Al Wonderland festival 2012 succedono robe dell’altro mondo

A.R.E.M. Agenzia recupero eventi mancanti
A.R.E.M. Agenzia recupero eventi mancanti

Il nuovo spazio della Residenza Idra di Brescia è veramente una chicca: una piccola sala per non più di 100 posti, tipo vecchio PIM milanese per capirci, con un palcoscenico di dimensioni interessanti e, soprattutto, in pieno centro a Brescia.

In una città intorpidita da alcuni anni su una progettualità, quella degli stabili, che guarda con intensità alla tradizione, una scelta di rottura come quella studiata e portata in vita da Davide d’Antonio e dagli altri del gruppo può essere un elemento di grande novità.
Come avvio di programmazione, ecco la serie di eventi di sabato 28 gennaio che hanno dato il via al Wonderland Festival (fino al 29 aprile), promosso dalla Residenza Idra e sostenuto da Fondazione Cariplo, Fondazione ASM, Regione Lombardia, Provincia di Brescia, Comune di Brescia, Circoscrizione Centro: una rassegna che ha davvero tutte le carte in regola per portare in città alcuni dei maggiori nomi della scena “alternativa” italiana. Sul concetto poi di alternativo sappiamo che la parentesi da aprire sarebbe troppo ampia, quindi non la apriamo neanche, lasciando che ciascuno mediti.

Scene da un’inaugurazione: centro di Brescia, freddo porco, sera di fine gennaio, ore 2 del mattino. C’è ancora una coda di 100 persone che cercano di entrare nello spazio dove da diverse ore è in svolgimento la kermesse “Opening Night: La notte della cultura”, tra performance, teatro, installazioni sonore, aperitivi con musica…
La situazione è di fatto rimasta questa per tutto il tempo fra le ore 19, quando è iniziato il tutto, sino all’alba, con lo spettacolo del Teatro delle Moire “It’s always tea time”.
Per quanto riguarda noi di Krapp, il fine settimana successivo, il primo di febbraio, abbiamo assistito alle nuove produzioni della compagnia di Elena Vanni e di Carrozzeria Orfeo.

Quello di Elena Vanni e delle attrici che con lei condividono il palcoscenico (Francesca Farcomeni e una Noemi Parroni dalla voce di valore assoluto), è uno spettacolo abbastanza tradizionale ma non banale di impro-teatrale in cui, dato un tema, le attrici cercano di mettere in piedi una sequenza recitata.
L’escamotage creativo che sostiene l’operazione è quello di chiedere al pubblico, prima dell’ingresso, di scrivere un ricordo che vorrebbe rivivere drammatizzato.
Non di una costellazione à-la Bert Hellinger stiamo parlando, ma di qualcosa di molto più leggero e meno indagatorio. Qualcosa che, quando le attrici sono in serata e i ricordi da “agire” spassosi, con un pubblico capace di sostenere empaticamente la creazione, può garantire un felice esito.

Rispetto alle prime repliche lo spettacolo ha abbastanza velocemente aggiustato la mira, inserendo più ritmo, un maggior numero di sequenze, piccoli intermezzi di tono meditativo sia sul ruolo dell’attore e del momento di improvvisazione, sia sul tema del ricordo.

La serata a cui abbiamo assistito in fondo ci ha convinto. Le tre si intendevano velocemente, il metronomo andava veloce, allegro sostenuto, alcune immagini di viva poesia, come quella in cui una nascita veniva mimata attraverso l’uso delle ombre cinesi (cui spesso le tre fanno ricorso grazie ad una struttura a pannelli di telo assai duttile e modificabile) con il mimo in controluce di una situazione tipo tunnel uterino, da cui la performer veniva fuori nella soddisfazione generale dei presenti.

Siamo contenti che finalmente qualche esito originale del teatro di improvvisazione esca dalle palestre in cui questa nobile arte, in più parti d’Italia, viene coltivata, per arrivare ai palcoscenici in modalità circuitata.
Come tutto il teatro d’improvvisazione il paradosso è che, per sua stessa regola, è irripetibile tale quale, e che alla fine ha una modularità a suo modo ripetitiva nel continuo cambiare, che impedisce la cristallizzazione del bello, in nome della potenza della materia inconscia. Sarebbe interessante se, ad un certo punto, il metronomo si fermasse e si traesse una meditazione ulteriore su quanto intanto è venuto fuori.

