Ifigenia / Oreste. Per Binasco dittico di tragedie da Euripide a oggi

Ifigenia (photo: Luigi De Palma)
Ifigenia (photo: Luigi De Palma)

La nuova produzione del Teatro Stabile di Torino indaga la famiglia e il dolore dei figli, temi classici che diventano estremamente attuali

L’efferatezza non ci sconvolge più. Neppure a teatro. Siamo investiti quotidianamente da immagini di violenza, guerra, omicidi, stragi di insensata crudeltà. E’ questo un riflesso, forse il più triste, della contemporaneità.

Valerio Binasco deve averlo pensato, scegliendo di mettere in scena la fredda, cosciente e barbara uccisione di Ifigenia per mano di Agamennone e la carneficina orrenda e inutile compiuta da Oreste, Pilade ed Elettra. Gli antichi Greci non lo avrebbero fatto. Ritenevano che l’orrore – origine e fatale epilogo di ogni loro tragedia – non potesse, o meglio non dovesse, essere rappresentato, ma rispettosamente rievocato e soltanto descritto attraverso le parole di un messaggero.

Quale intenzione registica si nasconde dietro la scelta di Binasco di fare impugnare coltelli agli assassini, farglieli usare per compiere massacri, imbrattare di sangue i corpi e il palco e infine tentare invano di nasconderne le tracce avvolgendo i cadaveri in sacchi di plastica e addirittura portandoli via nel cofano di un’auto?

C’è stato chi, nella storia del teatro, ha macchiato di sangue, persino vero sangue, le tavole del palcoscenico, come e più di quanto abbia fatto Binasco in questi due allestimenti: chi per un intento naturalistico, chi per provocazione.

L’”Ifigenia” e l’”Oreste” di Euripide, in scena in questi giorni alle Fonderie Limone di Moncalieri, nuova produzione del Teatro Stabile di Torino da lui diretto, sono però un’altra cosa: spettacoli semplici e a loro modo estremi. Vi si ritrova il fallimento di un uomo come padre, come fratello, come politico, di un uomo come ce ne sono tanti, smarrito, senza più punti di riferimento, incapace di sostenere il proprio ruolo: quale ruolo, poi? Lo ha scelto lui quel ruolo? O gli è capitato?
La sua inettitudine si trasforma in crudeltà e così quell’uomo diventa assassino, anzi parricida, e il suo atto risuona a noi come un fatto di cronaca, tragico e familiare.

La concretezza psicologica e la sensibilità contemporanea di Clitemnestra, di Achille, dei tre ragazzi – Oreste, Elettra e Pilade – un tempo innocenti, poi feriti, fragili, così fragili da diventare pericolosi e psicopatici assassini, appartengono alla favola tragica antica ma anche all’oggi, come se il mito, la sacralità del mito, trovasse dimora nella coscienza malata dell’uomo contemporaneo. I personaggi cercano di salvarsi dal dolore, di trattenere la forza del suo urto ragionando, provando a capire, disposti persino a cambiare idea, ma una volta che il male accade, il logos perde ogni sua possibilità di contrasto, non è concesso tornare indietro.

Due tragedie che sono l’una l’inevitabile conseguenza dell’altra, come due atti di un solo dramma.
Per “Ifigenia” Binasco opta per una sequenza di quadri, brevi scene staccate le une dalle altre, intervallate da momenti di buio, abiti contemporanei, scena spoglia, intensità e pathos affidati interamente alle voci e ai corpi degli attori.
La tragedia si conclude con Oreste bambino, interpretato dal piccolo e già molto bravo Matteo Leverano che, sdraiato per terra al centro del palco, gioca con le sue macchinine, ignaro di quanto è accaduto e delle sue conseguenze, mentre la madre, un corpo abbandonato su una sedia e straziato dal dolore, lo osserva senza guardarlo.

Oreste (photo: Luigi De Palma)
Oreste (photo: Luigi De Palma)

Atto unico invece per “Oreste”, che vede il protagonista e la sorella agitarsi come animali in gabbia all’interno di un cerchio disegnato per terra, il cerchio della colpa.
Il coro non esiste, anzi il coro è il pubblico (sistemato ai due lati dello spazio scenico), che assiste – muto e inerme – ai drammi che si consumano sotto i suoi occhi.
Binasco, nei panni di Agamennone, adotta una gestualità a tratti nevrotica, una postura rinchiusa su sé stessa e una vocalità incerta, biascicata e poi urlata, per nulla eroe, al contrario misero e arrogante. Magnifica Arianna Scommegna, che ci regala una Clitemnestra inizialmente entusiasta, frivola, eccitata all’idea delle future nozze della figlia, per poi dare corpo e voce alla lotta e alla disperazione profonda e atroce di una madre a cui strappano via la propria carne.
Achille, nell’interpretazione di Giovanni Calcagno, è furia allo stato puro, rabbia incontenibile. Giordana Faggiano interpreta sia Ifigenia che Elettra, ma è soprattutto in quest’ultima che rivela la sua straordinaria forza e potenza. Elettra, sorella che confonde il proprio odio per la madre con l’affetto e la premura per un fratello debole, demente, smarrito persino più del padre, che lei sola riesce a calmare. Elettra che riesce ad ingannare Ermione, lo zio Menelao e trascina con sé Oreste e Pilade nel dolore estremo, nel “caos dentro al quale – scrive Binasco nelle note di regia – vanno ad affogare uno ad uno tutti i sentimenti e i pensieri umani, quando la sofferenza prende possesso della vita”.

In scena fino al 12 giugno.

Ifigenia / Oreste
di Euripide
con (in ordine alfabetico) Giovanni Anzaldo, Sara Bertelà, Valerio Binasco, Giovanni Calcagno, Giovanni Drago, Giordana Faggiano, Jurij Ferrini, Nicola Pannelli, Letizia Russo, Arianna Scommegna, Matteo Leverano
regia e adattamento Valerio Binasco
scene e luci Nicolas Bovey
costumi Alessio Rosati
musiche Paolo Spaccamonti
assistente regia Giulia Odetto
assistente regia e drammaturgia Micol Jalla
assistente costumi Agnese Rabatti
Teatro Stabile Di Torino – Teatro Nazionale

durata: 1h 20′ ciascuno senza intervallo

Visto a Moncalieri (TO), Fonderie Limone, il 5 giugno 2022
Prima nazionale

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