Guardare oltre. Intervista a Fabio Tolledi, neodirettore del centro italiano dell’Iti

Il logo dell'ItiL’International Theatre Institute (Iti) è la più grande organizzazione mondiale per le arti performative. Fondata nel 1948 a Praga da esperti di teatro e danza dell’Unesco ha sede generale a Parigi; la sua missione è favorire la cooperazione internazionale e il dialogo interculturale fra artisti, operatori culturali e istituzioni teatrali.
Il 20 dicembre 2011, al Teatro Paisiello di Lecce, è stato presentato il nuovo punto di riferimento italiano di questa organizzazione non governativa: situato nell’attuale sede di Astràgali Teatro, verrà presieduto (in virtù dell’elezione svoltasi nel corso del congresso mondiale Iti 2011 a Xiamen in Cina, nello scorso settembre) da Fabio Tolledi, direttore artistico di Astràgali. Una carica che non può che essere anche un riconoscimento alla trentennale carriera della compagnia salentina.

Incontriamo il neo-direttore del nuovo centro italiano dell’Iti, nel foyer del Teatro Paisiello.
Seduti ad uno dei tavolini nell’ingresso della “bomboniera” di via Palmieri, attualmente sede della residenza Teatri Abitati condotta da Astràgali, parliamo delle progettualità di questo nuovo impegno internazionale, anche in previsione della 51^ giornata mondiale del teatro, in programma per il prossimo 27 marzo.

Quali sono gli impegni, nell’immediato futuro, del direttore del centro italiano dell’Iti?
Il primo obiettivo è quello di dare una risposta alla internazionalizzazione della scena. Sto partendo per Istanbul per un progetto su teatro e contemporaneità, e in marzo sarò a Manila per un incontro su teatro e guerra, un tipo di lavoro che in diverse parti del mondo, fatalmente, sta diventando di grande attualità. La prossima estate, invece, in Danimarca con giovani palestinesi, siriani e giordani per lavorare insieme. C’è un antico problema italiano, che è quello del provincialismo, l’incapacità di vedere cosa succede altrove, e questo crea un clima asfittico. Il mio impegno sarà quello di attivare questo piano di esperienza internazionale, per diventare più capaci di guardare al di là.

ITI Italia staff, members and board, Lecce Teatro Paisiello
Lo staff dell’ITI Italia, insieme a Fabio Tolledi, al Teatro Paisiello di Lecce

E per la giornata del teatro del 27 marzo?
Come da tradizione ci sarà un messaggio, che quest’anno verrà letto da John Malkovich, che forse ne leggerà anche la traduzione in italiano.

Torniamo ora indietro per ripartire dal nome della compagnia…
L’astràgalo è un ossicino del piede, piccolo eppure molto importante, poiché consente il movimento. È però anche il nome del gioco che fu dato a Dioniso bambino per poterlo rapire, una specie di gioco dei dadi praticato con una manciata di quegli ossicini. E astragaliontes erano chiamati i bambini che praticavano l’astragalomanzia. L’area del Salento è fortemente dionisiaca. E una variante di questo gioco sopravvive nel tuddi, una contrazione di pietuddi, che significa piedini.

Un forte legame con il territorio, dunque.
Con un territorio che è molto ampio, e fortemente segnato da studi sulla nascita del teatro fin dagli anni Sessanta. Noi portiamo avanti questi legami attraverso una collaborazione con l’Università del Salento, uno dei primi atenei italiani ad avere attivato una cattedra di Storia del Teatro e dello Spettacolo, e sede di un patrimonio bibliografico di grande valore, il Fondo D’Amico, ricco di edizioni rare, che diede fondamento alla Enciclopedia dello Spettacolo. Una continuità di studi che inizia negli anni Ottanta, con il nostro primo lavoro “Rito. Tragedia. Rito”.

Quel vostro esordio su rito e tragedia definisce un’estetica che attualmente triangola tre concetti attorno al “fare esperienza del limite”: il radicarsi dell’evento teatrale nel qui e ora, la frequentazione di luoghi di emergenza, conflitto e crisi, e il mai abbandonato riferimento alla tragedia greca e al patrimonio classico in generale. Come fate cortocircuitare queste tre dimensioni nel vostro lavoro?

