Costellazioni: Raphael Tobia Vogel nelle infinite variabili del Multiverso

Elena Lietti e Pietro Micci in Costellazioni (photo: Noemi Ardesi)
Elena Lietti e Pietro Micci in Costellazioni (photo: Noemi Ardesi)

Al Franco Parenti di Milano debutta il testo di Nick Payne interpretato da Elena Lietti e Pietro Micci

Un uomo, una donna. Un incontro, due destini. Anzi, no: infinite possibilità. Come sono infiniti i modi che chi vi scrive ha di iniziare, continuare e chiudere quest’articolo. Come sono infinite le possibilità degli spettatori di raccontare uno spettacolo come “Costellazioni” di Nick Payne, traduzione di Matteo Colombo, con Elena Lietti e Pietro Micci in scena.

Un’altra prova che certifica la maturità registica di Raphael Tobia Vogel, di cui avevamo apprezzato “Marjorie Prime” poco prima della pandemia. Lì la fantascienza, qui la fisica quantistica. Lì i temi del declino fisico, della malattia e della morte esorcizzati dalla creazione di un’intelligenza artificiale capace di riprodurre persone e vite. Qui il ruolo ineffabile del caso: la famiglia; il fluire del tempo; le esperienze; le malattie; il sopraggiungere imponderabile della morte o della guarigione. Costellazioni, appunto. Disegni, schieramenti casuali di stelle. Ma anche tutta la gamma di combinazioni relazionali che possono manifestarsi nella vita individuale, condizionando il processo di autorealizzazione.

«Sleight of hand and twist of fate» (“With or without you”, U2).
Nella sala A del Teatro Parenti di Milano la platea è spaccata in due da un quadrato nero al centro, lucido, bordato da un contorno di luce blu. Arrivano due giovani, un uomo e una donna. Lui fa l’apicoltore, lei è una scienziata che si occupa di cosmologia quantistica. Lui è un uomo semplice. Lei una donna colta. Entrambi sensibili, empatici. E forse è questa loro ricchezza di sfumature a renderli permeabili a una serie d’impulsi e suggestioni. I due si trovano, si prendono, si tradiscono, si lasciano, si ritrovano, secondo infinite versioni della stessa storia, in una serie di flashback e ripartenze.

È come il film “Destino cieco” del polacco Krzysztof Kieślowski. Oppure “Sliding doors” di Peter Howitt. O ancora, “Match point” di Woody Allen. L’imponderabile ruolo del destino. La teoria del caos portava mezzo secolo fa il matematico Edward Lorenz a chiedersi se potesse «il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas». E già nel 1950 Alan Turing affermava che «lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza».

Secondo la fisica quantistica è il multiverso, cioè l’insieme di universi possibili. Universi paralleli, come le somme che si creano gettando i dadi per un numero indefinito di volte. La “Teoria delle stringhe”, in base alla quale la materia è composta di minuscole corde vibranti in uno spazio con più di tre dimensioni. Stringhe aggregate, immerse in uno spazio esteso. Universi distinti, che interagiscono con gli esseri umani.
«L’amore è una parola di luce, scritta da una mano di luce, su una pagina di luce» (Khalil Gibran).
La prima chicca di questo spettacolo dalla regia cinematografica sono le luci disegnate da Paolo Casati. Sono architetture celesti: cattedrali, pilastri, fasci o reticolati. Sono alte colonne luminose, grappoli, rifrazioni, spettri. In questa sala degli specchi i protagonisti rimbalzano da una situazione all’altra, da un sentimento all’altro. Un po’ come ripetere mille volte la stessa scena, ogni volta aggiungendo una o più variabili. E allora (seconda chicca) quale migliore occasione per i due bravissimi attori, Pietro Micci ed Elena Lietti, di esplorare ogni gamma possibile della recitazione. E lo fanno in maniera credibile, perché non cadono mai nella trappola del virtuosismo fine a se stesso, nella tentazione narcisistica del preziosismo. L’ego degli attori rimane un passo indietro, lascia spazio all’autenticità del gesto e della parola, alla vita reale nella sua molteplicità.

Il ritmo di Vogel è serrato. Lo spettatore trattiene il fiato. Fa zapping tra le scene. Ha davanti una miriade di occasioni per identificarsi: amori che nascono o si esauriscono, entusiasmi, fragilità, cadute, risalite, ripartenze.
Una riflessione finale riguarda la scena costruita da Nicolas Bovey. Ricorda l’immaginifico cubo di “Mulholland Drive”, capolavoro di David Lynch, oppure il monolite kubrickiano di “2001 Odissea nello spazio”: marchingegni perfettamente geometrici che innescano un oscuro processo metafisico. “Costellazioni” è proprio questo: il sogno di un mondo perfetto in cui vivere, che in qualsiasi momento può trasformarsi in un incubo. Ecco la coesistenza del buio e della luce, del blu e del nero, dell’Amore e della Morte. Di una vita che ci illudiamo di possedere, ma dalla quale siamo in realtà posseduti, sospinti come palline, rimbalzati come elastici, secondo infinite variabili sfuggenti al potere del libero arbitrio.

COSTELLAZIONI
di Nick Payne
traduzione Matteo Colombo
regia Raphael Tobia Vogel
con Elena Lietti e Pietro Micci
scene e costumi Nicolas Bovey
luci Paolo Casati
assistente alla regia Beatrice Cazzaro
scene costruite presso il laboratorio del Teatro Franco Parenti
produzione Teatro Franco Parenti / TPE – Teatro Piemonte Europa

durata: 1h 10’
applausi del pubblico: 3’ 30”

Visto a Milano, Teatro Franco Parenti, l’8 febbraio 2022
Prima nazionale

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