L’Avaro del Teatro delle Albe. Attuale, dark e riuscito

L'Avaro del Teatro delle Albe
Ermanna Montanari è l’avaro Arpagone (photo: teatrovalle.it)

Una gran folla alla prima romana de “L’avaro” di Molière rivisto dal Teatro delle Albe; una folla chiassosa e appassionata (molti i giovani), tanto che non si accorge dell’inizio dello spettacolo, e non arresta il brusio. Anche perché i tecnici-attori entrano in scena quando le luci in platea sono ancora accese, e portano via la scenografia lasciando un vuoto. Un preludio fatto in sottrazione. Primo avviso di uno spaesamento teatrale che ci accompagnerà per tutta la serata.

“L’avaro” di Marco Martinelli spiazza infatti dall’inizio alla fine: i tecnici-attori diventeranno servitori domestici ma continuando a montare a smontare, a puntare occhi di bue sui protagonisti, a mettersi al servizio della regia e del pubblico. Arpagone, poi, è interpretato da una donna: Ermanna Montanari, gelida e dark, impugna il microfono come scettro del suo potere e di quello del denaro, da tutti ambìto. L’antico avaro si va trasformando con le Albe in un moderno finanziere che sa giocare con la voce, permettendole di piroettare nella sala del Teatro Valle.
Una protagonista, la Montanari, che dimostra forse più personalità di Arpagone. Un esempio su tutti: il disperato monologo “povero mio denaro…”, ma anche altre occasioni, in cui l’attrice sa creare un valzer fra comico e tragico.

Intorno a questa losca e carismatica figura si sviluppano gli altri personaggi, resi – tra alti e bassi – dalle interpretazioni dei giovani attori del Teatro delle Albe. Su tutti vale la pena ricordare Roberto Magnani, che interpreta un Cleante composto e pieno di sé, e Michela Marangoni nel ruolo della serva-ruffiana Frosina.
In definitiva, però, lo spettacolo vive più per le continue ed interessanti trovate registiche; il testo infatti, nonostante l’illuminante nuova traduzione di Cesare Garboli, sembra a volte non appartenere ai personaggi. I quali, tuttavia, hanno il merito di costruire il caotico e surreale salotto umano di Arpagone, una “casetta” dove tutto è fatto per il denaro e anche i sentimenti vi sono assoggettati.

I tempi dello spettacolo sono dettati da giochi di luce e ombra e da suoni decisi e potenti. Assistiamo anche a pregevoli intermezzi di danza e movimenti (nello specifico il dialogo con rimbalzi sul divano tra Elisa e Valerio e il momento della festa in cui Mariana svela il suo amore per il figlio di Arpagone e come l’indigenza l’abbia costretta ad accettare le nozze per il vecchio padre).

Se venisse da chiedersi quale sia il senso di mettere in scena “L’avaro” oggi, guardandosi attorno troveremmo certo la risposta. Le dinamiche sul potere e sul denaro sono quanto mai attuali, e i personaggi, con le loro invidie e falsità, ci sembrano estremamente vicini.
A chiudere lo spettacolo nel ruolo di Anselmo entrerà in scena lo stesso Martinelli, svelando la sua vera identità e liberando gli applausi per il lieto fine. Ultimo colpo di scena, con cui il regista corona uno spettacolo riuscito, mettendoci proprio la faccia.

L’AVARO
di Molière
traduzione: Cesare Garboli
ideazione: Marco Martinelli, Ermanna Montanari
con: Loredana Antonelli, Alessandro Argnani, Luigi Dadina, Laura Dondoli, Luca Fagioli, Roberto Magnani, Michela Marangoni, Marco Martinelli, Ermanna Montanari, Alice Protto, Massimiliano Rassu, Laura Redaelli
spazio: Edoardo Sanchi
costumi: Paola Giorgi
musiche originali: Davide Sacco
luci: Francesco Catacchio, Enrico Isola
regia: Marco Martinelli
durata: 1h 40’
applausi del pubblico: 5’ 14’’

Visto a Roma, Teatro Valle, il 23 novembre 2010

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