
Dopo l’Iran degli Instabili Vaganti, questa volta ci spostiamo in Germania con Fibre Parallele, che nell’ultimo periodo hanno toccato il suolo tedesco per due volte: prima a Heidelberg e dopo a Berlino. Ci restituiscono oggi le loro impressioni di viaggio attraverso le parole di Riccardo Spagnulo.
Quando arrivi in Germania vieni investito da una sensazione di efficienza. Aeroporti nuovi di zecca, treni che spaccano il minuto e macchine automatiche che, in cambio di bottiglie di plastica vuote, rendono un buono da spendere.
Quando poi, davanti alla stazione di Heidelberg, vedi una distesa spaventosa di biciclette e un groviglio di piste ciclabili capisci che i tedeschi hanno risolto il problema della mobilità affidandosi alle due ruote.
E il teatro? In Bismarkplatz, sul fianco della Galleria Kaufhof, c’è un cartellone gigante che pubblicizza l’Heidelberger Stukemarkt, il festival di drammaturgia organizzato dal Theater und Orchester Heidelberg, al cui interno è prevista la mise en espace di “Furie de Sanghe”, tradotta in dialetto bavarese da Werner Waas, e degli altri testi del progetto Fabulamundi – Playwrighting Europe, promosso da PAV ed altri partner spagnoli, francesi, tedeschi e rumeni.
Sull’Hauptstrasse, che si dice sia la via più lunga d’Europa, abbiamo tutto il tempo di conoscere Marilia Samper, autrice spagnola, e Szekely Csaba, suo omologo rumeno. Parliamo e parliamo: delle storie dei nostri testi, di come le serie tv abbiano gli strumenti per raccontare la realtà o per crearne una nuova, dei riti dello scrivere, del Teatro Valle…
Qualche passo più dietro seguono Carlotta Garlanda, project manager di Fabulamundi, Maria Morhart, collaboratrice del progetto per la Germania, e Lisa, l’organizzatrice del teatro di Heidelberg che ci accompagna alla scoperta delle tre sale di questo teatro che, in una città di 125mila abitanti, tra prosa, danza, opera e musica programma quasi ogni giorno.
Rimaniamo increduli davanti alle vetrate, che permettono di vedere, a chi fa il giro intorno all’edificio del teatro, cosa succede nel reparto di realizzazione scenografica e nella sartoria. Tutto a vista, tutto trasparente, niente da nascondere. Questa è la sensazione.
La sala che ospiterà le mise en espace è un po’ più lontana, si trova in Zwinger Gasse, dove di solito si esibisce la compagnia di teatro ragazzi di Heidelberg.
Il giorno seguente ci ritroviamo in teatro per la mise en espace: una giovane regista, cinque attori, tre tavoli, qualche sedia. I testi scivolano via veloci, il pubblico sembra apprezzare nonostante sia fondamentalmente una lettura con qualche indicazione di spazio. Gli attori sono bravi, precisi e non si risparmiano.
Arriva il turno di “Furie de Sanghe”. La famiglia di mostri ‘made in Bari’ si trasforma in un gruppo familiare bavarese riunito intorno ad un tavolo colmo di birre.
E’ un’emozione che fa sobbalzare quella di ascoltare il proprio testo in una lingua straniera. Anche se non la parli, riesci a seguire le battute, riconosci alcune parole e questo ti dà l’illusione momentanea di riuscire a comprendere quella lingua. E’ una specie di miracolo, una Babele al contrario, che dura il tempo di una pièce.
Se poi sei anche un attore dello spettacolo originale, inizi a guardare il tuo corrispondente tedesco dapprima con sospetto, poi con empatia e alla fine, se tutto va per il verso giusto, puoi sederti ad un tavolo a berci una birra insieme.
Questo lost in translation è il sapore che ha accompagnato il sopraggiungere del mio sonno i giorni seguenti.
Dopo gli applausi, Anna Maria, nata in Germania da genitori calabresi e siciliani, che lavora a teatro nella comunicazione, mi chiede in italiano di leggere il testo nella versione originale. Le assicuro che non è affatto facile, ma lei dice che ci tiene molto e mi strappa la promessa di inviarglielo appena tornati a Bari, dove tutto è cominciato.
Penso a mio padre, che da giovane ha passato le estati in Germania a lavorare, e ai suoi amici che sono rimasti lì, come i genitori di Anna Maria.
Il giorno dopo l’aereo del ritorno è nel pomeriggio; il cielo si riempie di nubi e inizia a piovigginare. Salutiamo Bismarkplatz e questa parte di Germania, ma è soltanto un arrivederci.
A breve ci attende infatti Berlino e il quartiere di Kreuzberg.
Facendo le valigie ci accorgiamo che pesano di più: oltre al nano con il dito medio alzato, hanno trovato posto nuove amicizie e visioni diverse di teatro.
1822 chilometri, due giorni di viaggio escluse le soste, le deviazioni per lavori in corso, il rifocillamento del pesce che, come ormai sanno metà dei teatranti italiani, mangia solo cozze perché è di bocca buona. Obiettivo: una recita di “Furie de Sanghe” al Teatro Aufbau di Kreuzberg, all’interno del Roadshow promozionale #WeareinPuglia, curato dall’agenzia turistica regionale Puglia Promozione.
Arriviamo a Berlino in un pomeriggio soleggiato che non t’aspetti, nel quartiere di Lichtenberg, nella parte est di Berlino. E non sembra neppure l’immagine che Berlino dà di sé, di quella metropoli tutta cantieri e costantemente in movimento, ma un tranquillo paese con strade alberate, sotto i cui rami scorrazzano veloci marmocchi in bicicletta per comprare dolci alla Bäckerei più vicina.
Sulla strada verso Lichtenberg si iniziano a intravedere i cartelloni pubblicitari in stile minimal del Theatertreffen, il festival nazionale del teatro tedesco che si svolge ogni anno a Berlino a maggio.
Gli stessi manifesti sono anche nella vicina stazione della S-Bahn, dove prendiamo un trenino per il Mitte, il quartiere centrale, dopo aver messo a nanna Ugo (il capitone).
In un posto dove l’acqua costa più della birra, è allora normale spegnere la sete con un boccale di Pils (bionda), Weizen (bianca) o Dunkel (scura); quello che forse può far pensare a un vizio è cogliere l’occasione di eliminare totalmente l’acqua a favore della sua controparte alcolica. Ma come non optare, qui, per questa possibilità?
Il secondo giorno a Berlino ci trasferiamo a Kreuzberg, il quartiere con forte immigrazione turca e abitato anche da artisti, dove attenderemo il resto della compagnia.
Ne approfittiamo per incontrare vecchi amici che vivono qui da qualche anno: ci raccontano di come non sia facile vivere in una cultura la cui lingua sembra quasi inafferrabile.
A Mehringdamm lo sguardo si ferma su una fila chilometrica di persone, turisti ma anche tedeschi, tutti uno dietro l’altro in attesa di… un kebab! In realtà non è un kebab qualsiasi, ma il kebab più buono di Berlino, quello di Mustafà, che come un grande chef stratifica temperature e sapori.
Non chiude mai, neanche la domenica. E’ un’istituzione, controllate sulle guide: la fila d’attesa può arrivare fino a 45 minuti. Il kebab è ottimo, ma forse tutta quella fila per un kebab…?
Noi abbiamo assaggiato il kebab alla barese. Com’è? Uguale, ma saltando la fila.
Altro posto che merita una visita è lo zoo, con giro prolungato al reparto tropicale, dove abitano almeno cinquanta varietà diverse di scimmie e primati. Ci sediamo alle panchine ad osservare queste microsocietà che assomigliano così tanto alla nostra: c’è chi comanda, chi grida, chi ruba, chi fa i dispetti, chi dorme, chi se ne sta in disparte e chi si spulcia.
Questa sovrapposizione spaziale tra Bari e le altre città del mondo è magica, è come presentare due anziani signori e cercare di tradurre le frasi di uno all’altro, e viceversa. Se non c’è il medium, nel nostro caso lo spettacolo, le due identità non possono parlarsi.
A fine spettacolo una signora tedesca ci dice di averlo apprezzato molto e che tutta la violenza che viene fuori si è così impressa nella sua carne che stava quasi per alzarsi in piedi e urlare: basta!
Licia ed io ci guardiamo negli occhi con soddisfazione: niente male, di solito siamo noi italiani ad aspettarci dai registi tedeschi delle messe in scena estreme e urtanti.
Berlino è speciale, anche perché è meta di molti teatranti italiani, e così ti può capitare, il giorno dopo la performance, di prendere un caffè sulla Karl-Marx Allee insieme ad Antonio Latella, discutendo con lui di “Furie de Sanghe”, di come sono gli attori tedeschi, di cosa significa essere una compagnia, di cosa può o non può fare il teatro, e della cosa forse più importante in assoluto: come trafiggere gli spettatori…
Nelle strade attorno a noi impazza la campagna elettorale per le elezioni europee e nei cartelloni si alternano i voti pro Shulz e pro Merkel. Penso a parole come Fiscal compact e mi domando se gli elettori tedeschi siano informati di quello che succede ai confini dell’impero.
Alzando gli occhi al cielo intanto è difficile non incrociare la Fernsehturm, la torre della televisione costruita dalla DDR, uno dei simboli di Berlino, che pare l’opera di qualche forma di vita aliena. Quando sei lì sopra ti accorgi che Berlino non ha un centro ma è composta da tanti quartieri che conservano il loro piccolo centro.
Forse è questo il segreto per l’Europa che verrà, e forse potrebbe essere utile considerare anche l’arte teatrale come una città costituita da molteplici centri, in cui hanno cittadinanza forme e identità diverse. Proprio come a Berlino.