L’Eneide di Mitmacher, viaggio di formazione di un profugo-eroe

Photo: Davide Cinzi
Photo: Davide Cinzi

Tre Parche senza tempo, intabarrate negli scialli: occhiali scuri e un gomitolo di lana da lanciare nel vuoto antistante come un mucchio di stelle o una coppia di dadi. Una canna da pesca da affondare dentro un mare metafisico: a pigliare pesci onirici, a creare analogie strampalate con fatti e persone.
Tre Parche a confondere, nel buio dei loro occhi, un caos che fonde passato, presente e futuro. Le figlie della Notte personificano il destino ineluttabile, inattingibile e opaco per gli uomini come acqua livida.
L’impassibilità delle Parche, vecchie e tenebrose come il Tartaro; il pathos del giovane Enea, eroe fragile chiamato a un cammino sacro costellato di dolori: è in questa contrapposizione che vive “Eneide, generazioni”, nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano che Mitmacher ha portato in scena al Piccolo Teatro Studio Melato.

La drammaturgia di Giovanna Scardoni scompagina il libro virgiliano, lo rende fruibile per un pubblico dai 13 anni. È apprezzabile l’artigianato di questa compagnia composta da professionisti di solida formazione, dallo stile sobrio ma elegante, pulita anche quando si sforza di sporcare il testo. La formazione traspare dalla drammaturgia che scava in profondità i classici senza darlo a vedere, dalla regia calibrata di Stefano Scherini, dalla recitazione semplice degli attori (Nicola Ciaffoni con gli stessi Scardoni e Scherini), dalla cura morbosa per dettagli come costumi, luci e suoni.

Arrivano dall’Accademia di Brera lo scenografo Gregorio Zurla, la costumista Elena Rossi, la lighting designer Anna Merlo. Zurla mette al centro della scena una barca che è un guscio dimezzato. Rossi crea costumi animati frondosi, parlanti attraverso maschere multiple, capaci da sole di riempire la scena. Merlo, con Nicolò Pozzerle, dilata, attraverso uno sfondo di colori tenui e luci delicate, le immagini e i sentimenti policromi proposti dalla pièce.

La riscrittura riconduce Virgilio all’attualità senza forzature. Il viaggio di Enea è la traversia di un migrante, il dramma di un rifugiato in fuga da guerra e catastrofe.
Lo sciabordio del mare è accompagnamento costante: è nenia, rituale, borbottio, risacca, mareggiata. La distruzione di Troia, episodio da cui muove la vicenda, è resa da un cenno di fumo. Enea trae in salvo dalla città in fiamme il padre Anchise, il figlio Ascanio e i Penati, divinità protettrici della famiglia e della patria. La moglie Creusa si perde nella concitazione della fuga.
Nel tumulto della distruzione, il fantasma di Creusa si palesa attraverso una veste bianca che sventola sulla barca di Enea. Più lugubre è l’immagine della defunta Andromaca, avvolta in una sorta niqab saudita. Anche lo spirito di Anchise appare, con la sua giacca costellata di maschere funebri.
Nascono scorci di teatro di figura. Cumuli di terriccio richiamano sepolture in uno spazio da oltretomba dantesco. Ogni immagine di morte è monito affinché Enea prosegua il suo viaggio.

Il cammino fatale sfida anche i sentimenti di Enea: l’amore per Didone, la gratitudine verso la regina dei Cartaginesi che aveva vinto la diffidenza e gli egoismi del suo popolo per ricordare alla nostra epoca tiepida i valori sacri dell’accoglienza e dell’ospitalità.

La narrazione e i simboli usati esprimono ansia e timore. I contrasti cromatici tra gli scuri della notte e i bagliori dell’incendio, le rare pause color pastello, la vivacità con cui si muovono i soggetti, manifestano con efficacia il groviglio d’affanni e speranze che è la vita umana.

La guerra scalfisce un po’ l’umanità del “pio” Enea, che prendendo forse troppo alla lettera la propria missione, si erge a uomo della provvidenza. Ma le debolezze dell’eroe troiano sono anch’esse piccole cose. Le stemperano le musiche di Zeno Baldi, il fischiettio di Lucio Dalla sulle note di “Com’è profondo il mare”, soprattutto gli sguardi sardonici delle tre Parche, di nuovo con le loro lenze sul mare infinito, a sancire l’epilogo dello spettacolo.
Una radio a pile dalla sintonia balbettante è il buffo anacronismo che suggella la dimensione metatemporale della storia e del mito. Che Mitmacher accosta ancora una volta con stravagante semplicità.

A marzo “Eneide” sarà in scena al Teatro Storchi di Modena il 3 e 4, a Verona dal 21 al 24 e a Biella il 26 e 27 marzo.

ENEIDE, GENERAZIONI
da Publio Virgilio Marone
drammaturgia Giovanna Scardoni
regia Stefano Scherini
scene Gregorio Zurla,
costumi Elena Rossi
luci Anna Merlo e Nicolò Pozzerle,
musiche Zeno Baldi,
con Nicola Ciaffoni, Giovanna Scardoni, Stefano Scherini
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
in collaborazione con Associazione culturale Mitmacher e Teatro del Carretto
spettacolo consigliato a partire dai 13 anni

durata: 1h 20’

Visto a Milano, Piccolo Teatro Studio Melato, il 13 febbraio 2020

Tags from the story
,
0 replies on “L’Eneide di Mitmacher, viaggio di formazione di un profugo-eroe”
Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *