Il giro di vite. Fabio Condemi nell’opera di Benjamin Britten

Il giro di vite (ph: Luca Del Pia)
Il giro di vite (ph: Luca Del Pia)

A Reggio Emilia, il debutto della nuova produzione diretta da Francesco Bossaglia

Al Teatro Elfo Puccini di Milano abbiamo visto da poco la riproposta di uno dei cavalli di battaglia della compagnia milanese, “Il vizio dell’arte”.
Nel testo, Alan Bennett racconta l’incontro del grande poeta inglese Wystan Hugh Auden con il conterraneo compositore Benjamin Britten, alle prese con una nuova opera tratta da “Morte a Venezia” di Thomas Mann.
Il compositore è in ambasce perché, ancora una volta, in una sua opera si sarebbe trattato il tema della corruzione dell’infanzia, e chiede conforto all’amico, il quale invece è interessato solo a collaborare con lui.

Questo testo ci è venuto in mente nell’assistere, al Teatro Ariosto di Reggio Emilia, al debutto de “Il giro di vite” (The Turn of the Screw), uno dei capolavori proprio di Benjamin Britten, qui con la regia di Fabio Condemi e le significanti scene, nonché la drammaturgia dell’immagine, di Fabio Cherstich (al sesto lavoro a fianco di Condemi), e con la direzione orchestrale di Francesco Bossaglia.
Uno spettacolo che si muove proprio in quel senso, e su cui aleggia un verso di Yeats: “The ceremony of innocence is drowned!”.

“Il giro di vite”, nella riscrittura del ’53 di Myfanwy Piper e dello stesso Britten, è tratto dal meraviglioso e inquietante racconto omonimo di Henry James del 1898.
Il debutto di quest’opera, divisa in un prologo e due atti, avvenne al Teatro La Fenice di Venezia nel 1954, diretta dallo stesso Britten alla guida dell’orchestra da camera The English Opera Group, nell’ambito del XVII Festival Internazionale di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia.
Tra gli interpreti c’erano il tenore Peter Pears, compagno di vita del compositore inglese (che interpretò per primo tutti i suoi capolavori), lì nella parte sia di Peter Quint sia del prologo, insieme al celebre attore David Hemmings, che era invece nella parte di Miles, e a Jennifer Vyvyan nel ruolo dell’istitutrice.

Ognuno dei due atti è diviso in otto scene, a cui viene dato un titolo.
La vicenda è introdotta da un narratore che racconta al pubblico un antefatto: una giovane istitutrice viene assunta da un ricco possidente per occuparsi dei suoi due nipoti, rimasti orfani, ma non vuole in nessun modo essere coinvolto nella questione, essendo lui indaffarato in mille altri affari che non gli consentono di occuparsi dei nipoti.

All’inizio, sulla scena, sembra che tutto si muova nella normalità: alla grande magione di campagna di Bly arriva la nuova istitutrice, che trova ad aspettarla la governante, la signora Grose, che le presenta entusiasta i due bambini, Flora e Miles, con cui instaura un iniziale e festoso primo rapporto. Ma ecco che subito nella casa si manifesta una presenza oscura, l’ombra maligna di Peter Quint, un uomo che precedentemente aveva servito a Bly Manor, e che nelle confidenze della governante aveva un’influenza negativa sia sui ragazzi, sia sulla precedente istitutrice, Miss Jessel. Tuttavia sia Quint che Miss Jessel sono morti.
Più avanti l’atmosfera diventerà ancor più inquietante, con l’arrivo dell’ombra della precedente istitutrice. Quint e Miss Jessel (che nel racconto di James sono solo presenze) li sentiremo dialogare tra loro, comprendendo il torbido rapporto che li legava, e comprendendo come vorrebbero impadronirsi dei due ragazzi.

Poco alla volta il “giro di vite” dall’atmosfera angosciante che aleggia su Bly catturerà anche l’istitutrice, che non si fida più dell’innocente sguardo di Flora e Miles, e in una lettera chiederà un colloquio con il tutore. Ma quella lettera non partirà mai, rubata da Miles.
La signora Grose riuscirà a salvare Flora, conducendola dal tutore, mentre i fantasmi dei due morti si faranno sempre più invadenti. Fino a portare alla morte del ragazzo, di fronte all’orrore della governante, tra le cui braccia Miles giacerà esamine dopo essere riuscito, con infinita forza d’animo, a pronunciare il nome di Quint, l’ombra malvagia che lo stava possedendo.
Tutti i personaggi, sia i vivi sia i morti, risulteranno alla fine senza un effettivo legame con gli altri, condannati alla solitudine e alla sconfitta.

