In un kibbutz con la Vertigo Dance Company. Viaggio in Israele fra danza e contraddizioni

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Un momento della masterclass (photo: Elad Debi)|Uno scorcio dall'Eco Art Village|Un altro momento della masterclass (photo: Elad Debi)
Un momento della masterclass (photo: Elad Debi)
Un momento della masterclass (photo: Elad Debi)

La vita si dipana per fili che si agganciano e si srotolano nel corso degli anni. Come Arianna, che seguendo il suo trovò l’uscita del labirinto, così seguire le proprie tracce e intuizioni permette svolte, percorsi, lanci improvvisi verso connessioni che raccordano il passato con il presente e aprono spiragli sul futuro.

Il filo, in questo caso, si agganciò diversi anni fa con la visione di un bellissimo spettacolo, “The birth of Phoenix”, presentato sulla spiaggia di Civitanova Marche al tramonto, sotto la pioggia, dentro una struttura geodetica che conteneva il mondo. La compagnia che lo propose era la Vertigo Dance Company, giunta dalla terra di Israele.
Lo spettacolo mi rimase nel cuore come scrigno prezioso di emozioni pure.
Da quel momento sorse un’attenzione forte per la danza israeliana, che attraverso cunicoli, porte e giravolte mi ha poi portata a conoscere Sharon Fridman, coreografo nato proprio dentro la Vertigo Dance Company.
Da lì il mio volo verso Israele, proprio dalla Vertigo, per una masterclass internazionale.

E’ strano arrivare in una terra tanto carica di un passato stravolto e di un presente teso e violento, con tutte le aspettative che la cultura religiosa da una parte e le notizie di cronaca dall’altra inducono nel nostro immaginario. Bisogna pulire la mente da una conoscenza indotta, prendere bene le distanze e le misure per ricomporre il quadro.

Le strette vie della Città Vecchia di Gerusalemme, che senza soluzione di continuità scorrono tra i quartieri arabo, ebraico, cristiano e armeno, sono l’esemplificazione più immediata della mescolanza di razze e religioni che Israele contiene, e di come l’Oriente e l’Occidente si siano avviluppati formando un conglomerato multiforme che entrambi li contiene ma in nessuno dei due si riconosce pienamente. Così come è esemplificativo, per altre considerazioni, passeggiare nella grande piazza davanti al Muro del Pianto: osservanti che nei loro neri costumi oscillano davanti al Muro, e la cui spiritualità è garantita da altre divise, quelle di giovani soldati la cui minacciosità è affidata solo alle armi che indossano, quasi scout in gita, l’accesso alla Spianata delle moschee presidiato dall’esercito israeliano che concede il passaggio ai musulmani per tutto il giorno e un’ora soltanto a tutti gli altri.

Solo un giornata però per passeggiare nella capitale di tutte queste religioni, e all’imbrunire via, con un paesaggio da presepe che scorre dai finestrini dell’autobus, verso il Kibbutz di Netiv HaLamed Heh, sede dell’Eco Art Village che ci ospiterà per la masterclass. Sull’autobus leggo che la valle verso cui mi sto dirigendo è il luogo storico dove si racconta che Davide sconfisse Golia, ma apprendo anche che il kibbutz fu fondato nel 1949 sulla terra che era appartenuta ad un villaggio arabo depopolato durante l’operazione Ha-Har del 1948. L’informazione mi causa qualche disturbo, cerco di metterla in un angolo della mente, tessera di un puzzle che cercherò di comporre nei prossimi giorni.
Un cancello a scorrimento permette l’accesso al kibbutz, in questo susseguirsi di gabbie e controlli che segna gli spostamenti in Israele. Pochi passi dalla fermata del nostro autobus e siamo dentro l’Eco Art Village.

Uno scorcio dall'Eco Art Village
Uno scorcio dall’Eco Art Village

Raccontare questo mini-villaggio nel villaggio è parlare di una visione che cerca di costruirsi nella concretezza e nella praticità. Tutto è partito dalle quattro sorelle Wertheim (Noa, Tali, Rina e Merav), che esattamente otto anni fa hanno scelto di cambiare radicalmente la loro vita; hanno immaginato un sistema di vita e di lavoro che potesse essere in armonia con la terra e i suoi cicli naturali, e in cui l’espressione artistica fosse coniugata con la responsabilità sociale e la sostenibilità.
Con i propri familiari e collaboratori hanno così deciso di recuperare alcuni spazi dismessi del kibbutz per farne il cuore di questa visione.

Il programma della masterclass rispecchia totalmente questo pensiero. Lezioni di tecnica, repertorio, contact si affiancano a spazi per la meditazione, a orari riservati alla costruzione pratica con la malta, al tour in cui vengono illustrate le tecniche ecosostenibili utilizzate per il recupero dei fabbricati e per la loro fruizione, al giro di conoscenza del kibbutz e delle nuove realtà che lo stanno abitando, alla serata dedicata al racconto semplice, spontaneo, familiare in cui viene narrato come tutto questo è nato. Una comunità che lavora per la comunità e cerca di essere un seme che moltiplichi la possibilità di un modello di business sociale. Nel corso dei giorni anche noi ospiti veniamo accolti all’interno della famiglia, conosciamo i bimbi, gli animali che li accompagnano; con chiacchiere timide e rispettose arriviamo a un contatto più profondo, lontano dalla giovialità italiana, più rude e riservato, ma non per questo meno umano.

Sono quattro giorni intensi di attività, immersi nella natura e nella danza. Fuori dalle grandi vetrate degli studi la valle dell’Elah; dentro, tanta bella danza, forte, potente, particolareggiata, agganciata saldamente all’animalità del corpo.
A Rina il compito di tutti i dettagli tecnici, a Noa quello della parte creativa, a Tali il tocco leggero e arioso della contact improvisation, a Merav quello strano e particolare di trovare una spiritualità dell’essere danzatori. Nella chiarezza della distinzione delle competenze si delinea il percorso dell’integrazione delle conoscenze. Trentacinque ragazzi provenienti da tutto il mondo hanno riempito le sale con l’impeto della loro giovinezza, con la disponibilità che solo la passione induce, e il lavoro è stato fruttuoso nonostante il breve tempo, come la stessa Noa Wertheim, coreografa e direttrice artistica della compagnia, riconosce nel cerchio finale del saluto.

Si parte, si lasciano i sorrisi, le mani aperte, le gambe forti, gli occhi diventati familiari anche nella breve condivisione, e si torna con la consapevolezza che possano essere tracciare strade e ci sarà chi avrà la sensibilità per condividerle.

Un altro momento della masterclass (photo: Elad Debi)
Un altro momento della masterclass (photo: Elad Debi)

Per chi fosse interessato, Noa Wertheim, con la sua assistente Rina Wertheim Koren e il direttore delle musiche Ran Bagno, è stata invitata per la seconda volta da Luca de Fusco per creare una coreografia per il Teatro Stabile di Napoli. Le audizioni sono previste per il mese di maggio.

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