Le mie parole sono uomini. Chiara Bersani, Sara Vilardo, Matteo Ramponi: creatività in relazione aperta

Le mie parole sono uomini|Chiara Bersani|Your Girl
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Chiara Bersani
Chiara Bersani

Buscarini|Camiloti|de la Fe, Requardt|Opoku Addaie, Rachel Krische|Oliver Bray, Davide Dolores|Laura Graziosi, Foscarin|Nardin|D’Agostin, Carullo|Minasi, Chiara Bersani|Sara Vilardo, Ricci|Forte, Chico|Matijevic.

Sfogliando le pagine di quella che è stata la programmazione di B. Motion di quest’anno, conclusasi a inizio mese, sia per quanto riguarda la settimana della danza che quella dedicata al teatro si incontrano nomi e cognomi di singole individualità che hanno preferito sperimentarsi in formazioni artistiche più o meno temporanee piuttosto che raccogliersi  in quelle che abitualmente chiamiamo “compagnie”.
Certo, c’è anche stata la presenza, per quanto attiene all’ambito teatrale, di Babilonia Teatri, Fibre Parallele, Nerval Teatro, Città di Ebla e altri ancora, ma sembra di ritrovare, soprattutto tra i giovani e giovanissimi, la necessità di intrattenere – per dirla secondo il gergo che popola la rete – delle relazioni aperte, piuttosto che raccogliersi in un gruppo con un linguaggio e una poetica definita.

Non si parla di solitudini artistiche, ma di congiunzioni intercambiabili, di formazioni incompiute, impermanenti, imperfette, di dialoghi scomponibili e assemblabili. Una necessità di uscire da vincoli relazionali, da schemi e definizioni artistiche, senza rinunciare alla condivisione, spinti ed eccitati dalle sconfinate possibilità di esplorazione e incontro.

Durante la kermesse, abbiamo chiacchierato con una di queste giovani formazioni: Chiara Bersani, Sara Vilardo e Matteo Ramponi, che hanno presentato a B. Motion  “Le mie parole sono uomini”, titolo che prende in prestito e modifica dichiaratamente uno dei bellissimi versi di Nazim Hikmet (“Le tue parole erano uomini”), in cui le parole vivono della forza e del coraggio non dell’uomo nel suo genere maschile, ma dell’uomo come essere, come umanità e amore dell’umanità.

Il libretto di sala definisce la coproduzione un primo studio, ma tutti e tre ci tengono a sottolineare che quello che hanno presentato è un lavoro fatto e finito, con una sua autonomia e indipendenza, che se decideranno di portare avanti diventerà un’altra cosa, un altro studio appunto, potrebbe anche darsi con una formazione diversa.

Your Girl
Your Girl (photo: Alessandro Sciarroni)

Chiara Bersani, simpatica e grintosa performer piacentina che si muove con l’ausilio di una carrozzina, deve la propria formazione al teatro visivo e di ricerca di Lenz Rifrazioni di Parma. Qui incontra Matteo Ramponi e Alessandro Sciarroni, con i quali inizia una collaborazione duratura.
Grazie alla performance “Your Girl”, dove la diversità fisica viene delicatamente superata dalla forza del desiderio e del sentimento, iniziano ad essere riconosciuti anche a livello internazionale: “Your girl, che sta girando anche con il circuito Aerowaves di danza, ci ha permesso di confrontarci professionalmente con altre realtà, altri occhi, altri feedback, completamente diversi. Mi sento di dire che gran parte della mia formazione arriva da lì, perché questo primo anno in giro per l’Europa ha cambiato un po’ tutto, la mia vita e il mio lavoro” racconta Chiara, che con delicatezza ed emozione esprime l’urgenza di un confronto con linguaggi visivi e corporei differenti, accostamenti o condivisioni con i quali sta arricchendo pian piano il proprio percorso artistico.

“Desidero lavorare con diverse individualità e intimità, scoprire cosa può accadere, partendo da qualcosa che non è un testo scritto o un’idea precostituita. Preferisco partire da noi, chiedermi qual è il messaggio che ognuno di noi ha l’urgenza di comunicare lì fuori, cosa accade confrontandoci, cercando comunque di essere anche molto fedeli ai linguaggi che abbiamo acquisito durante gli anni di formazione”.