Dal punto di vista musicale ciascuna delle scene è collegata da quindici interludi orchestrali, ognuno concepito come variazione di un tema esposto dopo il prologo. Il tema tocca tutti e dodici i gradi della scala cromatica, con variazioni che scavano sempre più in profondità (la “vite”), alludendo al progressivo sprofondare dei protagonisti in un orrore senza via d’uscita.
L’opera è così compiuta che, nella sua costruzione musicale e drammaturgica, riesce in modo perfetto a rendere l’atmosfera di inquieto malessere che la pervade, dove il sovrannaturale si fa davvero presente, con un forte legame tra il mondo dei morti e quello dei vivi. Tutto ciò viene reso grazie ad un’orchestra, l’Icarus Ensemble, formata solamente da 13 elementi che suonano 18 strumenti.

Molti i momenti che sarebbero da segnalare. Ad esempio quando la musica, suonata al pianoforte da Miles, da confortante si fa sempre più intrisa di eccitazione, con la sorellina che si dilegua, ingannando chi la dovrebbe sorvegliare. O ancora, nella quinta scena del secondo atto, quel “Take it” sussurrato più volte da Quint, che induce il ragazzo a rubare la lettera.
In mente rimane anche quel “Miles” ripetuto in continuazione dall’ombra dell’uomo perverso, tanto simile a quel “Peter Grimes” che echeggia nell’opera omonima. Infine, da antologia è la nenia funerea, sempre di Miles: “Malo, I would rather be malo, in an apple-tree malo, than a naughty boy malo, in adversity” (“Malo, preferirei essere malo, sopra un melo malo, che un monello malo, in disgrazia”).

Condemi e Cherstich ambientano l’opera in una sorta di buio magazzino a cui si accede da una scala, e dove a lato c’è un ufficio dei ricordi, governato da un servo di scena che, attraverso una lavagna luminosa, partendo dal prologo, riconsegna al pubblico – attraverso dei disegni – alcune immagini fanciullesche della vicenda, a cui ad un certo punto parteciperanno anche i due ragazzini, sempre più preda delle ombre malefiche che vivono intorno a loro.

Nello spazio oscuro sullo sfondo, si aprono gli scenari in cui sono ambientate le varie azioni (un giardino, un cimitero in cui nevica, la stanza da letto dei due bambini…), attraverso una specie di diorama che confonde i piani di realtà e fantasia, mentre un gioco di ombre, ai piedi della scala, ci fa immaginare un lago.
E’ poi in modo allegorico che proprio qui, sopra la scala discendente, ci si immagina avvenire, da parte della governante, l’ultima invana possibilità di proteggere Miles da Quint.

La regia di Condemi vive in perfetta e discreta osmosi con l’impianto scenografico di Cherstich, assecondando in modo naturale l’avvicendarsi degli avvenimenti, senza aggiungere pleonasmo a quello che la musica e le parole già comunicano, ma dandone significato e approfondendone l’atmosfera angosciosa.
L’unica bella e significante reinvenzione è l’apparizione di una seconda governante muta, che accompagna la prima nel rapporto con i due bambini, doppia immagine di una presenza che mette in discussione la veridicità della storia narrata e l’orrore percepito a Bly: è stato forse un sogno, soltanto un incubo?

Veramente ammirabili tutti gli interpreti, dai due bambini (Ben Fletcher e Maia Greaves) nel mettersi in scena adombrando, nella loro apparente innocenza, un disagio profondo dell’anima, a Laura Zecchini, una governante sempre più incredula davanti all’atmosfera che piano piano l’avvolge. Ottimi anche il Quint di Florian Panzieri, la Mrs Grose di Chiara Trapani e la Miss Jessel di Liga Liedskalnina.

Francesco Bossaglia dirige in modo esemplare un’opera così anomala nella programmazione del nostro Paese, restituendone quell’atmosfera cangiante che sa trasformarsi gradatamente, tra voce e musica, in un vero incubo.

IL GIRO DI VITE
opera in un prologo e due atti
libretto Myfanwy Piper, dall’omonimo romanzo breve di Henry James
musica Benjamin Britten

interpreti principali:
The Governess Laura Zecchini
Quint / The Prologue Florian Panzieri
Miles Ben Fletcher
Flora Maia Greaves
Mrs. Grose Chiara Ersilia Trapani
Miss Jessel Liga Liedskalnina

Icarus Ensemble
direttore Francesco Bossaglia

regia, ideazione scene e costumi Fabio Condemi
scene e drammaturgia dell’immagine Fabio Cherstich
costumi Gianluca Sbicca
luci Oscar Frosio

nuova produzione Fondazione I Teatri Reggio Emilia

Visto a Reggio Emilia, Teatro Ariosto, il 21 maggio 2023

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