A Matera Nessuno Resti Fuori. Provocare desideri, generare la fame

Il laboratorio Se nel tuo pane non sai cosa mettere
Il laboratorio Se nel tuo pane non sai cosa mettere

Per raccontare la prima edizione del festival Nessuno Resti Fuori è necessario tornare indietro di qualche decennio e conoscere la storia recente di Matera. Quella politica e quella sociale.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale fu la denuncia di Carlo Levi a portare la situazione dei Sassi all’attenzione nazionale: la povertà, l’arretratezza, la mancanza delle condizioni sanitarie di base, la mortalità infantile di molto superiore alla media nazionale. Nel 1948 Palmiro Togliatti definì i Sassi “vergogna nazionale”. Mentre nel 1952 la “Legge Speciale per lo sfollamento dei Sassi” di De Gasperi li svuotò, portando gli abitanti nei nuovi quartieri.

Poi la riscoperta della bellezza: nel 1993 i Sassi vengono dichiarati Patrimonio Mondiale dell’Umanità dall’Unesco.
E la storia recente, fino al 2014 in cui Matera è designata Capitale Europea della Cultura per il 2019.
Ed eccola oggi, Matera. Bellissima certo, affascinante. Ma con una nota stonata che ti risuona in testa: quei Sassi svuotati dalla povertà si sono riempiti di alberghi e ristoranti di lusso.
E i cittadini? E la città? Di che cultura stiamo parlando? Di quella dei grandi eventi ad effetto? Ma quella tra la gente, con la gente?

E’ in questo contesto che si inserisce Nessuno Resti Fuori, festival alla sua prima edizione “andata in scena” dal 19 al 30 luglio. Dal sottotitolo significativo: Festival di teatro, città e persone.
Nessuno Resti Fuori è il capitolo finale di un progetto nato tre anni fa, Teatri Diffusi, finanziato dalla Regione Basilicata nell’ambito del programma Visioni Urbane. Un progetto voluto con forza da una rete creata ben prima della designazione di Matera Capitale della Cultura 2019, nato dalla volontà energica di tre realtà del territorio: lo IAC Centro Arti Integrate di Matera, il Collettivo L’albero di Melfi e l’associazione L’ambulante, “che sperimenta l’interazione fra arti visive, territori, città e abitanti attraverso iniziative culturali e di ricerca urbana”.

Teatri Diffusi è un progetto che, attraverso residenze artistiche, si è posto l’obiettivo di raccontare e far raccontare un territorio attraverso il concetto di fuga. Una fuga che è sì questione sociale e politica, in un territorio come la Basilicata, ma non solo. Perché la fuga si insidia pericolosamente in ogni cittadino che perda l’interesse ad essere protagonista del proprio tempo e mondo. Perché la fuga dalla cultura è sempre dietro la porta, e non è solo la fuga da teatri, concerti o librerie, ma qualcosa che ci impoverisce in quanto esseri umani, che mina ogni giorno di più il nostro essere parte di una collettività, e che rischia di portarci alla deriva.

La città dei ragazzi e delle ragazze. Prove generali in città (photo: L'ambulante)
La città dei ragazzi e delle ragazze. Prove generali in città (photo: L’ambulante)

Nessuno Resti Fuori è così diventato un festival (seppure il termine risulti riduttivo perché è andato davvero oltre il concetto limitante di “evento”) che, per 10 giorni, ha visto protagonista Matera attraverso tre laboratori con altrettante restituzioni pubbliche: “La città dei ragazzi e delle ragazze” condotto dal Teatro delle Albe, “La città narrata” condotto da Gigi Gherzi (Teatro degli Incontri) e “La città fisica” condotto dal coreografo torinese Daniele Ninarello.
E poi quattro “Playing about”, discussioni e incontri su Il teatro e la Basilicata, La città e la vergogna, La Città Futura e  La Città Immaginata; insieme ai tre spettacoli proposti dagli artisti conduttori dei laboratori più uno spettacolo di Punta Corsara e i lavori delle compagnie organizzatrici, con infine un concerto delle giovani band cittadine.

