Il Don Giovanni di Filippo Timi, dissacrante in chiave pop

Filippo Timi è Don Giovanni
Filippo Timi è Don Giovanni
Filippo Timi è, da domani sera a Milano, Don Giovanni (photo: Franco Parenti)

L’opera mozartiana diventa teatro-performance. Il lavoro di uno degli artisti più amati del panorama italiano debutterà domani, 27 febbraio, al Franco Parenti di Milano; ma le quattro serate di prove aperte al Teatro dell’Arte ne hanno anticipato il “cuore”, che oggi vi sveliamo.

Desiderare, conquistare, abbandonare. La bramosia impudica di Don Giovanni è un desiderio di possesso che oltraggia ogni regola, confine, autorità. E’ una forza brada, cinica e spietata che diventa sfida contro quanto vi sia di più indomabile. La morte.

“Ho perso ogni forma di romanticismo da quando mi sono immerso nel personaggio”, rivela Filippo Timi nel corso delle prove aperte. Un assaggio riservato agli estimatori – non pochi – dell’attore perugino, che si è creato nel giro degli ultimi anni un pubblico quasi adorante, che lo segue ovunque in attesa del suo ultimo gesto provocatorio.

Il teatro di Timi vuole essere dissacrazione, eccesso, follia. Anche in questo caso il libretto di Da Ponte-Mozart, da cui l’autore-attore-regista dichiara di essersi ispirato (perché il testo di Molière era “troppo impostato per essere riscritto”), si trasforma in una favola kitsch, in cui ogni personaggio è un’esplosione di bizzarria ed eccesso.
Una Zerlina-Burina affamata di cioccolata, un Leporello gay che scambia l’ordine del suo padrone di spogliarsi con un’avance, una Donna Anna-Fraulein Rottermeir (bravissima, Elena Lietti), che comanda con gesti sodomizzanti il suo, sottomesso fino al parossismo, promesso sposo.

Maschere grottesche che celano, dietro battute esilaranti e scurrili, un male di vivere, un senso di inadeguatezza di fronte alla vita, e al proprio destino o ruolo. E che si confessano in brevi monologhi in cui rivelano un piccolo segreto del proprio passato (il primo amore, la prima umiliazione, l’ultimo attimo di felicità).

Timi li dirige come fenomeni da baraccone, chiedendo loro di enfatizzare ogni gesto, di caricaturizzarlo fino all’esagerazione. E il testo lirico si trasforma in perfomance, dove gli attori, con una colonna sonora che alterna Pink Floyd, Black eyed pease, Donna Summer e Queen, non si limitano a recitare, ma cantano e inscenano coreografie.

Costretti in questo circo impazzito, i personaggi sono vittime e carnefici della licenziosità di Don Giovanni e, a differenza di lui, non si accorgono che forse è proprio tutta una farsa. Compresa la storia che stanno inscenando.

Replicando l’operazione già sperimentata in “Amleto2”, Timi sembra (ma per poter confermare questa interpretazione bisognerà vedere il risultato finale e definitivo che verrà portato in scena) conferire anche a Don Giovanni una coscienza di sé. Una consapevolezza di essere personaggio. Nelle due battute (“Dove vado io senza di te?” e “Come puoi pensare che possa andare con una simile attricetta?”) rivolte la prima al suo servitore, la seconda a Donna Elvira, il Timi-Don Giovanni pare lanciare un sassolino al pubblico. Ritraendo poi la mano.

Queste ed altre curiosità, come quella sui costumi, sulla scenografia (che Timi preannuncia “fantastica”, con colonne in plexiglass dorato e altre sciccherie pacchiane) o sulle scelte finali che verranno prese (“Ho l’abitudine fino all’ultimo di modificare il testo e mi piace l’improvvisazione, i miei attori mi odiano per questo”, svela scherzando) verranno soddisfatte da domani. Compresa la possibilità, suggerita da un Timi che, a prove concluse, si rende conto di non aver ancora imparato perfettamente le battute, di proporre un Don Giovanni che, talmente sicuro di sé ed anticonformista, sfida anche il copione prestabilito.

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