“Chi come me”: il teatro necessario di Roy Chen e Andrée Ruth Shammah

Amy Boda, Chiara Ferrara, Alia Stegani in scena
Amy Boda, Chiara Ferrara, Alia Stegani in scena

In scena al Franco Parenti di Milano fino al 5 maggio, l’ultima regia della direttrice artistica

“Chi come me” di Roy Chen, uno tra i più acclamati scrittori israeliani, è un testo che nasce da un’esperienza reale dell’autore. E’ infatti stato scritto dopo un soggiorno nel centro di salute mentale Abravanel di Tel Aviv, al quale Chen era stato invitato per assistere ad una rappresentazione, alla fine della quale è poi tornato per circa sei mesi.

Il testo, che sarebbe dovuto andare in scena il 7 ottobre in Israele, ma così non è stato, è ambientato proprio in un centro di salute mentale per adolescenti; qui cinque ragazzi affrontano sé stessi ed il rispettivo rapporto con il mondo.
L’autore ci pone di fronte alla scelta di autoisolarsi e all’istinto autolesionista di Alma, alla rabbia di Barak, all’autismo di Emanuel, alla schizofrenia di Bat-Sheva che si sente una leonessa, e alla disforia di genere di Tamara/Tom, prigioniero in un corpo di donna, disturbi che spesso restano incompresi, inascoltati. Ed è proprio ciò che accade nel centro, dove uno psichiatra usa quella che può essere definita una terapia del dialogo, invitando una docente di teatro. “Chi come me” è uno dei primi giochi a cui ragazzi e ragazze vengono invitati a partecipare: “chi come me odia…”

Andrée Ruth Shammah sceglie questo testo per quella che è sua ultima regia dichiarata. Nella nuova sala A2A del Teatro Franco Parenti di Milano la regista crea una scena immersiva, con lettini sparsi nella platea e personaggi che si svelano e disvelano da ogni lato. Grazie anche all’allestimento di Polina Adamov il pubblico si lascerà così invadere dalla realtà scenica, accettando il gioco del teatro e partecipando attivamente, come raramente accade.

Il lavoro fatto sui giovanissimi interpreti è minuzioso, quanto prezioso per il loro futuro: Federico Di Giacomo è divertente ed emozionante, nel suo microcosmo puntellato dalla sindrome di Asperger; Chiara Ferrara è un vulcano, una giostra di emozioni come il bipolarismo del suo personaggio; Samuele Poma è quasi tenero nella sua eroica rabbia; mentre Amy Boda racconta la disforia di genere con una genuinità tale da renderla semplice ed immediata; Alia Stegani entusiasma tutta la sala con la sua schizofrenia leonesca, che diverte e commuove.
Si ride tanto e si partecipa, insomma, così come prevede il testo. La regista riesce a creare un meccanismo perfetto di emotività e compartecipazione, con il pubblico che risponde alle domande e alza le mani: “Chi ha pianto questa settimana?”, “Chi si è fatto del male?”. Non c’è imbarazzo nell’esporsi, nel guardarsi, in questa scena che abbraccia teneramente il disagio dell’adolescenza e non solo.

Paolo Briguglia è attento, quasi un’estensione della regia: dentro e fuori la narrazione, accompagna il pubblico in quest’universo in cui l’ascolto è l’unica cosa che conta, e dove i disagi narrati ci sembrano così vicini da renderli meno patologici. Elena Lietti crea un personaggio concreto, a tratti grottesco, fragile, forse l’adulto più vicino al mondo degli adolescenti, e probabilmente per questo più incauto, sognante, vibrante di vita.

Il teatro può guarire? Ci si domanda durante la pièce, così come se lo è chiesto l’autore durante la sua reale esperienza. Forse no, ma le lettere alle proprie malattie/emozioni, che la docente di teatro invita i ragazzi a scrivere, sanno di presa di coscienza, di attenzione, di ascolto terapeutico.
Qui è il mondo adulto che ne esce ammaccato. I poliedrici Sara Bertelà e Pietro Micci interpretano i vari genitori, con caratterizzazioni talvolta estreme, cambi repentini di abiti ed accenti. Con loro la risata si fa amara. Perché sono adulti che appaiono disincantati, confusi, dispersi in differenti vacuità, incapaci di ascoltare e comprendere quegli occhi pieni di sentimento che li guardano.
Ed è proprio su questo messaggio che Shammah insiste sul finale, con un j’accuse quasi ridondante, ma che resta un pensiero pesante negli spettatori a fine spettacolo.

In un tempo nel quale gli adolescenti inviano sempre più segnali di allarme, in cui la scuola sembra non riuscire a gestire ed educare, in cui incombe un’analfabetismo emotivo preoccupante, questo testo e questa regia sembrano necessari. “Chi come me” è un lavoro emozionante e, nonostante i temi trattati, divertente.
Shammah, con la sua ultima regia (in scena a Milano fino al 5 maggio), ci regala una pièce praticamente perfetta nella sua costruzione minuziosa, capace di inglobare il senso stesso dell’essere in scena. 

CHI COME ME
di Roy Chen
adattamento, regia e costumi Andrée Ruth Shammah
traduzione dall’ebraico Shulim Vogelmann
con in o.a. Sara Bertelà, Paolo Briguglia, Elena Lietti, Pietro Micci
e con Amy Boda, Federico De Giacomo, Chiara Ferrara, Samuele Poma, Alia Stegani
allestimento scenico Polina Adamov
luci Oscar Frosio
musiche di Brahms, Debussy, Vivaldi, Saint-Saëns, Schubert … e Michele Tadini
assistente alla regia Diletta Ferruzzi
assistente allo spettacolo Beatrice Cazzaro
consulenza vocale Francesca Della Monica
direttore dell’allestimento Alberto Accalai
direttore di scena Paolo Roda – elettricista Domenico Ferrari
fonico Marco Introini– sarta Marta Merico
scene costruite da Riccardo Scanarotti – laboratorio del Teatro Franco Parenti
costumi realizzati da Simona Dondoni – sartoria del Teatro Franco Parenti
gradinate costruite da Pietro Molinaro – Scena4
si ringrazia Bianca Ambrosio per averci fatto conoscere Roy Chen
Produzione Teatro Franco Parenti

Applausi del pubblico: 4’ 30”

Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, il 26 aprile 2024
Prima nazionale

0 replies on ““Chi come me”: il teatro necessario di Roy Chen e Andrée Ruth Shammah”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *