False Hamlet: Teatro delle Bambole e l’opera in Fa maggiore di Shakespeare

False Hamlet (photo: Maria Panza)
False Hamlet (photo: Maria Panza)

Che cosa accadrebbe se Ofelia e Amleto si incontrassero nell’Oltretomba? Finalmente liberi dai condizionamenti di una narrazione che ha bisogno di loro nella pelle di creaturine fragili e destinate a follia (forse) e morte?
Una mente lineare e ‘pink’ come la mia non ha — molto poco amleticamente — dubbi: sarebbe l’occasione ideale per poter finalmente vivere liberamente quell’infantile e delicato amore sacrificato sull’altare della tragedia.

Non la pensa così Andrea Cramarossa che, nel suo “False Hamlet – Opera Teatrale in Fa maggiore”, pone la sua versione delle due anime post-mortem in una dimensione purgatoriale che però nulla ha a che vedere con presunti peccati.

Nulla riesce a trasformarsi in happy ending, ahimé, nella poetica di questa produzione del Teatro delle Bambole, giacché Amleto/Ofelia/Amleto/Ofelia, in una sequenza di prolungati soliloqui, proprio non riescono a diventare ‘uno’ senza reiterare il mito della loro personalissima ‘ripetizione’.

Federico Gobbi entra dal fondo del teatro superando la quarta parete, ed illuminandola con una di quelle lampade frontali da speleologia: in effetti inizia uno ‘scavo’ ermeneutico non solo concretamente accecante, ma che richiede una pausa alla vista per poter dare priorità all’ascolto.
Tanto, infatti, è densa la lettera autorale che, per poterla comprendere, occorre fare buio nella mente.

Sulla scena, d’altra parte, c’è poco e accade poco. Una sala prove, forse quel ‘teatrino di corte’ allestito per stanare l’assassino, e sospeso nella durata al momento stesso del disvelamento.
In questa già duplice dimensione semantica — poesia e palcoscenico abitato dalla presenza parlante di Amleto che finalmente incontra Ofelia, la brava Isabella Careccia – si inserisce sul fondale anche una sequenza di video senz’audio. Forse quelle immagini sono la comune memoria, virtuale, che i due tentano di neutralizzare con un tentativo di ‘crescita’ spirituale danzante sulle note di “Tiomnaja noch” (Into the Dark). Sicuramente esse sono la verità, ma la realtà non può andare oltre la finzione del ‘teatro’.

“False Hamlet” è proprio questo, una elevazione iperbolica della dialettica falso-vero, finto-reale, nei territori del ‘simbolo’ — riscoperta in un lavoro precedente dall’ensemble barese studiando le lucciole per il progetto “La lingua degli insetti” —, e che finisce con il rimpicciolire a ‘lucignole’ senza volontà propria, e a simbiotizzare in maniera definitiva le due creaturine fragili (forse folli), anche nell’Al di là. Ed è talmente difficile ‘essere veri’ che il regista-drammaturgo li immagina in un prato, i protagonisti, vestiti con gli stessi abiti di scena ma mascherati da cani, disillusi e quasi felicemente rassegnati alla loro identità scenica. Incomunicabile, tanto da finire col parlarsi in altri idiomi.

Riflettendo in ‘termini teatrali’, questo spettacolo è più una performance che non una sequenza narrativa. Per una settimana ho continuato a pensare ai bei quadri, post-moderni in maniera un po’ vintage. Soprattutto, però, ho ruminato a lungo sul testo, nel quale inevitabilmente si desidera rientrare come estensione della crudele Scena I, Atto III.
Riflettendo ‘in termini poetici’, lo spettacolo è un ambizioso, ma fortunato, tentativo di andare oltre Shakespeare in maniera profonda e consapevole. L’azione scenica, tuttavia, ha bisogno di respirare, fuori dalle linee di una poetica radicata filosoficamente, un po’ più nella carne e nella voce dell’attore.

English version

FALSE HAMLET // Opera teatrale in Fa maggiore
Liberamente ispirata a “Amleto” di William Shakespeare
Con Isabella Careccia e Federico Gobbi
Costumi Silvia Cramarossa
Foto di scena Maria Panza
Plancia di ripresa Zerottanta Produzioni
Sguardo tecnico Nicola Santamat
Drammaturgia e regia Andrea Cramarossa
Con il sostegno di CEA WWF Masseria Carrara

durata: 1h 30′
applausi del pubblico: 2′

Visto a Bari, Teatro Duse, l’11 novembre 2018

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