Napoli è… calma. Impressioni di viaggio da MO.Lem

Tricher a Napoli|Marco Monfredini
|
Marco Monfredini
Marco Monfredini
Dopo il racconto a puntate, l’estate scorsa, del Fringe di Edimburgo da parte della compagnia dei Sanpapié, abbiamo deciso di farci raccontare il Fringe napoletano, del tutto differente, da parte di qualche compagnia arrivata da fuori, per scoprire con altri occhi questa esperienza, sia nel bene che nel male.
Partiamo oggi dal gruppo torinese MO.Lem, nella voce del suo regista Marco Monfredini, che nello splendido contesto del museo Madre ha presentato il 6 e 7 giugno un nuovo passo del loro progetto, “Tricher 4_selodicelaTValloraèvero”.

Chi dice che Napoli è una bella città non mente. Chi dice che fare spettacoli a Napoli dà soddisfazione, pure.
C’è una cosa che mi ha colpito più di tutto nella nostra permanenza all’E45 Napoli Fringe Festival: la calma.

In una delle città più caotiche d’Italia, ho trovato la calma. La calma del luogo che ci ha ospitato, il Museo Madre, con il suo pavimento in legno e i muri bianchi rilassanti; la calma dei tecnici che ci hanno accolto con tutto il materiale sparso per la sala; la calma di Interno5, gli organizzatori, nel rispondere alle nostre richieste sul fatto che stessimo, come da contratto, aspettando una prima parte di contributo del festival che stentava ad arrivare; la nostra conseguente calma nell’allestimento dello spettacolo.

Fuori, invece, l’inferno: motorini che sfrecciano in contromano, senza casco, come da perfetto luogo comune, fiumi di gente per strada, vociare continuo, clacson come strumento di comunicazione sociale, aerei che passano fragorosamente sopra la testa, cibo che ti guarda da tutte le vetrine dei locali tentando l’insaziabilità.

Poi, solcando l’ingresso con sipario nero del Museo Madre, di nuovo la calma.
Una calma rigenerante, accogliente, che permette di poter curare i dettagli del lavoro, una calma che non porta alla perdita di tempo ma all’operosità non stressante.

Tricher a Napoli
Tricher a Napoli
Appena entrato nella sala in cui avremmo portato lo spettacolo nell’ambito del Fringe la mia prima impressione, in termini di allestimento, non è stata buona. Ma proprio questo insospettabile clima, con assenza di stress, mi ha permesso di capire e farmi assimilare in breve tempo che l’estrema diversità del contesto, anziché essere un ostacolo, potesse rivelarsi un’occasione per sperimentare un’altra atmosfera per il lavoro. E col senno di poi così è stato.
Siamo riusciti a costruire un luogo “pulito” e “performante” per il nostro spettacolo. A dare un riflesso e un profilo nuovo. A sentirci degli orfani benvoluti.
Chi dice che Napoli è una mamma non mente. E come ogni mamma può contenere in sé dolcezza e severità.  
La prima serata di spettacolo è stata molto soddisfacente. Il pubblico era numeroso, l’attenzione alta. Da un lato sentivo la dolcezza nell’ascolto, dall’altra la severità del giudizio. Ho avuto la sensazione che fossimo nelle mani di una Madre che, a seconda dei “comportamenti” buoni o cattivi che stai agendo, ti punisce o ti incoraggia. Una Madre paziente, calma, di quelle rare, che cercano di farti capire le cose senza avere la necessità o il bisogno di urlare.
Abbiamo capito diverse cose da questa Madre sensibile.

La sensazione nella seconda serata è stata completamente diversa. Il fatto di fare lo spettacolo alle 19 e con altri sette spettacoli in scena tra il Fringe e il Napoli Teatro Festival ha certo penalizzato la presenza di pubblico.
In quella seconda serata, per me è stato come incontrare un Padre silenzioso.
L’essere pochi in un luogo ampio fa immediatamente percepire la sensazione di un vuoto da riempire, sia da parte del pubblico che degli attori. E’ un po’ come trovarsi in una discussione dove, ad un certo punto, per l’imbarazzo, sembra che non si abbia più niente da dire. Come con un Padre poco presente col quale, dopo esserti scambiato le informazioni di routine,  mancano gli argomenti, o quel che vorresti dire è troppo pesante per quel vuoto.

In questi casi o si esce dall’imbarazzo o si sente di voler fuggire. Siamo riusciti, con questo Padre, a uscire dall’imbarazzo e a raccontarci sottovoce brucianti verità, che solo in certe situazioni particolari si crea l’occasione per fare. E questo Padre imbarazzato si è aperto con noi delicatamente, con calma. A fine serata ci siamo guardati negli occhi in un modo diverso.

In due sere abbiamo ricostruito, con calma, una famiglia. Ci siamo sentiti figli apprezzati, giudicati, accolti, ascoltati, rispettati. Abbiamo avuto la possibilità di riflettere serenamente sul lungo lavoro di creazione che abbiamo fatto per arrivare a questo bel festival… con calma.
Chi dice che la calma non sia produttiva sbaglia. Non c’è sempre bisogno dell’affanno, della rincorsa, dell’esplosione; l’urgenza di dire e fare non si deve trasformare necessariamente in frenesia o movimento perpetuo. Tutto avrei pensato di trovare a Napoli, tranne la calma.

Join the Conversation

No comments

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *