Masque Teatro: la nostra ossessione filosofica verso nuove visioni. Intervista

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Lorenzo Bazzocchi|Nikola Tesla. Lectures sarà a Short Theatre l'11 settembre (photo: masque.it)
Lorenzo Bazzocchi
Lorenzo Bazzocchi

Filosofia e teatro hanno ormai un appuntamento quasi consuetudinario a Forlì fra estate e inizio autunno. Il festival Crisalide di Masque Teatro — che quest’anno giunge alla XXII edizione (da 1° al 4 ottobre) — ha stabilito (recentemente di fatto, ma molto prima de anima) una importante connessione con la dimensione del pensiero che precede l’azione.

Praxis è il nome della Scuola di Filosofia che, dal 21 al 25 luglio sempre a Forlì, ha preparato il terreno alla performance dedicando del tempo alla riflessione. L’edizione 2015 (la seconda) ha deciso come tema quello dell’evento: non solo in quanto argomento ma anche in quanto modo della pratica filosofica.
Nel tentativo di comprendere in che modo questi due mondi si sono incontrati e hanno deciso di contaminarsi, abbiamo incontrato Lorenzo Bazzocchi, fondatore della compagnia che, venerdì 11 settembre, sarà a Roma per Short Theatre con “Nikola Tesla. Lectures”, performance/esperimento in cui Bazzocchi affronta la storia del grande scienziato serbo.

Fra le voci che scandiscono la biografia di Masque Teatro non si può ignorarne una che richiama al dialogo fra discorso filosofico ed architetture sceniche, e che dal 1992 definite ‘ossessione filosofica’. L’impressione è che questo tendere sia animato da un desiderio di produrre prodigio. E quindi pensiero. E’ così?
Certamente la ricerca del ‘thaumatos’ (la cosa meravigliosa) è una componente importante per comprendere il lavoro di Masque. In realtà più che un bisogno di produrre stupore la nostra è una fortissima tensione (chiamiamola speculativa, ma non sempre filosofica) a costruire mondi compiuti — a sé stanti, che siano il calco della ‘sensazione’ che fa nascere l’opera. In più, la decisione – quasi sempre – è dettata da una presa di posizione verso il mondo. Vorrei dirla in questo modo: si costruiscono architetture sceniche, organismi-ambiente che diano coerenza all’assalto ritmico delle figure. Architetture che servono a (e devono) allontanare le forme neutre della sala teatrale. Luoghi di senso atti a spingere lo spettatore verso nuove visioni e scoperte, letteralmente verso nuove terre, lontano dalle storie trite e ritrite del teatro.
Se l’universo di Masque è disseminato di oggetti tecnici o tecnologici che potrebbero ricondurre all’universo scientifico, è solo la ricerca di materiali consoni al progetto drammaturgico che ci ha spinto nelle direzioni che hanno portato a lavori come “Coefficiente di Fragilità” o a “Postanovscik” o ancora a “Ragazzo Criminale” o “Head VI”, fino ai più recenti “Just Intonation” e “Nikola Tesla. Lectures”.
La forza visionaria del vostro teatro dimora in una connessione di pieghe stilistiche che attingono anche ad un immaginario meccanico e industriale. La categoria di postmoderno ti piace o ne sceglieresti una nuova e più attuale?
E’ sempre stato il nostro istinto a condurci. E siamo naturalmente approdati entro determinati universi che non sono di matrice meccanico/industriale quanto piuttosto macchinico/poetica. La bellezza del meccanismo celibe sta proprio nel rifiuto del meccanico/produttivo e quindi della logica industriale. In effetti è il concetto di ‘macchinico’ ripreso da Félix Guattari ad averci sempre guidato. Tuttavia non è una vera e propria ossessione, quanto piuttosto una ammirazione per le invenzioni di un pensiero che mette le proprie radici nel reale creando dispositivi che funzionano e che sono sempre di natura concettuale. Quale luogo più adatto di un insediamento industriale abbandonato per descrivere il mondo dello schizo? E quale scenario più consono di un pianoforte smembrato per descrivere la macchina kafkiana?
Quanto al postmoderno categorie come questa servono forse a districarsi nelle basse paludi dell’ignoto ma non mi toccano. Ci ha già pensato Lyotard a spiegarcelo.

