Un Chinese Coffee dall’aroma deludente nella regia di Pierpaolo Sepe

Chinese coffee
Chinese coffee
Photo: Brunella Giolivo

La stagione del Nuovo Teatro Nuovo arriva al termine, ma la città di Napoli si prepara al grande evento del Napoli Teatro Festival, in scena dal 4 al 27 giugno.
A chiudere il cartellone del teatro dei quartieri spagnoli ci pensa la regia di Pierpaolo Sepe, con il debutto teatrale di “Chinese Coffee” di Ira Lewis, nella traduzione di Letizia Russo.
E’ la storia di due amici, Harry Levine, giovane scrittore squattrinato e sfortunato con le donne, e il coinquilino Jake Manheim, fotografo-scrittore-sciupafemmine-raccontafrottole, più povero del primo.
La conversazione tra i due si svolge in una stanza di New York dalle finestre sigillate, ai lati di un lungo tavolo rosso che gira, al suono di un gong, su un palco in movimento, che dà allo spettatore le diverse angolazioni dei due attori e dei diversi punti di vista.

Cosa fare della propria vita? Dedicarsi alle passioni artistiche e guadagnare poco pur rimanendo felici e in pace con se stessi, nonostante spesso non si abbiano neanche gli spiccioli per un caffè? O sottomettersi a piccoli lavori pur di guadagnare qualcosa, distruggendo la propria dignità di artista?
Lo scopo è trovare l’evento, ciò che può cambiare la vita improvvisamente, che può arricchire un uomo, anche solo materialmente. E che le donne (certe donne) preferiscano i ricchi lo sappiamo.
Inutile, allora, chiedersi ingenuamente perché una giovane fidanzata preferisca un uomo maturo e pieno di denaro ad uno scrittore senza un soldo.

Insomma, meglio vivere di arte ma diventare folli e angosciati come il giovane scrittore, o mostrarsi apparentemente affaristi e intelligenti come il più attempato, misero fotografo, dispensatore di consigli inutili?

La risposta è il libro, quello che il giovane scrittore ha realizzato in tre lunghi anni, recuperando tutti i racconti personali del fotografo, tutte le storielle più o meno private e intime che si erano raccontati durante la convivenza. Ma il fotografo considera quelle pagine scadenti, e invita l’amico a non pubblicare un libro che non avrà mai successo. Un’ipocrisia di chi si sente, in realtà, derubato della propria vita privata. Perché quelle sono le pagine della svolta, della ricchezza sperata, ma provocheranno la perdita della dignità e dell’amicizia.

La vicenda non entusiasma, nonostante le anticipazioni del regista, che parla della dignità della sconfitta come se fosse una vittoria: “E’ pericoloso – afferma – cercare di vincere comunque, rinunciare al motivo stesso per cui si gioca, pur di vincere. È pericoloso inseguire il consenso, per affermare, poi, un se stesso che non c’è più, sparito nel compiacere pensieri altrui, nell’affanno della rincorsa”.
Il senso finale è infatti questo, anche se non è così immediato estrapolarlo dallo spettacolo, che appare in molti punti statico e stanco, ripetendosi continuamente nelle frasi e nei concetti. Da sottolineare la bravura di Paolo Sassanelli, che con la sua recitazione naturale dà piccole scosse d’interesse all’intero dialogo.
Si cerca fino alla fine di capire il perché di questa conversazione: il dramma dell’artista che combatte tra compromessi, arte e denaro è ormai un cliché visto e rivisto. E, soprattutto, il fascino del povero dall’animo d’artista non è più di moda: troppi squattrinati in giro, e non solo artisti.

CHINESE COFFEE
di Ira Lewis
traduzione: Letizia Russo
interpreti: Max Malatesta, Paolo Sassanelli
regia: Pierpaolo Sepe
durata: 1 h 30′
applausi del pubblico: 2′ 30”

Visto a Napoli, Nuovo Teatro Nuovo, il 5 maggio 2010

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3 Comments

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  1. says: emanuela ferrauto

    non avevo letto questo commento dal signor enrico f.. sono passati del resto molti mesi ma non credo che la sua maleducazione si sia affievolita.Visto che tutti ci firmiamo ( ringrazio a proposito Michelle Martini) perchè non lo fa anche Lei? Così capiamo se è veramente un esperto di teatro.
    Accetto le critiche di tutti ma non le offese.
    Posso anche non capirne di teatro e lo dico con umiltà e allora perchè nn “offende” anche il critico più famoso, colto e importante di me Enrico FIore?
    questo è il link del suo articolo.
    http://blog.libero.it/Controscena/8794163.html

    Come vede non sono l’unica a pensare male di questo spettacolo.
    Che Lei ne sia d’accordo o no ,ci sono comunque modi educati di dire che nn le è piaciuta la mia recensione.
    Attendo con ansia, a distanza di tempo, la sua risposta da esperto di teatro.

  2. says: michelle martini

    Carissimo Enrico F., sai chi è Emanuela Ferrauto?
    Una che si firma con nome e cognome. La critica non è la parola di dio, ma un’analisi attenta che porta in coda una firma. Significa che almeno in parte è frutto di una propria visione. Fortunatamente il pubblico non si limita a credere alle parole di un redattore, ma legge i pezzi alla ricerca di qualcosa di interessante con cui mettere alla prova la propria fruizione.
    Forse lo fa anche chi scrive di ippica o ne è spettatore.
    Il teatro non fa per lei ma fa invece per te?
    Provalo.

  3. says: enrico f.

    ma chi è questa CAPRA di Emanuela Ferrauto???
    secondo me lo spettacolo è splendido.
    spero che smetta di scrivere sciocchezze in rete; c’è il rischio che qualcuno le creda.
    magari potrebbe provare con qualche altra cosa….
    l’ippica ad esempio.
    il teatro non fa per lei!