Verdi reloaded. Il Re Lear secondo Lenz Rifrazioni

Il Re Lear di Lenz Rifrazioni (photo: Francesco Pititto)
Il Re Lear di Lenz Fondazione (photo: Francesco Pititto)

Il più grande affresco drammatico di Shakespeare: una Britannia mitica in cui un vecchio re non sa distinguere tra il falso e autentico amore delle sue tre figlie, e lo stesso sovrano che muore di dolore.
Sono queste scene così potenti che devono aver convinto Giuseppe Verdi a tentare di musicare il Re Lear. Un tentativo rimasto incompiuto, e il fantasma del re britannico continuerà ad aleggiare inquieto in diverse opere del Maestro.

Lenz Rifrazioni (da inizio 2015 diventato Lenz Fondazione) rievoca questo fantasma dell’opera rintracciando gli spettri del desiderio creativo verdiano.

Lo fa collaudando i linguaggi contemporanei della drammaturgia, delle scenografie reali e virtuali, della musica, e del corpo performativo, spingendo la ricerca in nuove configurazioni di intreccio con il melodramma.
Inserito come coproduzione nel cartellone del Festival Verdi 2015 di Parma, il Re Lear di Lenz è uno spiazzante incontro tra le poetiche di confine dell’arte performativa della compagine parmense, e l’incorruttibile tradizione lirica del Teatro Regio.

L’esito è una contaminazione semiotica tra rincorse di sperimentazioni sonoro-visuali, e i ricorsi ossessivi che Verdi diffuse in numerose sue arie in omaggio all’opera shakespeariana.
È un esito che transita in una duplice installazione scenica, allestita in due sale distinte, dove si replica contemporaneamente la performance, e gli spettatori che si spostano casualmente da un luogo all’altro. Non c’è una consequenzialità narrativa, è il pubblico che passa da una modalità immersiva ad un’altra. I due quadri vivono di vita propria, indipendenti ma in simbiosi, una duplicità convivente a cui lo spettatore è chiamato a testimoniare, a variare la propria prospettiva in un accumulo fluttuante di segni. Entrambe le scene sono raccolte in un involucro di drappi in trasparenza, stratificati su più livelli, sono l’habitat di materiali visivi diluiti nella frammentazione dell’agire. Sono video che simultaneamente evocano un’assenza, un re nato ma senza mai essere stato concepito, volti sospesi appartenenti a territori sfuocati, immaginati ma mai decriptati. Indefiniti come in un sogno, ma concretamente ossessivi nel loro ispezionare i ricordi di un’umanità.
È un gioco multivisivo che porta a rovesciare le dinamiche della visione, è la scena che guarda il pubblico. Le due installazioni si distinguono per un binomio colore opposto al bianco e nero, e per una ambientazione simulacro monumentale opposta a una squadrata sala ospedaliera, dove due file di letti accolgono i corpi dei performer avvolti in pesanti coperte nere. Mentre l’unicità della rappresentazione si manifesta nei magnetici echi di suoni, voci e sospiri, e in una liturgia salmodiante che gli attori cospargono nelle maglie di una drammaturgia che si intravede (del resto dell’opera ci è comunque pervenuto il libretto di Antonio Somma, con le correzioni in continuo divenire del compositore). Attori che, come sacerdoti, liberano un rito pulsante di materia sonora, apparendo e disgregandosi in una cerimonia creatrice di bagliori letterari.

Agli storici interpreti e attori sensibili di Lenz si intrecciano cantanti lirici, allievi del Conservatorio Arrigo Boito di Parma, che innestano i presagi di una partitura assente ma delineata dal potente spirito verdiano che soffia sulla messa in scena.
Potente come l’impronta delle elaborazioni sonore del sound artist di culto Robin Rimbaud aka Scanner, già prezioso collaboratore in diverse occasioni della compagnia. L’artista inglese amalgama un contesto di rivisitazioni elettronico-sperimentali verdiane che dilata la funzione di accompagnamento, rivestendo il formato operistico con un reticolato di immaginificazioni sonore, alimentate da compiute arie del compositore parmense, ma che ridisegnano i colori musicali, esplorando i prismi di una vera e propria drammaturgia acustica. La musica come sistema nervoso dell’organismo performativo.

La messa in scena non concede nulla alla linearità descrittiva, procede prevalentemente per connessione di quadri, movimenti frammentati in una circolarità di simbologie visionarie, in cui il pubblico viene idealmente internato e lasciato inerme al tentativo di estendere la percezione visivo-uditiva.
L’intenzione non è certo quella di restituire una ricostruzione anche solo intuita di un’opera mai composta, assente quindi, ma l’elaborazione ex novo del feto di un processo creativo latente e latitante.
Non sarebbe privo di esiti interessanti un più frequente connubio tra questo genere di progetti e il fin troppo imbalsamato mondo dell’opera lirica.

VERDI RE LEAR
da Re Lear di Antonio Somma e Giuseppe Verdi, prima versione con le varianti e King Lear di William Shakespeare
Ricerca, drammaturgia e imagoturgia, regia: FRANCESCO PITITTO
Music + live electronics ROBIN RIMBAUD aka SCANNER
Installazione e costumi MARIA FEDERICA MAESTRI
Consulenza musicale CARLA DELFRATE
Consulente al canto: DONATELLA SACCARDI
Performer: VALENTINA BARBARINI, BARBARA VOGHERA, GIUSEPPE BARIGAZZI
Cantanti: HARUKA TAKAHASHI soprano, EKATERINA CHEKMAREVA mezzosoprano, GAETANO VINCIGUERRA baritono, LORENZO BONOMI baritono, ANDREA PELLEGRINI basso, ADRIANO GRAMIGNI basso
In scena: ROCCO CACCAVARI, MARCO CAVELLINI, PAOLO MACCINI, FRANK BERZIERI, CARLO DESTRO, PAOLO PEDIRI, CARLOTTA SPAGGIARI
Produzione: LENZ FONDAZIONE per il Festival Verdi 2015
In collaborazione con TEATRO REGIO di PARMA, CONSERVATORIO DI MUSICA ARRIGO BOITO di PARMA

durata: 1h 46′
applausi del pubblico: 1′ 27”

Visto a Parma, Teatro Lenz, il 10 ottobre 2015
Prima nazionale

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