Il Tango delle capinere. Emma Dante e l’amore romantico, forse troppo

Il Tango delle capinere (ph: Rosellina Garbo)
Il Tango delle capinere (ph: Rosellina Garbo)

Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco sono i protagonisti di questo passo a due musicale

Pienone all’Arena del Sole di Bologna per “Il Tango delle capinere” di Emma Dante, che torna a mettersi in gioco insieme a Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco, attori “storici” di Sud Costa Occidentale che per un periodo si erano distaccati dalla compagnia.
Li ricordiamo ancora per la loro interpretazione graffiante e animalesca in quegli intensi spettacoli degli albori, in particolar modo “Carnezzeria” e “MPalermu”, che rimarranno sempre impressi, forse in maniera un po’ nostalgica, nella memoria del pubblico.

Oggi quella stessa gagliardia la ritroviamo sul palco a servizio di uno spettacolo grottesco e dal sapore marcatamente romantico, che ripercorre a ritroso la vita amorosa di una coppia di anziani. E i due interpreti sono effettivamente una coppia anche nella vita reale, fuori dal palco.

La pièce nasce in seno alla “Trilogia degli occhiali”, da cui la regista e drammaturga siciliana ha estratto il capitolo “Ballarini” che vedeva in scena gli stessi attori. Ora quella scena “fulminea” ha ispirato la creazione di uno spettacolo a sé stante, per approfondire il tema della solitudine nell’ultima fase della vita.

Il lavoro ha inizio con un’anziana signora, ricurva su un vecchio baule, che rovista tra una miriade di oggetti, riesumando alla memoria i ricordi più significativi della propria esistenza. Risponde prontamente all’appello il suo defunto marito, che fa capolino da un secondo baule sul fondo della scena. I due si vengono incontro con movenze goffe e strampalate, ritrovando in pochi secondi la complicità che li univa.
Entrambi indossano abiti eleganti e maschere dall’aria stralunata, appaiono come dei fantocci, privi di parola, succubi dei propri schemi motori, tra acciacchi, pillole e colpi di tosse, e con fare clownesco si fanno burla l’uno dell’altra. Li vediamo alle prese con i festeggiamenti per un capodanno – forse l’ultimo trascorso insieme. Tra un ballo e l’altro lanciano i coriandoli, si baciano, si abbracciano, vanno in cerca di rozze effusioni, ma allo scoccare della mezzanotte, lo scoppiettio di un petardo apre magicamente le danze, risucchiandoli un viaggio onirico a ritroso nel tempo.

La musica fa il suo ingresso in scena a pieno volume, lanciandosi in una sorta di maratona di grandi successi anni ‘60: “E se domani” di Mina, “Lontano lontano” di Tenco, “Il ballo del Mattone” della Pavone. Gli attori, stregati dal ritmo, si tuffano con fervore in una danza acrobatica, perdendo un po’ alla volta tutti i connotati della vecchiaia: si tolgono le maschere, si spogliano con frenesia, lanciano in aria i vestiti, rinvigoriscono ad ogni strato che si levano di dosso. La donna rimane in sottoveste, lui in canottiera e mutande. Improvvisamente appare anche il loro bambino – un bambolotto sbucato fuori dal baule – che iniziano a rimpallarsi senza troppo pudore, inveendo in siciliano; arrivano addirittura a prenderlo a schiaffi e a morsi, in preda alla disperazione di non riuscire a gestirne il pianto (una trombetta squillante) che li assilla.
Poi il nastro si riavvolge ancora ed ancora… Un nuovo vortice fa approdare i personaggi a quel lontano e favoloso capodanno in cui parteciparono a una gara di milonga, ubriachi e in abiti sfavillanti.

L’intero spettacolo avanza replicando ogni volta la stessa dinamica: la musica, motore della drammaturgia, passa in rassegna altre hit italiane (“Se mi vuoi lasciare” di Michele, “Natale” di De Gregori, “Watussi” di Vianello, “Fatti mandare dalla mamma” di Morandi, “Ba ba baciami piccina” di Rabagliati) che con il loro magnetismo pop richiamano i personaggi al rituale del ballo, riportandoli indietro nel tempo.
Ad ogni tappa qualche oggetto sbuca a sorpresa da uno dei bauli. Hanno tutti un valore simbolico, sentimentale (molti richiamano altri spettacoli di Emma Dante), in grado di rievocare eventi emblematici della simbiosi di questa coppia di sposi. Ma ogni volta il gioco dura poco e l’oggetto di turno, dopo essere stato usato e manipolato per un po’, viene lanciato a terra per passare bulimicamente a quello successivo.

