Novecento. Il classico di Baricco firmato Vacis e Allegri

Eugenio Allegri in Novecento
Eugenio Allegri in Novecento
Eugenio Allegri in Novecento
Danny Boodman T. D. Lemon Novecento è nato sul piroscafo Virginian e non ha mai messo piede sulla terraferma. Una notte entra nella sala da ballo della prima classe e inizia a suonare il pianoforte in modo strepitoso, senza che nessuno gli abbia mai insegnato a farlo.
Da quel momento si esibisce tutte le sere con la band della nave e diviene un pianista famosissimo.

Eugenio Allegri ci racconta questa storia semplicissima proprio come Alessandro Baricco l’ha scritta. Sarà che nel ’94 il monologo l’aveva ideato proprio “per un attore, Eugenio Allegri, e un regista, Gabriele Vacis”, si legge ancora oggi nella prefazione all’ennesima edizione del piccolo e fortunato volumetto, complice assoluto della fortuna del Baricco scrittore.
Vacis e Allegri ne fecero uno spettacolo che debuttò poi al festival di Asti.

È Tim Tooney a parlare, il trombettista che suona sul Virginian tra il 1927 e il 1933 e che diviene grande amico del musicista. Tutto il monologo è giocato su un ritmo jazz: le battute si susseguono con velocità variabile e l’effetto sa di melodia improvvisata, di tempi allentati e di altri recuperati.

La metafora fondamentale sull’esistenza, racchiusa dalla pièce, è il conflitto tra finito e infinito, espresso in maniera più esplicita nell’ultima storia che Novecento racconterà all’amico prima di saltare in aria insieme al Virginian.
Di fronte a Tim, venuto a cercare un’ultima volta di fargli abbandonare il piroscafo che sta per essere distrutto, il pianista rivela perché sia così tenacemente attaccato a quella casa sull’oceano.
Quando decise di scendere dalla nave per farsi una vita sulla terraferma, e da lì guardare il mare per sentirne l’urlo profondo, così come era successo a un contadino incontrato sul Virginia, Novecento si arrestò al terzo gradino della scaletta. Vide il mondo, ma non ne vide la fine.

Nei tasti del pianoforte, invece, Novecento trova l’ordine dell’esistenza: sempre gli stessi ottantotto, ed è con questo numero finito di note che visita gli infiniti mondi che gli occhi dei passeggeri suggeriscono. “Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi suonare”.
Come esplorare tutte le combinazioni dell’esistenza se queste possono nascere da infinite variabili? “Se quella tastiera è infinita, allora su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Tu sei seduto sul seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio. Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade. Ce n’è a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una, a scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire. Tutto quel mondo, quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce e quanto ce n’è. Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla”.

Il mondo è uno strumento troppo vasto per essere suonato senza il timore di impazzire. Novecento torna così a vivere in uno spazio confinato per fuggire il caos e l’ignoto. Dobbiamo leggere questa scelta come una sfida lanciata alla vita? Baricco non dà soluzione. E neanche Eugenio Allegri o Lucio Diana e Roberto Tarasco, con i quali Vacis dirige l’attore in questa ripresa della versione originale.

Il repentino cambio di intonazione durante il monologo finale rafforza questa sospensione di giudizio: Allegri abbandona la leggera cantilena che aveva tenuto per tutto il corso della pièce, al punto da farla diventare quasi fastidiosa. Siede su una valigia e, pacato, comincia l’ultimo racconto di Novecento. La sua recitazione si imposta su un piano di equilibrio tonale. Dopo poche battute è così assorto che scompare, lascia che le cose accadano. Tra i suoi occhi assenti e il pubblico, illuminate da una luce che da blu si è fatta rossa, scorrono le immagini che le sue parole suggeriscono.
Anche la scarna scenografia concede al pubblico la libertà necessaria a vedere: qualche velo e un pianoforte in miniatura appeso evocano la vita di Novecento e il suo fluttuare.

Dopo anni di tournée per l’Italia e l’Europa, traduzioni in tutto il mondo, una versione cinematografica (“La leggenda del pianista sull’oceano” diretta da Giuseppe Tornatore e interpretata da Tim Roth nel 1998) e perfino un fumetto – sceneggiato dallo stesso Baricco – con protagonisti Topolino e Pippo, “Novecento” è tornato anche quest’anno durante le feste a Torino, ma per la prima volta al Teatro Carignano, tappa di un calendario tutto italiano che si concluderà a Roma il 20 gennaio.

NOVECENTO
di Alessandro Baricco
interpretato da Eugenio Allegri
sulla base dello spettacolo di Gabriele Vacis, Lucio Diana e Roberto Tarasco
scenofonia: Roberto Tarasco
costumi: Elena Gaudio
luci: Cristian Zucaro
fonica: Alessandro Bigatti
assistente tecnico: Massimo Violato

Visto a Torino, Teatro Carignano, il 2 gennaio 2013


 
 

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