Il teatro ligure è in Tilt

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Photo: tilteatro.it
Terza vetrina expò per in Tilt, che ha ospitato a Genova, lo scorso fine settimana, tredici compagnie con altrettante “pillole di teatro”.
Tilt – Teatro Indipendente Ligure, associazione composta da quattordici gruppi (di cui ben dieci genovesi), è nata nel 2011 dall’esigenza di piccole e medie compagnie liguri di dotarsi di uno strumento che permettesse loro di unire le energie per progetti comuni rivolti sia alle istituzioni che al pubblico.

Sul primo fronte, nel corso di questi due anni, Tilt è riuscita a far pressione sull’amministrazione regionale e sul Comune di Genova per arrivare alla creazione di una Consulta regionale per lo spettacolo dal vivo (il primo incontro è fissato per il prossimo 27 giugno), e per il superamento, attraverso strumenti di programmazione pluriennale, della logica dei bandi annuali.

Sul versante del pubblico, invece, un esperimento di Tilt è la proprio la vetrina expò, durante la quale si sono esibite le differenti anime e sensibilità dei gruppi, con esiti più o meno riusciti.
Si è così passati da allestimenti dedicati ai bambini come “Odi_ssea un viaggio nel suono” del Teatro dell’Ortica o “Piedi per terra testa per aria” sull’importanza di amare e preservare la natura, a cura di Fiona Dovo, a opere come “La sindrome di Stoccolma” del Teatro Sacco, o “My name” del Gruppo Limpido/Banda Kurenai.
Quest’ultimo è uno spettacolo quasi interamente basato sull’espressività corporea e incentrato su un’identità, il nome appunto, che la società impone a chi, spaesato, si aggira per le strade di città impersonali alla ricerca di se stesso.
Nonostante le buone intenzioni di Raffaella Russo e le capacità fisiche di Carlo Strazza la performance non convince sino in fondo. Sebbene sia evidente che testo e azioni siano frutto di un lungo lavoro di ricerca, sulla scena non riescono a trasportare lo spettatore nel clima di angoscia esistenziale dal quale evidentemente provengono.

Oltre ai momenti dedicati al teatro più brillante, in cui è emersa la bravura di Andrea Benfante, è stato presentato l’esito del laboratorio di teatro integrato “Voci dentro” a cura del Gruppo Stranità, coordinato da Anna Solaro del Teatro dell’Ortica, incentrato quest’anno sulle dispercezioni uditive, e il progetto triennale di Luigi Marangoni “Elogio della follia 2013”, da Erasmo da Rotterdam.
Quest’ultimo, nato da un laboratorio condotto lo scorso anno proprio da Marangoni, porta in ogni tappa uno spettacolo differente. Per la serata genovese Marangoni ha ideato una performance su quattro livelli, incrociando i vissuti del pubblico con testimonianze di “follia quotidiana” e la drammaturgia creata attraverso la lettura di brani da Erasmo da Rotterdam.

Poco convincente la lettura, da parte di Fabrizio Giacomazzi, del “Sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij, produzione di Studio associato attori. Una performance tecnicamente buona, ma troppo indulgente verso quel senso di languore che accompagna il ripiegamento su se stesso, che ha reso il tutto piuttosto noioso.  

A margine dei due giorni di rassegna, Tilt ha organizzato alcuni workshop e momenti di dibattito sulla funzione della critica nell’era del web, e l’incontro “d|Istruzioni per l’uso”, decisamente più operativo, volto a preparare la prima riunione della Consulta regionale.

Un’ultima nota è da dedicare agli spettatori, piuttosto numerosi ma in buona parte addetti al settore e membri delle compagnie in scena. Il pubblico che una città come Genova potrebbe offrire non è arrivato. Complice, forse, anche la scelta del luogo (l’ex Abbazia di San Bernardino), posta sì nel centro storico, ma in una posizione decisamente defilata. Un peccato per una manifestazione che, con questo format, potrebbe invece raccogliere la curiosità dei passanti, così da presentare le compagnie al potenziale pubblico e non solo agli operatori.
 

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