Coriandoli, palloncini, un pacchetto regalo, una bottiglia di spumante, l’abito da sposa, un carillon… A fine spettacolo tutta la loro vita è lì, buttata a terra, sino a quando non rimane più niente da riesumare.

Con il “Tango delle capinere” di Gabrè, da cui questo spettacolo a canone inverso prende il titolo, si giunge al capolinea: ora i personaggi non possono far altro che rintanarsi nei bauli da cui sono provenuti, mentre in sottofondo un ultimo tango di Piazzolla li accompagna a spegnersi dolcemente.

Gli applausi del pubblico arrivano sentiti e calorosi, come quasi sempre al termine di uno spettacolo di Emma Dante. Indubbiamente questo “Tango delle capinere” (che, diversamente dal testo della canzone, non allude al disagio sociale e alla prostituzione) ha la grande maestria di saper coinvolgere gli spettatori, prendendo in prestito una lunga serie di canzoni note e coinvolgenti di per sé, sfruttando la passionalità del tango e mettendo alla prova l’energia degli attori, che eseguono con rigore ed intensità le proprie partiture. Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco sono animali da palco e sotto la guida della Dante danno il meglio di sé.

Ma fare confronti con le produzioni precedenti è inevitabile quando ci si trova davanti a una regista di questo livello e le aspettative sono molto alte. Quello di Emma Dante è un teatro solido e consolidato: carnale, arcaico, rituale. Lo riconosciamo per le tematiche ricorrenti (la famiglia, il matrimonio…), l’uso del dialetto palermitano, il modo in cui porta all’eccesso le azioni degli attori… Elementi che ritroviamo anche qui, ma con una differenza: tutto è calato all’interno di un’atmosfera insolitamente leggera, frizzante e sdolcinata. Il che genera un po’ di stupore, una diversa curiosità e forse un po’ di perplessità.

Benché l’idea alla base dello spettacolo offra tematiche di un certo spessore come la solitudine, la vecchiaia, l’elaborazione del lutto, questi temi non vengono poi particolarmente approfonditi, rimanendo più che altro come cornice.
Il tema centrale, l’amore, è un amore limpido, lineare, senza troppi scossoni o conflitti. A volte emergono tensioni e difficoltà del tutto naturali: il parto, i pianti del bambino, quella tipica dedizione della donna verso il marito che la porta a dimenticarsi delle proprie aspirazioni… Ma tutto ciò non genera nel testo una vera e propria tensione. Quasi mancasse – rispetto al passato della drammaturga – un disagio da denunciare, un conflitto da affrontare, uno stato d’oppressione di cui doversi liberare.

“Il Tango delle capinere”, con la sua drammaturgia evanescente, l’intreccio di – forse troppa – musica, di immagini (come il cielo stellato che sovrasta le teste degli attori) e di catene d’azioni mozzafiato (come le contrazioni della pancia della donna), rischia di risultare un’ode un po’ troppo caotica e chiassosa all’amore. Che sia una nuova fase di ricerca per Emma Dante?

Il Tango delle capinere
Regia Emma Dante
con Sabino Civilleri e Manuela Lo Sicco
luci Cristian Zucaro
assistente alla regia Daniela Mangiacavallo
organizzazione Daniela Gusmano
produzione Atto Unico
in coproduzione con Teatro Biondo Palermo / Emilia Romagna Teatro ERT – Teatro Nazionale / Teatro di Roma – Teatro Nazionale / Carnezzeria / Théâtre des 13 vents, Centre dramatique national Montpellier / MA scène nationale – Pays de Montbéliard
in collaborazione con Sud Costa Occidentale
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma

Durata 60′
Applausi del pubblico: 3′

Visto a Bologna, Arena del Sole, il 2 marzo 2023

 

 

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