Per la Norma di Berloffa un Ottocento un po’ stridente

Il II atto di Norma
Il II atto di Norma

E’ assai difficile poter ascoltare dal vivo un’opera come “Norma” di Vincenzo Bellini, sia per la necessità di un comparto vocale che si deve esprimere attraverso tessiture ardue e notevole diversità di accenti, sia per la composizione di un congruo allestimento, essendo ambientata nelle Gallie, al tempo dell’antica Roma, col pericolo di una rappresentazione dai toni iconograficamente didascalici.
Per questo ci siamo recati con curiosità al Teatro Municipale di Piacenza, che meritoriamente da anni propone in cartellone opere difficilmente programmate in altri teatri più paludati.

L’opera è divisa in due atti su libretto di Felice Romani, tratto dalla tragedia “Norma, ou L’infanticide” di Louis-Alexandre Soumet.
Composta in meno di tre mesi, nel 1831, fu rappresentata per la prima volta al Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre dello stesso anno, inaugurando in modo tempestoso la stagione di Carnevale e Quaresima.
Questo capolavoro andò incontro, al suo debutto (come del resto accadde a molti altri), ad un fiasco clamoroso. Per diverse ragioni: per la sua anomala struttura musicale, per la presenza di una claque avversa a Bellini nonché alla primadonna, il soprano Giuditta Pasta. Ricordiamo anche, per inciso, che nel ruolo di Adalgisa cantava un’altra interprete d’eccezione, Giulia Grisi.

Come anticipato, l’azione si svolge nelle Gallie, all’epoca della dominazione romana. Protagonista è la sacerdotessa Norma, figlia del capo dei Druidi Oroveso, sempre in lotta contro i conquistatori romani. Norma ama segretamente il proconsole romano Pollione, dal quale ha avuto persino due figli, custoditi dalla fedele Clotilde, all’insaputa di tutti.
Ma Pollione, purtroppo per lei, si è innamorato di una giovane novizia del tempio d’Irminsul, Adalgisa, ed è deciso a voler lasciare Norma. Ella, che nulla sa di questo legame dell’amato, non vuole, per ovvie ragioni, che si riaccenda la guerra contro i Romani. Per questo, come sacerdotessa, spiega al suo popolo che gli dei le hanno rivelato che Roma dovrà cadere, ma non in quel momento e non per loro mano.
Con una preghiera alla luna (il momento più famoso dell’opera, il celeberrimo “Casta diva”) riesce a placare gli animi dei Galli.
Norma però, subito dopo, viene a sapere dalla stessa Adalgisa, che nulla sa del rapporto della sacerdotessa con Pollione, che è innamorata di un romano ed è la ragazza stesa a rivelarle ingenuamente il nome, proprio mentre il Comandante romano sta sopraggiungendo.
Qui il libretto del Romani è prodigioso nell’accomunare i sentimenti di Norma con quelli di Adalgisa, innamoratesi dello stesso uomo senza tuttavia saperlo.
Furiosa, Norma rivela tutto ad Adalgisa, che sdegnata respinge Pollione. Qui si conclude l’atto, non come usualmente si faceva con un concertato, ma con un terzetto tra Norma, Adalgisa e Pollione (“Ah! di qual sei tu vittima “).
La sacerdotessa, sconvolta dalla rivelazione, medita addirittura di uccidere i due figli, ma poi si arrende al sentimento materno, decidendo di suicidarsi e di affidare i bambini ad Adalgisa. Qua è posizionato da Bellini un duetto di indicibile bellezza tra Norma e Adalgisa (“Mira o Norma ai tuoi ginocchi questi cari tuoi pargoletti”).
La ragazza rifiuta e chiede a Pollione di ritornare con Norma, ottenendone un diniego.
E’ allora che Norma per vendetta decide che è giunta l’ora della guerra e chiama i Galli alla battaglia. Questo è uno dei rari momenti in cui il Coro è assoluto protagonista (“Guerra, guerra! Le galliche selve”).
Dopo il maldestro tentativo di Pollione, che rimane prigioniero dei Druidi, di rapire invano Adalgisa, Norma gli offre la vita purché egli abbandoni la giovane novizia (“In mia man alfin tu sei”). Avendo il comandante dei Romani rifiutato, la Sacerdotessa si autodenuncia al posto di Adalgisa (pronunciando quel “Son io” di callasiana indelebile memoria), identificandosi come traditrice del suo popolo per aver corrisposto dei sentimenti amorosi con uno dei nemici del suo popolo.
Verrà dunque sacrificata al Dio dei Druidi, così come il padre Oroveso aveva deciso per chi fosse stato il traditore.
Commosso, Pollione comprende la grandezza di Norma e decide di morire con lei. In segreto, Norma confida a Oroveso di essere madre e lo supplica di prendersi cura dei bambini, affinché possano salvarsi insieme a Clotilde. Quindi sale sul rogo con l’uomo amato.

