Nello spettacolo presentato dalla compagnia tedesca Pilkentafel Theater la regia è davanti al pubblico, rigorosamente a vista, quasi per rafforzare l’idea di un teatro che sfiora l’indagine sociale, il documentario storico e l’’autobiografia.
Il lavoro presentato dalla compagnia tedesca, in coproduzione con la compagnia francese Persona, è un tentativo di andare a fondo dell’idea di identità nazionale in relazione a quella personale.
Quali sono le differenze e quali le somiglianze tra due uomini appartenenti alla stessa generazione ma provenienti da due nazioni diverse? Cosa possiede ognuno dei due della cultura dell’altro? E’ possibile che i cliché ci descrivano, almeno in parte?
Elisabeth Bohde, voce e guida dello spettacolo, conduce i due attori lungo un percorso di esercizio e ricerca della loro identità, un piccolo viaggio durante il quale pubblico e attori scopriranno che l’identità prende forma nell’’incontro con l’altro nel momento in cui, diventati noi stessi stranieri, scopriamo la cultura alla quale apparteniamo.
Il primo esercizio assegnato dalla regista non è per gli attori ma per il pubblico. La consegna è semplice, nessuno sa chi dei due interpreti è tedesco e chi è francese; si tratta di scoprirlo. La regia assegna tre minuti per osservare i loro corpi e il loro viso, e provare a indovinare la nazionalità.
Il pubblico esegue e li osserva, divertito. Passano i secondi, nel silenzio gli occhi scrutano curiosi le pieghe delle mani, la qualità dello sguardo, la postura, il taglio di capelli.
Ben presto nella mia testa si fa strada l’idea che sia praticamente impossibile capire quale dei due è quello francese o chi invece è tedesco. Torsten e Paul sono diversi, uno alto e l’altro minuto, ma per svariate ragioni entrambi potrebbero appartenere alle due popolazioni.
Io faccio la mia scommessa, mentalmente, e attendo.
Finiscono i minuti della consegna e lo spettacolo procede con un nuovo esercizio: i due attori devo descriversi e raccontare la loro identità nazionale.
Il più minuto tra i due va al centro della scena, apre bocca e il pubblico viene inondato da una fiumana di parole… francesi. La mia scommessa personale è persa, ri-assegno le rispettive nazionalità e mi preparo a seguire questo strano e curioso gioco teatrale.
Quando Paul, il francese, finisce la sua estroversa, divertente e comicamente orgogliosa presentazione “…Vengo dalla Francia, paese della libertà e della poesia, il paese che ha dato i natali a Voltaire, Baudelaire, Verlaine, Flaubert…”, è il turno di Torsten, che però blocca la sua presentazione sul nascere. “Sono tedesco… è non facile”.
Pinkentafel Theater arriva subito al sodo e mette al centro del discorso una delle questioni che il popolo tedesco si porta dietro dalla Seconda Guerra Mondiale, e che ancora oggi non è stata risolta del tutto.
Lo spettacolo avanza, sempre con piccole consegne che la regista, con tono distaccato e scientifico, pone ai due attori in francese e in tedesco. I due eseguono, vagamente svogliato uno – il tedesco – e con solerzia e pignoleria l’altro.
In alcuni momenti il ritmo dello spettacolo ne risente lievemente, anche se, purtroppo, ciò che riduce di molto l’energia dello spettacolo è il mancato sincrono dei sottotitoli, fondamentali in uno spettacolo plurilingue in cui si fa della differenza linguistica e culturale uno dei punti di forza. Una pecca tecnica che smorza di qualche grado l’energia del rapporto tra attori e pubblico. Altra debolezza dello spettacolo, questa volta interna alla struttura, risiede nei numerosi momenti in cui i due attori parlano contemporaneamente, senza permettere al pubblico di seguire, anche solo parzialmente, le loro riflessioni.
Tra le tante consegne fatte dalla regia alcune divertono e scaldano l’atmosfera, per esempio quando agli attori viene chiesto di cantare la canzone che considerano “la più francese e la più tedesca”. Ne nasce una sorta di divertente gara tra i due interpreti, che giocano molto bene le loro carte arrivando a sfiorare il limite tra nazionalismo e malinconia.
Nel frattempo, sullo sfondo della scena spoglia, scorrono silenziose le immagini video degli incontri politici tra Germania e Francia, dalla difficile situazione del dopoguerra fino all’intesa sorridente tra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy.
Tra momenti di racconti autobiografici ed esercizi più o meno strani, il punto più emozionante dello spettacolo viene raggiunto quando la parola passa alla Bohde. Seduta sul tavolo di regia e rivolgendosi direttamente al pubblico, la donna legge, quasi con una certa emozione, il racconto di come suo nonno è diventato pacifista durante la prima guerra mondiale.
Il giovane soldato tedesco, in campo durante la battaglia di Verdun, pur di smettere di sparare ad un nemico che gli somigliava, si puntò il fucile alla mano ferendosi di proposito per poter così smettere di combattere.
Contemporaneamente, le figure di Torsten Schütte e Paul Predki, di spalle e con lunghi cappotti scuri, si tengono la mano evocando Helmut Kohl e François Mitterand che, in una piovosa giornata del settembre del 1984 si strinsero la mano a Fort Douaumont, in un gesto che è diventato parte della storia delle due nazioni.
Lo spettacolo, raggiunto l’apice di emozione e autenticità autobiografica, avrebbe potuto fermarsi qui.
La Bohde invece, ripreso il controllo della scena, sceglie di proseguire nel proporre esercizi che rendono il lavoro un po’ ripetivo, indebolendo in parte un progetto che racchiude in sé una grande forza e una bella ricerca sull’identità contemporanea.
Diverse Differenzen
regia: Elisabeth Bohde
con: Torsten Schutte e Paul Predki
produzione: Pilkentafel Theater in coproduzione con Compagnia Persona
durata: 1h 05′
applausi del pubblico: 1′ 30”
Visto ad Avigliana (TO), Oratorio del Gesù, il 3 luglio 2013
Primavera d’Europa/01