odissea nello spazio” a “Solaris”. Convincenti gli attori ma, dopo le curiosità suscitate dal promettente inizio, lo spettatore si inerpica in un progetto in cui la noia fa capolino: lo spettacolo avrebbe bisogno di un cambiamento di ritmo continuo e stimolante.

Pierfrancesco Pisani, il cui progetto ha avuto la seconda menzione, mette in scena in modo minimalista ed immediato “Growth” di Luke Norris, testo che si è aggiudicato il Fringe First Award a Edimburgo.
Su un semplice prato verde, l’ottimo Francesco Aricò, sgomento per le conseguenze di una possibile malattia, si muove in maniera serrata, incontrando i diversissimi personaggi che lo circondano, interpretati tutti da Giulia Trippetta e Pavel Zelinskiy.
Ciò che ci piacerebbe trovare nello spettacolo, al di là della resa attorale, è una regia che sottolineasse, in modo più vario e profondo, le emozioni del protagonista, rispetto alla consapevolezza di ciò che potrebbe accadergli.

Nella penultima creazione selezionata dal bando ritroviamo Giuliano Scarpinato, autore che questa volta decide di ispirarsi, nel suo “Ovid Hotel”, a “The lobster”, film del 2015 di Yorgos Lanthimos; ma sono presenti anche riferimenti palesi a “Non si uccidono così anche i cavalli?”, film diretto nel ’69 da Sydney Pollack.
“Ovid Hotel” è un lavoro con diversi interpreti, ambientato in una sala da ballo in cui personaggi assai diversi fra loro, tra confessioni e paure, sono alla ricerca dell’anima gemella, o meglio, tentano di uscire dalla solitudine opprimente che li sta divorando.
Anche in questo caso ci troviamo davanti ad uno spettacolo ancora in fase di maturazione.

Terminiamo con il progetto vincitore, “The dead dogs” della compagnia Dellavalle/Petris, tratto dall’omonimo testo teatrale dell’autore norvegese Jon Fosse, curiosamente proposto da poco anche al Festival Inequilibrio di Castiglioncello da Carmelo Alù.
Lo spettacolo pone al centro la vicenda di un personaggio evidentemente disadattato, la cui estraneità al mondo circostante trova sfogo nell’omicidio del vicino, che ha avuto il torto di uccidergli il cane prediletto.
Lo spettacolo si fa amare, al di là delle – per noi superflue – immagini dedicate agli amici a quattro zampe, per l’ottima qualità attorale, ma soprattutto per la ripetitività significante delle situazioni, per il semplice andare e venire dei personaggi, per i loro sguardi e silenzi, che infondono nello spettatore una sottile inquietudine ben dosata e protratta sino alla fine.

Per la giuria “un testo scelto con coerenza rispetto alle linee guida del bando, che affronta il tema delle relazioni irrisolte all’interno della famiglia e della violenza latente che in generale serpeggia nella società contemporanea. Lo spettacolo, pur con ancora ulteriori potenzialità di crescita, già mette in evidenza una regia nitida e compiuta e ha come punto di forza un gruppo di attori e attrici di talento, soprattutto nella capacità di sostenere i ritmi e i “non detti” tipici della scrittura di Fosse”.

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