Io sono Chi. Alessia Arena legge e riscrive gli anziani

Io sono chi (photo: alessiaarena.com)
Io sono chi (photo: alessiaarena.com)

Gli anziani: i paesi più sviluppati, com’è noto, tendono a vedere invecchiata la loro popolazione a causa della più lunga speranza di vita e dello stallo demografico. Fa spavento: sostenibilità sociale, sanità intasata e inefficace, e conseguente contrazione dell’aspettativa di vita. Toccherà farci i conti – pensiero di sconforto, pannoloni e Alzheimer. Eppure basta poco per farsi due conti, quei vecchi che intaseranno l’Occidente saremo noi.
Occorre allora cominciare a entrarci in quel mondo, ammesso che vi sia qualcuno che non abbia già dovuto farlo attraverso l’esperienza di un nonno o un genitore. I vecchi di oggi sono qua, e i vecchi di domani lo sanno – anche se non vogliono vederlo – cosa li aspetta. Sono qua con i loro corpi, le loro mani e il peso ora candido, ora lieve, ora irrespirabile delle loro presenze.

Le mani: proprio da qui parte l’analisi di Alessia Arena con “Io sono Chi” (regia di Matteo Marsan), presentato da poco all’ottava edizione del Roma Fringe Festival; le mani come punto di congiunzione fra mente che elabora e corpo che esplora, cellula di studio per l’osservatore e strumento primo di intervento nella realtà per il soggetto; mediazione tra ciò che si pensa, si programma, e ciò che si fa; tra ciò che si era, si toccava, si possedeva nella propria vita, e ciò che è rimasto, ora, di palpabile, contro il vasto palinsesto dell’inattingibile.

Da anni Arena, attrice e drammaturga, trascorre periodi più o meno lunghi nelle case di riposo per anziani, svolgendovi laboratori, ascoltando racconti, suonando, cantando, accompagnando gli anziani nei momenti di svago e di confessione, facendo conoscenza con le loro vite presenti e passate.
Qui ha raccolto decine – se non centinaia – di storie, alcune sorgive come nella forza di un’esperienza vissuta di fresco, altre fruste dalla ripetizione tipica dell’età senile e dalle elisioni più o meno patologiche, altre ancora spaesanti di digressioni, come grovigli di sentieri che si smarriscono, altre infine mistiche, persino aliene, collocate in un altrove tra la demenza e il desiderio.

In “Io sono Chi” si serve di queste esperienze e prova a fare un punto, racchiudendo nella cornice di un parodo e di un esodo originali un centone di racconti autobiografici, trascritti quasi letteralmente e indossati dal suo corpo e ancora di più dalla sua voce.
Se i brani di mano dell’autrice sono porti con una modestia persino autolesionista (si fa fatica, durante il ‘prologo’, a sintonizzarsi con l’emittente, con il livello di comunicazione), il grosso blocco delle narrazioni riportate è reso con sensibilità vocale e interpretativa, ricchezza di sfumature, impeccabile uso del dialetto, in un’umile ma funzionale distribuzione dello scarno materiale scenico – sei seggiole di foggia diversa, disposte, accumulate, ricollocate sul palco.

È proprio nell’elemento vocale, non immediatamente mimetico, che è il lavoro d’attrice più fino, e in parte anche più arduo, perché collocato in una dimensione difficile da definire: è trasfusione, atto quasi di trasfigurazione amorosa – però spesso critica, almeno nell’adesione non completa, nel rifiuto dell’imitazione tout-court – e si guadagna una dimensione sottile di chi non “fa” le voci, ma se ne appropria e le ridà.
La sottigliezza e ancor più l’ambiguità, d’altronde, la molteplicità, sono caratteristiche centrali nel lavoro: oltre a essere alternate canzoni a voce sola e registrazioni audio, alla recitazione è affiancata la proiezione video di un documentario di quasi dieci minuti. Nulla vi è di sperimentale, certo, in una struttura multimediale, eppure risentire parte di quelle storie, recitate dalla viva voce di chi le ha vissute, suona come un doppio il cui statuto chiede di essere indagato.

Che senso ha – e la domanda non è retorica – questo andirivieni tra l’appropriazione e la restituzione in originale, tra il tentativo formalizzante di un lavoro che ha una linea comunicativa tutto sommato organica, e l’esplosione di questa linea, prodotta dal video? Non può essere soltanto un momento di curiosità, come quando in certi film, durante i titoli di coda, si mostrano i volti dei personaggi sulla cui biografia il film è basato. Dev’essere qualcosa di più.

Cosa vuol essere allora “Io sono Chi”, se non è una mera restituzione del narrato raccolto da Alessia Arena durante la propria esperienza professionale, aggravata dall’ingrato compito della selezione dei materiali – e delle persone di essi portatrici, come in ogni racconto dal vero?
Dove si colloca, in questo suo essere così basculante tra analisi psicologica, sociologica, spettacolo emotivamente teso, poesia di una nuova gente del domani, memoria, testimonianza…?
O che sia proprio questa dinamica oscillatoria fra trasmissione e reinterpretazione, tra restituzione e formalizzazione in struttura-spettacolo e, in definitiva, tra i vecchi che raccontano e la giovane che li legge, che li “usa”, a rilevare, dichiarando la necessità di un incontro, il fulcro dell’operazione, più centrata sul rapporto da ricercare che sul risultato da ottenere?
Che sia, infine, questa difficoltà e questo desiderio di farsi carico di qualcosa che muore, la cui condizione prima o poi condivideremo, l’urgenza più lampante per il nostro presente e per il prossimo futuro?

Io sono Chi
Associazione culturale V&C con Associazione Giotto in Musica
tratto da esperienza residenziale in RSA
testo: Alessia Arena
collaborazione artistica: Daniela Morozzi e Valerio Nardoni
regia: Matteo Marsan
con: Alessia Arena
video: Federica Toci Il gobbo e la giraffa
tecnica: Paolo Morelli
con il Patrocinio di Comune dell’Unione comunale del Chianti fiorentino
in collaborazione con RosaLibri RSA_Tavarnelle Val di Pesa e Greve in Chianti, Villa San Martino RSA e Istituto San Giuseppe RSA_San Casciano Val di Pesa
con contributo di Comune di San Casciano Val di Pesa, Comune di Greve in Chianti, Cassa di Risparmio di Firenze, Cantina Antinori
Coop_San Casciano Val di Pesa, Coop_Greve in Chianti, CGIL SPI_Tavarnelle Val di Pesa, Greve in Chianti e San Casciano Val di Pesa, Auser e Misericordia_San Casciano Val di Pesa

durata: 50’
applausi del pubblico: 1’ 30’’

Visto a Roma, Mattatoio, l’11 gennaio 2020

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