L’incontro con Sara Vilardo, attrice italiana che sta proseguendo i suoi studi in performing arts a Bruxelles, avviene durante il workshop tenuto da Rodrigo Garcìa lo scorso anno alla Biennale di Venezia.

“All’epoca, io e Chiara non ci conoscevamo – ripercorre Sara – Con Rodrigo, che entrambe adoriamo, abbiamo avuto l’opportunità di improvvisare insieme. E’ nato tutto con leggerezza, avevamo dei testi scritti reciprocamente, sono andata da Chiara e le ho detto: ‘questo testo potrei averlo scritto io!’. Ci siamo fatte reciprocamente delle proposte di improvvisazione, che sono riuscite bene, ci siamo divertite e lo stesso Garcìa ci ha consigliato di portare avanti l’idea di mischiare i nostri linguaggi. Tutto parte dalla nostra presenza in scena: di base io sono molto più irruente, tendo a fare cose molto più provocatorie, mentre Chiara gioca su cose più misurate. Volevamo vedere cosa poteva nascere da questi due modi diversi di approcciare la scena”.

“Il progetto – continua Chiara – è nato inizialmente come un lavoro a quattro mani, quelle mie e di Sara appunto; poi abbiamo sentito l’esigenza di avere il feedback lucido, neutro, di una terza persona. Matteo Ramponi è entrato nel progetto come occhio esterno, ma ha portato, come accade spesso, anche la propria intimità, spezzando e creando altri equilibri. Abbiamo cercato di lavorare su quello che non si vede dall’esterno di noi: le persone cercano sempre di etichettarti, di darti una forma, di dirti ‘tu sei questo’. Noi abbiamo voluto dire che noi siamo sì questo ma anche altro, soprattutto quello che non si vede”.

Le mie parole sono uomini
Un passaggio di ‘Le mie parole sono uomini’

“Le tue parole sono uomini” è una performance dove in realtà le parole sono poche, quasi dei tweet, brevi annunci; si preferisce far parlare le azioni, piccoli manifesti, atti di protesta, dati di fatto, che palesano (a volte fin troppo) l’urgenza di dichiarare una diversità fisica e intima che non fa paura, che non chiede pietà o commozione o comprensione, ma che intende rompere le definizioni, i contenitori in cui ci si ritrova avviluppati senza saperlo.

Di fondo la struttura appare ancora debole e fatica ad andare oltre una manifestata dichiarazione d’intento; c’è forse una eccessiva fretta nel volere lanciare coraggiosamente un sasso contro una finestra ma senza avere ancora trovato la forza necessaria per romperla.

Molto più asciutta, sottile, iconografica è invece la performance “Family Tree|frammento#1: volta”, che concentra l’attenzione sul corpo come matrice di pianeti che, pur nella loro diversità, possono coesistere armonicamente. In questo caso il progetto ha un altra formazione: Riccardo Buscarini, Chiara Bersani e Matteo Ramponi, che si sono aggiudicati il Premio Prospettiva Danza 2011.

“Il progetto Family Tree è nato, due anni fa, dal mio primo tentativo di sperimentarmi come autrice oltre che come performer – prosegue Chiara – Sono partita da una riflessione sull’albero genealogico, su di noi come anelli di congiunzione tra i grandi tempi (passato, presente e futuro), sul peso di tutto ciò che è stato prima di noi, e su come questo ricordo rimane impresso sul nostro corpo. Il progetto si svolge partendo da un breve testo che ho scritto di cinque righe, in cui dichiaro che posso ricostruire la mia vita dalle cicatrici che ho sul corpo, in quanto ho avuto una serie operazioni chirurgiche che hanno lasciato una serie di impronte indelebili su di me. Dopo aver consegnato questo breve testo nelle mani di un autore o un artista che mi interessa, con quale c’è affinità, curiosità,  gli chiedo di presentarmi un concept. Il primo è stato Riccardo Buscarini, che mi ha presentato il primo frammento da cui è nato ‘Volta’, che abbiamo presentato a Operaestate; da lì abbiamo iniziato a lavorarci assieme io, Buscarini, Ramponi e de la Fe. Questo era il primo capitolo, sono già in elaborazione gli altri due, perché il progetto iniziale prevede un trittico; il secondo verrà dato in mano come regia a Ramponi e il terzo tornerà nuovamente a me”.

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