L’Ubu Roi secondo Roberto Latini. Da Jarry alla spirale shakespeariana

L'Ubu roi di Latini
L'Ubu roi di Latini
L’Ubu roi di Latini (photo: fortebraccioteatro.com)

Passa attraverso Artaud, Carmelo Bene e Leo de Berardinis, l’Ubu Re di Roberto Latini, andato in scena al Fabbricone di Prato in prima nazionale, intrecciando, in una spirale ben equilibrata, il testo di Alfred Jarry con squarci da Shakespeare (Macbeth, Amleto, Giulio Cesare, La tempesta, Romeo e Giulietta) con una regia che ben dosa tragedia e commedia, osceno e provocazione, nell’intento di un’indagine sul dramma della condizione umana.

È uno studio attorno all’uomo, alla tragedia dell’essere e alla responsabilità dell’essere attore, dove un Latini nei panni del Pinocchio di Carmelo Bene, incatenato nel primo atto e libero e di bianco vestito nel secondo, segue come testimone silenzioso, se pur partecipe nella sua compassione, la tragedia che investe gli avidi e sanguinari protagonisti dagli eccessivi comportamenti, protagonisti dell’opera teatrale di Jarry.

Spettacolo denso e complesso, carico di riferimenti e omaggi, caratterizzato da “assunzioni di responsabilità” – come spiega Latini nelle note di regia – di un modo di intendere il teatro contemporaneo nella ricerca di sostanza più che di forma. E questa sembra essere una delle tematiche più stringenti dell’attuale panorama italiano, dove risulta sempre più spesso essere la seconda ad avere il sopravvento.

Ma è anche uno spettacolo dove risuona forte il timbro della poetica dell’attore e regista romano, nell’uso della voce amplificata come fosse uno strumento, tra riferimenti a suoi lavori precedenti. Il tutto all’interno della scena creata da Luca Baldini, algida, bianca, razionale, che sembra richiamare i recenti lavori di Virgilio Sieni.

L’Ubu Re che ha debuttato a Prato si apre in un’atmosfera alla Stanley Kubrick di “2001: Odissea nello spazio”, con i protagonisti di bianco vestiti che indossano una maschera da uomo/primate, intenti a cuocere su una piastra würstel appesi a lunghe canne di bambù, a mo’ di canne da pesca. Poi si aprono le danze e assistiamo allo svilupparsi delle efferate vicende che portano alla presa del potere di Padre Ubu dopo l’uccisione del re Venceslao e tutto ciò che ne consegue.

Spesso la trama di Jarry viene interrotta per dare spazio a quadri evocati da testi di Shakespeare, ma che altro non sono che uno studio, un’indagine sull’uomo, sulla tragedia, spinte centrifughe rispetto all’azione scenica, solo apparentemente in distonia col percorso drammaturgico, ma che in sostanza ben compensano un equilibrio di fondo in cui la regia di Latini mostra tutta la sua efficacia, ora che il suo modo di fare teatro sembra giunto a una piena maturazione, in un ottimo equilibrio tra ironia e tragicità.

Gli attori sono bravi, Ciro Masella è così a suo agio nei panni di Madre Ubu da risultare in certi momenti addirittura troppo compiaciuto. Notevole anche la prova di Fabiana Gambanini.
Le evocative musiche di Gianluca Misiti, strutture portanti nell’architettura drammaturgica del lavoro, sono anch’esse parole che divengono amplificazione emotiva della partitura gestuale degli attori in scena.

Roberto Latini supera questo esame di maturità con talento e bravura, grazie anche al grande lavoro di preparazione che emerge in molti particolari, creando un meccanismo che ruota quasi alla perfezione.
Affiora un pensiero, nel fare teatro, – un atto di responsabilità – che fa di questo spettacolo un grande lavoro nella sua complessità e forte struttura.

UBU ROI
di Alfred Jarry
regia: Roberto Latini
musiche e suoni: Gianluca Misiti
scena: Luca Baldini
costumi: Marion D’Amburgo
luci: Max Mugnai
assistente alla regia: Tiziano Panici
con: Roberto Latini
e: Sebastian Barbalan, Lorenzo Berti, Fabiana Gabanini, Ciro Masella, Savino Paparella, Simone Perinelli, Marco Jackson Vergani
produzione: TEATRO METASTASIO STABILE DELLA TOSCANA / FORTEBRACCIO TEATRO
durata: 2h (con intervallo)
applausi del pubblico: 3′ 5”

Visto a Prato, Fabbricone – Teatro Metastasio, il 9 febbraio 2012
Prima nazionale

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