Un elenco doveroso, ma limitante, perché quei 10 giorni hanno dato davvero un senso alle parole cultura e partecipazione o, se piace di più, ai concetti di audience development e audience engagement.

La forza di Nessuno Resti Fuori sta nella trasparente volontà di ricucire quello strappo tra cultura e territorio alla riscoperta di un concetto molto più ampio della parola cultura: un provocare desideri e generare quella fame di cultura che abbiamo perso, perché ne abbiamo perso il gusto. Perché dimentichiamo spesso la bellezza e la forza propulsiva che la cultura può dare, la spinta che porta verso l’alto, lontano dalla piccolezze di tutti i giorni. E che, sebbene sembri retorica, ci rende migliori.

Così, associazioni e compagnie hanno ripreso prepotentemente il contorno di visi e persone: ecco quindi la forza propulsiva di Andrea Santantonio, Nadia Casamassima di IAC e Vania Cauzillo di L’Albero, che in questi anni hanno lottato contro un’amministrazione poco lungimirante e impanata. Ma che sono riusciti a portare i laboratori in uno dei quartieri più popolari e multiculturali della città, Piccianello. Le piazze si sono riempite, volti attenti e “disabituati” hanno accolto i ragazzi del Teatro delle Albe per la loro potente “ri-messa in scena” di un moderno “Uccelli” di Aristofane; i narratori, condotti da un appassionato Gigi Gherzi, tra i banchi del mercato rionale hanno parlato di pane, di vita e di verità antiche e nuove; i danzatori e le danzatrici di Ninarello in piazza Marconi hanno danzato la fuga e la resistenza, la lotta e il dolore tra gli sguardi lucidi di chi forse non capiva ma “sentiva”.

Il laboratorio Se nel tuo pane non sai cosa mettere, condotto da Gianluigi Gherzi (photo: L'ambulante)
Il laboratorio Se nel tuo pane non sai cosa mettere, condotto da Gianluigi Gherzi (photo: L’ambulante)

Sono stati ben 70 i partecipanti ai laboratori. Di tutte le età. Persone che hanno saputo cogliere un’occasione importante di confronto, di arte, di energia.

Non sarà che questo attaccamento al territorio – chiediamo ad Andrea, Vania e Nadia in un tempo ricavato tra i mille impegni, con la voglia di provocarli – nasconde un’incapacità delle realtà culturali della Basilicata a farsi spazio nel mondo teatrale italiano? Non sarà che è più facile rinchiudersi nel proprio “recinto” felice e urlare al mondo che si è diversi? Non sarà che poi tutto sto parlare di fuga nasconde la codardia di non riuscire a partire?

Non è così. Nelle loro parole ritroviamo il sapore dei dieci giorni vissuti nelle piazze di Piccianello e nei Sassi, negli incontri, nelle discussioni. Una volontà forte e decisa, una determinazione nell’essere dove si è. Ma soprattutto il valore dello stra-abusato concetto di ‘rete’. Perché il fare insieme è più stimolante. Perché in questi tre anni di lavoro comune hanno riconosciuto le reciproche differenze e i punti di incontro. Perché, con onestà, si sono messi continuamente in discussione, oltre che a servizio.

Ecco dunque l’esito della prima edizione. E dopo? Sicuramente si andrà avanti, ci rassicurano. Perché reti e relazioni saranno coltivate per crescere. Si continuerà a lavorare sul territorio, non solo su Matera, perché il tempo è necessario a costruire fiducia. Si continuerà nella creazione di una rete in cui i privati diventino sponsor attivi. E si continuerà a dialogare con le amministrazioni, che in questa edizione purtroppo hanno dimostrato poca attenzione.
NFR 2016 è il primo passo. Il cammino sarà ancora lungo e faticoso.

Partiamo da Matera con la voglia di tornare, con un’energia e una rinnovata fame.
E ci riportiamo a Torino qualcosa di importante, che spesso rischiamo di perdere per strada: la bellezza.

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