Robe dell'altro mondo
Robe dell’altro mondo di Carrozzeria Orfeo

E passiamo a Carrozzeria Orfeo. Il loro nuovo lavoro, “Robe dell’altro mondo”, conferma una realtà giovane e in grande crescita, con talenti capaci non solo di elaborare testi freschi, brillanti, descrittivi del nostro tempo, ma anche di essere attori abili per portarli in scena, insomma una rarità di questi tempi.

Aveva visto giusto Franco Quadri a Kilowatt Festival due anni fa, quando dedicò attenzione all’opera prima di questa compagnia e volle avere il testo scritto; come pure bisogna dare atto ai visionari toscani di aver scelto in quell’edizione giovani talenti meritevoli (anche la Foscarini fu tra di loro).
Quadri ebbe a trovare sicuramente tracce di quella capacità che in questi anni si è molto affinata, e che porta ora ad un lavoro complesso, con un testo che ha una costruzione tipica delle moderne drammaturgie di scuola britannica, in cui gli eventi si conseguono senza che poi valga il principio di sillogismo aristotelico.
Per capirci, se da un primo evento discende un secondo, e dal secondo un terzo, il terzo non è, nello schema di Carrozzeria Orfeo, conseguenza logica del primo. Al più ne è conseguenza empatica, di finzione, ambientale, con un passaggio di scene e di argomenti legato non di rado a un montaggio analogico di stampo cinematografico, come quello che lega ad un certo punto la corsa disperata in bici di un immigrato alla lenta pedalata in cyclette di un altro, in un passaggio di luci originale, bello.

La pièce è recitata con maschere moderne e propone un paradigma in parte nuovo del recitato con questa modalità, superando proprio grazie alla drammaturgia di taglio contemporaneo e surreale le algidità del linguaggio che abbiamo conosciuto, ad esempio, con Cecchi anni fa, o con Teatrino Giullare più di recente.
Con uno schema narrativo che nasce dal dialogo con l’arte del fumetto, la drammaturgia parte da una chiacchiera di periferia di due anziani impoveriti dalla crisi che, tra finte signorilità da pianerottolo, finiscono per litigare per un euro. In questo scenario da quartiere di città, irrompe la vita di una coppia di  immigrati omosessuali, poi di un imprenditore in un centro massaggi e di due giovani nel parco. Tutto è reale e surreale insieme, credibile ma non vero. Il ritmo è sostenuto, il seguirsi degli eventi vivace.

Il poetico finale, che non sveliamo, con una sospensione onirica della vita di un personaggio celebre intento a perdersi in un giardino con una nuvola di zucchero a velo in mano, ricorda non tanto gli irrisolti di Beckett, ma le sequenze pinteriane, in cui il motivo di tutto c’è, ma non si vede.
O forse non c’è, ma lo spettatore ne intuisce uno, che è ovviamente soggettivo. Ed è proprio questo sapore ambiguo, agrodolce e persistente, emozionante e amaro insieme, a connotare questo lavoro che, con qualche piccola aggiustatura, è davvero un salto importante per Carrozzeria Orfeo.
Hanno un punto in mano, sono seri, e stanno imparando le regole del gioco: la compagnia merita più di un chip per questa e per le prossime girate di carte, perchè non stanno bluffando, e questo spettacolo ne è la prova.
Eh sì, aveva visto proprio giusto Franco Quadri.

A.R.E.M. Agenzia recupero eventi mancanti
da un’idea di Elena Vanni e Raimondo Brandi
di e con Francesca Farcomeni, Noemi Parroni, Elena Vanni
collaborazione artistica e drammaturgica: Raimondo Brandi
produzione:  Compagnia Elena Vanni
applausi del pubblico: 2′ 13”


Robe dell’altro mondo
drammaturgia: Gabriele di Luca
suono: Massimiliano Setti
interpreti: Gabriele Di Luca, Roberto Capaldo, Massimilliano Setti
disegni: Giacomo Trivellini
maschere: Andrea Cavarra
organizzazione: Luisa Supino
prodotto da: Carrozzeria Orfeo
con il sostegno produttivo di Residenza Idra
in collaborazione con Benevento Città Spettacolo e La Corte Ospitale
con il contributo di Fondazione Cariplo
applausi del pubblico: 1′ 54”

Visti a Brescia, Wonderland Festival, il 4 febbraio 2012

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