Qui e Ora, ultimi sguardi dalle Esperidi

Madri di Qui e Ora
Madri di Qui e Ora
Madri di Qui e Ora (photo: aidateatro.it)
Ultime note di bordo dalle giornate de Il giardino delle Esperidi 2012, il festival che si è chiuso fra i monti di Brianza a fine giugno. A Galbiate, nella bellissima cornice di Villa Bertarelli, alcune proposte coraggiose di nuove compagnie ci hanno particolarmente indotti a raccontarvele.

Il primo lavoro è quello di una compagnia giovane, Fragmateatro, che dopo lunghi periodi di laboratorio guidati da Elisabetta Bianca, arriva a proporre un esito spettacolare più unitario, ispirato all’Agamennone di Eschilo, e interpretato da Leonardo Fiorentini, Attilio Imbrogno, Alessia Passarelli e Barbara Pizzo.

La fruizione è riservata a 12 spettatori e, attraverso un percorso itinerante nelle stanze della villa, si interroga, alla maniera di Grotowski, sulla drammaturgia che trova esito nel corpo dell’attore. Come detto si tratta di un gruppo neocostituito, di persone che hanno sviluppato il proprio percorso per progressivi laboratori autogestiti. Ma l’esperienza si concretizza in un esempio interessante di come il percorso teatrale possa incorporare e rendere partecipe dei suoi esiti persone che vengono da percorsi molto diversi fra loro, come in fondo sono i partecipanti a questo gruppo di ricerca.

Lo spettacolo è pensato come percorso itinerante che segue gli attori all’interno di una delle dimore storiche cui Il Giardino delle Esperidi ridà vita e pubblica fruibilità. La villa appare davvero una piccola reggia, sufficientemente vuota per consentire di ambientare la vicenda di Agamennone, che torna in patria con la prigioniera sedotta Cassandra.
Il ritorno e la vendetta della moglie dell’eroe della guerra di Troia si unisce alla vicenda del sacrificio della figlia Ifigenia. Nel primo ambiente il pubblico assiste alle profezie di Cassandra, poi entra a palazzo dove vive l’incontro di Agamennone con Clitennestra, per poi spostarsi, con il focus drammaturgico, sul sacrificio di Ifigenia, per arrivare, in fondo, alla vendetta finale.

Dal punto di vista del percorso di pratica attorale, restano alcune difformità fra gli esiti all’interno del gruppo, in parte accentuate da alcuni esperimenti sulla vocalità che invece di mitigare le differenze finiscono per esaltarle. Da questo punto di vista sarà bene per il futuro che la ricerca osi il massimo comun denominatore in laboratorio, ma il minimo comune multiplo durante gli spettacoli, per evitare di far esplodere le differenze in forma distonica.

Una riflessione ulteriore, nel caso di spettacoli ad itinerario, va sempre fatta anche sulla presenza fisica del pubblico. Lo spazio non era sempre agevole da sfruttare, e le due repliche giornaliere, di cui una in condizione di luce e una di buio, aumentavano le difficoltà di ragionamento su come far fruire al pubblico la rappresentazione. Una serie di complessità cui il giovane e tenace gruppo ha dovuto far fronte ma da cui forse ha anche tratto utili elementi di crescita. Parliamo di un gruppo che mostra di applicarsi con serietà alla pratica. E’ giusto che questo percorso continui, ragionando con più forza sulla funzione del teatro e sul dialogo col pubblico. Se si sceglie di aprirsi a quest’ultimo esercizio di confronto, occorre che la prassi teatrale sappia essere magari anche un po’ “meno”, asciugando i rivoli più intellettualistici, per essere poi “più” forte nella comunicazione interpersonale nel momento essenziale della replica.

Passiamo a “Madri, concerto di sbagli e di intimità”, una pièce originale della residenza Qui e Ora, di e con Francesca Albanese, Silvia Baldini, Swewa Schneider e Laura Valli. Si tratta di una delle residenze del percorso di Etre, che per questo prodotto artistico si è avvalsa dello sguardo di Elena Bucci.

L’elaborazione drammaturgica di Silvia Baldini rivolge uno sguardo tutto femminile al mondo della genitorialità visto da un lato della luna. La partitura è scenica, ma spesso anche vocale, con un impegno sull’impianto corale del quale va dato merito alla direzione musicale di Catherine Robin.

Quattro donne, quattro mamme, entrano in scena vestite in ugual modo, con i costumi di Erica Sessa dal vago sapore anni Sessanta.
Martina Santamaria e Diego Roveroni hanno lavorato all’ampia documentazione video e fotografica che interagisce positivamente a più riprese con il recitato, alternando le autoironiche saghe della maternità imbranata all’infinita dolcezza dell’attesa, del parto, dell’assistenza, di tutto quello che finisce per essere un eterno e dolcissimo lavoro, inteso come impegno costante al servizio di qualcuno, l’essere umano nascituro appunto.

Lo spettacolo rimane sempre delicato e leggero, affronta i temi più difficili con una dolcezza traslucida, che rimane centrata sul tema della genitorialità femminile, forse un po’ egoisticamente, ma in fondo in modo riuscito. Non c’è spazio per giudizi di merito e valore sull’altra metà della coppia, ma la dichiarazione di intenti è esplicita fin dall’inizio e ad essa rimane fedele.

Se un pregio e una pecca allo stesso tempo lo spettacolo ancora ha nella sua forma attuale, pur positiva e gradevole, è il fatto che rimanga piuttosto lineare nel suo svolgersi. Non ha scossoni. E’ continuo, coerente e costante, in modo onesto e partecipato, come in fondo una mamma è. Anche in questo, si sa, magari la mamma non è quella matta che a quasi tutti sarà capitato di incontrare nella vita, che te la rivolta come un calzino e poi fugge via.
Ma non è né giusto né onesto che alla voce emozioni si ascriva solo questo tipo di esperienze. E in fondo la riflessione delle ragazze di Qui e Ora, a ben vedere, è forse più profonda e riguarda appunto la pazienza, il saper attendere, il dare sicurezza. L’esserci.
 

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