Ripensando ai vent’anni di storia del festival Crisalide, che ideate e organizzate a Forlì dal ’94, quali sono le tappe che consideri fondamentali nella costruzione del vostro presente?
È l’incontro con determinate figure ad essere decisivo nel dare forma al proprio divenire…
La domanda chiave del percorso di questo festival è sempre stata: “Perché esiste?”. Thierry Salmon, nel ’97, disse che era uno spazio sospeso sul mondo. Raimondo Guarino, nel ’99, pose la questione del che cosa ci fosse di irriducibile nella nostra visione del mondo e definì Crisalide un luogo di discussione e di azione.
Rocco Ronchi parlò, dieci anni fa, di riscatto della ‘praxis’ e ci portò tre meravigliosi poeti… Poi Silvia Rampelli, l’anno successivo, definì Crisalide il luogo della ricerca e ci condusse nell’universo dell’atto. Infine Piersandra Di Matteo (nel 2009) lo definì un luogo nel quale le forme dell’espressione artistica riescono a pensare il loro fare.

L’urgenza che ha determinato la nascita della scuola di filosofia Praxis risponde a un bisogno di filosofia teoretica. In che modo avvertite questo bisogno?
Era il 2013. Il tema di Crisalide era “L’immagine del pensiero”. Era da poco terminato un incontro con Florinda Cambria. Scambiavo qualche battuta con Carlo Sini all’ingresso dell’Ex Filanda e il filosofo mise in evidenza come ormai da molti anni fosse difficile fare ancora filosofia presso i luoghi accademici; nelle università italiane è la Storia della Filosofia ad essere insegnata. E così iniziammo a pensare a Forlì come il luogo dove creare uno spazio per favorire l’incontro di pensatori interessati a condividere questa esigenza e a misurarsi sulle questioni filosofiche del presente. Una scuola con la esplicita finalità di coinvolgere giovani ma anche meno giovani.

Nikola Tesla. Lectures sarà a Short Theatre l'11 settembre (photo: masque.it)
Nikola Tesla. Lectures sarà a Short Theatre l’11 settembre (photo: masque.it)

Il titolo di quest’anno è stato “Filosofia dell’evento / L’evento della Filosofia”. Quale ne è stata la genesi? Come è stato esplorato da docenti e partecipanti? E ci sarà un ritorno di questo pensare al teatro?
La filosofia non ha il compito di dare soluzioni, quanto quello di porre nuovi problemi, creare nuovi concetti, diceva Deleuze. Se inizialmente si era individuato come obiettivo primario quello di un confronto sulle modalità che l’evento ha di manifestarsi e di porre le condizioni stesse della sua esistenza, penso che la scuola abbia generato i presupposti per ulteriori interrogazioni e indicato nuove direzioni di ricerca.
Il teatro (lo penso da sempre) deve uscire dal proprio territorio per ritornarvi fortificato. Creare avamposti, non tanto per farsi conoscere, quanto per meglio conoscere il mondo. E l’incontro con la filosofia diviene materia viva per addentrarsi nel tortuoso meccanismo della creazione teatrale.

Parliamo della XXII edizione del festival Crisalide. Quale sarà la ‘domanda’?
“Non è successo niente, è ciò che stiamo diventando”: non è propriamente un titolo e neppure un tema, quanto piuttosto un luogo. Una suggestione che arriva da Gilles Deleuze e Félix Guattari che, in “Che cos’è la filosofia”, elencano i diversi modi con cui ci si può approcciare all’evento: uno consiste nel ‘fiancheggiarlo’, un altro ‘nell’installarsi in esso come in un divenire’. E poco dopo concludono: «Non c’è stato nulla. E’ un problema di cui non si vedeva la fine, un problema senza sbocchi… improvvisamente non esiste più e ci si domanda di che cosa si stesse parlando».
Qualcosa di simile accade a Masque ogni anno all’approssimarsi del festival, quando ci domandiamo cosa sia ciò che stiamo facendo. E il termine ‘spettacolo’ è sempre sembrato poco adatto alle aspirazioni di chi vi lavora. Preferiamo parlare di ‘prova di forza’, e nel praticarla definirci discoboli o lanciatori di giavellotto — in alcuni casi saltatori con l’asta, perennemente in caduta.

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