L’Amleto rumeno di Roberto Bacci

L'Amleto di Roberto Bacci
L'Amleto di Roberto Bacci
L’Amleto di Roberto Bacci (photo: Nicu Cherciu)
“Amleto. Essere un altro Amleto” è stato presentato al Teatro Era di Pontedera come debutto della nuova messa in scena di Roberto Bacci.
Lo spettacolo era già stato rappresentato nel novembre del 2009 al Teatro India di Roma. Bacci ne è il regista, come allora. Cambia la compagnia (oggi il Teatro nazionale rumeno di Cluj-Napoca; ieri era la Compagnia Laboratorio di Pontedera) e anche la lingua.

Al nostro ingresso in sala, sei schermitori, duellanti con il volto coperto da una maschera, impugnano una spada, abbigliati alla maniera dei combattenti di Kendo, arte marziale giapponese.
Delimitati da tre pannelli lignei, con il loro movimento circolare, cingono una struttura ferrea mobile e praticabile di oltre tre metri, posta al centro del palcoscenico. La struttura è l’unico elemento di un’essenziale scenografia metaforica che descrive di volta in volta lo spazio e i tempi dell’azione, e su cui, sin dall’inizio, i performer combattano e si arrampicano.

Oltre al regno di Danimarca, contesto in cui si svolge l’intera vicenda shakespeariana, si ha la sensazione di trovarsi all’interno di un’arena di gladiatori, e il pubblico si trova catapultato immediatamente in un’altra dimensione. Forse un mondo parallelo, dove l’opera del Bardo muta forma, stile e soprattutto lingua: si parla in rumeno, e la comprensione è affidata a sopratitoli in italiano.

Amleto (Cristian Grosu) diventa qui prigioniero di un destino, il proprio, da cui non può scappare. Unico personaggio abbigliato alla maniera contemporanea, tutto di nero, è spinto dagli altri, simbolo delle forze cieche che lo obbligano ad agire, a ricordare e a rivivere la sua storia come una vera e propria maledizione. Nessuno di questi, all’infuori del protagonista, risulta essere connotato da una precisa introspezione psicologica. Tutti paiono in balia di tutti, così come di un vento generato da forze oscure, come Moire pronte a tessere il fato di ogni uomo che si pongono dinanzi al nostro cammino rendendoci maschere indefinite, svuotati di un reale potere sulla nostra esistenza.

È proprio sulle reazioni di Amleto nei confronti di queste forze che si struttura l’intero spettacolo, o almeno questo è quanto si evince dal foglio di sala, considerata la struttura poco limpida dell’intera messinscena.
La sua condizione è quella di un viaggiatore che ripercorre, forse inconsapevolmente, un luogo e un tempo che ha già vissuto. I duellanti subiscono una metamorfosi, come se venissero attraversati per caso dai personaggi del dramma. Non ci sono ruoli assegnati. La recitazione trova la sua ragione non tanto nelle parole dei personaggi, quanto nella grande partitura coreografica a cui questi si sottopongono. Basta una corona o un mantello perché uno degli schermitori diventi il re o lo zio di Amleto, per poi ritornare ad essere se stesso calandosi la maschera sul volto.
Amleto è circondato da Re, Regine, Spettri, Ofelie, Orazi e Poloni che si moltiplicano attorno a lui: “Ho vissuto con figure uscite da me stesso, eppure così piene di carne e sangue”.
Ne è un esempio il celebre monologo della pazzia di Ofelia, recitato in proscenio da una delle due attrici della compagnia, mentre, dietro di lei, l’altra si appropria della narrazione fisica del personaggio.

Tra gli attori emerge Cristian Grosu, abile nell’interpretare un Amleto che non si abbandona a dilemmi esistenziali, mostrando una considerevole e matura tecnica fisica e attorale.
Però, in generale, alcune scelte registiche, tra cui il fenomeno dello scambio di personalità che grava sui personaggi a seconda dei vari eventi, non permettono un andamento fluido della rappresentazione, forse per la volontà di voler troppo spiegare, insistendo su meccanismi che alla fine diventano ripetitivi. Lo spettacolo, pertanto, si mostra non ancora ben strutturato e poco aderente alle descrizioni del foglio di sala, da cui si comprendono certo molti più elementi.
Necessita probabilmente di ulteriori modifiche, che permettano di rendere più cristallina la struttura dell’assenza di ruoli unici assegnati, fenomeno non immediato, capace di gettare lo spettatore in un caos interpretativo non indifferente.
“Io mi perdo. Che si spenga il giorno. Che venga la notte”.

AMLETO. Essere, un altro Amleto
di William Shakespeare
traduzione in rumeno: Maria Rotar
regia: Roberto Bacci
con: Cristian Grosu, Cătălin Codreanu, Eva Crişan/Patricia Brad, Cătălin Herlo, Radu Lărgeanu, Miron Maxim, Irina Wintze
drammaturgia: Roberto Bacci e Stefano Geraci
scene e costumi: Marcio Medina
musiche: Ares Tavolazzi
scherma: Peter Habala
assistenti alla regia: Savino Paparella, Maria Rotar
assistente per le scene e i costumi: Valentin Codoiu
luci: Jenel Moldovan
direzione tecnica: Doru Bodrea
durata: 1h 30′
applausi del pubblico: 2′ 36”

Visto a Pontedera (PI), Teatro Era, il 13 aprile 2013
Prima nazionale


 

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