Petra Von Kant. Amore, odio e dolore secondo il Residenztheater

Le lacrime amare di Petra Von Kant
Le lacrime amare di Petra Von Kant
La Petra Von Kant del Residenztheater (photo: teatrostabiletorino.it)

Il Faust Preis l’ha eletto miglior spettacolo della scorsa stagione. Il suo regista, Martin Kušej, è considerato uno dei migliori talenti della Germania. Stiamo parlando di uno dei capolavori di Rainer Fassbinder, “Le lacrime amare di Petra Von Kant”, arrivato alle Fonderie Teatrali Limone di Moncalieri grazie a “Teatro d’ogni passione”, l’interessante progetto internazionale dello Stabile di Torino che nel giro di poche settimane ha portato e porterà nel capoluogo piemontese una ventata di aria fresca proveniente dall’Europa.

Grazie alla scenografia a pianta centrale prevista dallo spettacolo, la sala delle ex Fonderie è trasformata: le poltrone e le gradinate sono state smontate per far spazio ad una sorta di grande acquario di vetro, circondato su ogni lato da tre gradinate di posti.
Lo spettacolo, recitato in tedesco, viene proposto al pubblico italiano in un’inedita modalità: scartata l’ipotesi dei soprattitoli, che mal si sarebbero adattati alla scenografia, la compagnia tedesca ha optato per una traduzione simultanea in cuffia, il più possibile neutra e senza enfasi.

Il pubblico entra in sala e si dispone lungo i quattro lati della scenografia. Lo spazio che separa gli spettatori dalla parete in vetro è minimo. Le luci in sala e i neon, appositamente disposti lungo le quattro pareti, impediscono di vedere all’interno del cubo. Gli specchi riflettono gli sguardi delle persone e il pubblico si ritrova per qualche minuto in scena davanti a se stesso, osservatore e osservato.

Quando le luci si spengono il bianco della scena abbaglia il nostro sguardo. Il palcoscenico è interamente ricoperto di bottiglie di vetro, meticolosamente disposte in file ordinate. La scena comunica una freddezza quasi palpabile. Stiamo per assistere al gioco al massacro di due amanti, e i cristalli delle bottiglie e gli equilibrismi che la loro disposizione impone alla attrici sono una metafora perfetta della situazione.

In mezzo a questo spazio, che con lo scorrere della scena si delineerà chiaramente come una sorta di ring, si stagliano due figure femminili: Petra Von Kant e la sua assistente/schiava Marlene.
Il tema dominante della messa in scena firmata da Kušej è già evidente: il sadomasochismo e il rapporto tra dominatore e schiavo aleggerà nell’aria per tutta la durata dello spettacolo.
L’atmosfera si fa ancora più tesa quando entra in scena l’affascinante Karin, abile manipolatrice in grado di trasformare Petra, la dominatrice, in dominata.

In una scena fredda e allucinata, in cui il vetro delle bottiglie si spacca in mille pezzi sotto gli altissimi tacchi a spillo indossati dalla bravissima Bibiana Beglau (Petra Von Kant), prende vita una delle massime più amate da Fassbinder: l’amore si alimenta solo attraverso le sue dinamiche di potere e sottomissione. Il pericoloso gioco di potere fra Petra e Karin si svolge sotto lo sguardo quasi voyeristico del pubblico che osserva, da dietro i vetri specchiati della scenografia, l’evolversi e il precipitare della morbosa relazione tra le due donne.

Di tanto in tanto si materializzano in scena gli altri personaggi del dramma tedesco: Sidonie, l’avvenente amica di Petra, Elisa, l’ingenua figlia della protagonista, e Valerie Von Kant, la madre di Petra. Queste figure, anche se di secondo piano, danno allo spettatore la possibilità di “respirare un po’”, alleggerendo la fortissima tensione emanata dai personaggi principali ed riequilibrando la messa in scena.

Lo spettacolo scorre veloce. La tragedia di Petra si consuma sotto i nostri occhi. La donna si trasforma da dominatrice in schiava e Kušej sceglie di trasmetterci questo dramma interiore in modo efficace e diretto. Man mano che la vicenda avanza, il corpo nervoso e scattante di Bibiana Beglau si riempie di ferite e sangue, quasi come se il vetro rotto delle bottiglie diventasse metafora della veloce distruzione in atto nella protagonista.

La messa in scena, esteticamente perfetta e affascinante, conquista lo spettatore anche grazie alla forza delle sue interpreti, tutte intense e dolorosamente reali. Il ritmo risente un po’ delle pause tra una scena e l’altra, necessarie per permettere gli spostamenti delle attrici nello spazio, ma che rischiano a lungo andare di annoiare e distrarre lo spettatore.

Unica grande pecca: la traduzione simultanea in cuffia che, vuoi per la cattiva posizione in rapporto al ripetitore o per la mancanza di precise istruzioni, ha fatto sì che per diversi spettatori (compreso chi scrive) molti dialoghi andassero persi. L’allestimento in lingua originale senza soprattitoli è stato quindi fortemente indebolito da questa problematica tecnica, senza contare che il testo proposto in cuffia era una selezione (accurata, ma pur sempre una selezione) delle battute recitate dalle attrici.

Fermo restando la necessità di una traduzione “esterna” per gli spettacoli proposti in lingua originale, viene spontaneo farci una domanda: come permettere al pubblico di godere al meglio dei tanti (interessanti) spettacoli stranieri senza “mutilare” il testo originale?

Le lacrime amare di Petra Von Kant
di Rainer Werner Fassbinder
drammaturgia: Andreas Karlaganis
con: Bibiana Beglau, Sophie von Kessel, Elisa Plüss, Ulrike Arnold, Michaela Steiger, Andrea Wenzl
regia: Martin Kušej
scene: Annette Murschetz
costumi: Heidi Hackl
musiche: Jan Faszbender
luci: Tobias Löffler
produzione: Residenztheater (Monaco di Baviera)

durata: 1h 55′
applausi del pubblico: 2′ 30”

Visto a Moncalieri (TO), Fonderie Limone, il 13 marzo 2014
Prima nazionale

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