Il pensiero derridiano sull’esperienza del limite è sicuramente uno dei nostri punti di riflessione. Se è possibile un teatro della decostruzione esso avviene ai margini, in un territorio di confine, labile, non segnato. E Lecce intercetta senz’altro una marginalità ri-centrata: non più un luogo dove si doveva decidere di andare, tanto era fuori dalle reti consuete, lontano dai grandi raccordi, ma nuovo baricentro di un territorio comune, quasi capace di alterare la percezione di essere europei o, come ha detto qualcuno, non più il sud del nostro paese, ma il centro del bacino mediterraneo…
Le ricerche di Franco Cassano sul “pensiero meridiano” sono un ulteriore elemento di riflessione: oltre le pratiche della globalizzazione in epoca di tecno-lingua, alla ricerca di un terreno comune. Qui Ulisse è un mito fondatore, attraversato e importante, di colui che vaga per trent’anni. E noi, andando nei luoghi di crisi, ne abbiamo trovato molteplici tracce: in Albania, in Grecia, a Cipro, a Malta… Dimensioni territoriali di profonda condivisione, all’opposto della monolingua globale.
Il patrimonio comune è il tragico, ma non quello reinventato dalla filologia romantica tedesca, tale per cui la tragedia è nobile e la commedia no, bensì un percorso carico di forme legate alla sacralità della morte. Dioniso presiede alla celebrazione della carnalità e alla elaborazione del lutto. Ecco dunque le lamentazioni funebri, il pianto rituale, la moroloia in griko, il canto funebre, che non è solo di queste parti, ma lo si trova in tutto il Mediterraneo. La mirologia greca è la struttura metrica sofoclea, un elemento sonoro più che libresco. È tragedia viva e vivente.

Quindi i vostri interventi in aree di crisi hanno palesato questa continuità culturale nel qui e ora di un conflitto globale che va oltre la cosidetta innovazione della tradizione.
I nostri interventi in luoghi sensibili rientrano in quella comunemente nota come diplomazia sensibile. E, nella consapevolezza che la performance è luogo della elaborazione del conflitto, la domanda non può che continuare ad essere: cosa accade in questi luoghi? Devono esserci forme d’arte che parlano di quello che sta succedendo? Un lavoro che è iniziato sul territorio pugliese, non estraneo ad una economia del conflitto, con le prime ondate migratorie dal Kossovo, quando arrivavano giovani adolescenti che venivano trattenuti fino al compimento dei 18 anni nei centri di accoglienza, e continuato poi con Antigone a Cipro, con attori professionisti che, nelle loro case, avevano ancora le divise e le armi appena dimesse; o in Siria, con le Troiane, o in Libano, dove arrivavano milioni di profughi iracheni e ogni casa aveva un materasso dove ospitarli. Insomma, territori dove il lamento non è esperienza letteraria ma momento quotidiano. Certo, non tutto è tragedia!

Il 24 marzo presenterete “Divenire animale”, un lavoro a partire da “Gli Uccelli” di Aristofane.
Il còmos era parte importante del rituale dionisiaco che prelude al finale orgiastico. Il testo aristofaneo non lo concepiamo come una commedia nel senso di un lavoro d’evasione, ma come un importante contributo al questionamento sulla disgregazione della polis. Il lavoro che presenteremo in marzo, insieme ad altre iniziative, è un passaggio successivo a Lysistrata, dove ci occupavamo della oscenità del potere. Il tema in questo caso è quello della nudità, e di quel grado estremo di nudità che è la nudità animale. La riflessione è ancora una volta quella derridiana, con particolare riferimento a un testo dal titolo “L’animale che dunque sono”. È strano, per noi, che quei due ateniesi vogliano diventare uccelli per avere le ali, e che poi costruiscano una città con un muro. Quasi un recinto che evoca la separazione: nella convergenza, è quanto accade in Cisgiordania quando in Europa ci stiamo ancora rallegrando per la caduta del muro di Berlino.

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