Il finale dell’opera è anch’esso anomalo, senza cabalette o concertati di sorta, con il duetto di Norma e Pollione “Qual cor tradisti, qual cor perdesti” e la scena conseguente, con la preghiera bellissima di Norma al padre di vegliare sui due figli: “Deh! non volerli vittime” rappresenta uno dei vertici assoluti dell’opera lirica di ogni tempo, con quel suo avvolgersi perenne verso l’infinito, che influenzò certamente Wagner per la morte di Isotta nel suo “Tristano”.

“Norma”, insieme a “Sonnambula” e ai nostri amatissimi “Puritani”, rappresenta – con un climax assolutamente diverso dalle due sorelle – uno dei capolavori della musica del compositore siciliano. Un’opera forse unica nel suo genere, che riesce a fondere in modo sublime Classicismo e Romanticismo. Tra le particolarità anche l’uso del recitativo di grande espressività, che necessita dunque di interpreti che, oltre al canto, vengano accompagnati da una recitazione intonata ed espressiva, come è accaduto in passato per Maria Callas, Monserrat Caballé e Joan Sutherland.

Nicola Berloffa, attraverso le scene di Andrea Belli e i bellissimi costumi di Valeria Donata Bettella, con buona pace dei melomani tradizionalisti, ambienta la vicenda in un Ottocento europeo, durante le grandi lotte e rivoluzioni interne che hanno segnato quel secolo.
Ma anche noi che combattiamo inesauste battaglie per riposizionare il Melodramma in un clima di rinnovamento, dobbiamo convenire che troppi sono i riferimenti presenti nel testo per ambientare la vicenda dove è stata collocata dal regista, e anche l’atmosfera creata dalla musica belliniana è assai lontana dal contesto scelto da Berloffa. Al limite del ridicolo poi il coro “Guerra Guerra” eseguito da un manipolo di soldati, la gran parte dei quali con le stampelle.

La scena, ideata in modo suggestivo da Belli con le luci suggestive di Marco Giusti, per quasi tutti e due gli atti è collocata in un largo spiazzo, circondato da un palazzo parzialmente danneggiato dalla guerra, a cui fa da sfondo un grande portone. Qui, attraverso alcuni cambi di scena, viene collocata anche una grande camera nell’abitazione di Norma, nella quale si presume viva la Sacerdotessa con i suoi figli, e dove sono poste le confessioni tra Norma e Adalgisa.

Qualche distinguo ci viene da fare per gli interpreti. Il soprano americano, dal fisico imponente, Angela Meade, come Norma, asseconda sempre degnamente le movenze e i sentimenti mutevoli del suo personaggio, ottima nelle note gravi; secondo noi però straborda negli gli acuti, a volte stridenti e fastidiosi.
Il mezzosoprano Paola Gardina, come Adalgisa, fin dalla famosa sortita “Sgombra è la sacra selva” ci è sembrata dotata di un bellissimo fraseggio, anche se fa molta difficoltà nell’esibire i due famosi Do che la parte le assegna (originariamente la parte era destinata a un soprano). Spesso però l’espressività del suo canto nei duetti viene coperto da quello della Meade.
Stefano La Colla, come Pollione, è dotato di una voce squillante, anche se non sempre controllata, e nel complesso supera la prova, anche per merito della congrua espressività che dona al suo personaggio.
Michele Pertusi, come sempre ottimo in tutti gli aspetti, si misura autorevolmente come Oroveso, e ci appare forse un poco sprecato per una parte in definitiva così ridotta. Una buona prova infine per Didier Pieri, qui impegnato nel ruolo di Flavio, e per Stefania Ferrari come Clotilde. Bene anche il Coro governato da Corrado Casati.

Ci è piaciuta infine la direzione brillante di Sesto Quatrini, che avevamo già conosciuto a Martina Franca per le sue ottime direzioni di “Ecuba” e “Giulietta e Romeo”, qui alla guida dell’Orchestra Filarmonica Italiana: dirige con i giusti stacchi battaglieri la partitura, riuscendo ad essere morbido e lirico nei momenti più intimi dell’opera belliniana. Un gradimento che si esprime anche nel fatto che si sia generosamente speso per un capolavoro così particolare e poco rappresentato.

Norma
tragedia lirica in due atti su libretto di Felice Romani
Vincenzo Bellini

cast:
Pollione Stefano La Colla
Oroveso Michele Pertusi
Norma Angela Meade
Adalgisa Paola Gardina
Clotilde Stefania Ferrari
Flavio Didier Pieri

direttore Sesto Quatrini
regia Nicola Berloffa
scene Andrea Belli
costumi Valeria Donata Bettella
luci Marco Giusti
ORCHESTRA FILARMONICA ITALIANA
CORO DEL TEATRO MUNICIPALE DI PIACENZA
maestro del Coro Corrado Casati
coproduzione
Teatro Municipale di Piacenza
Teatro Comunale di Modena – Teatro Regio di Parma

Visto a Piacenza, Teatro municipale, il 24 ottobre 2021

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